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22 Gennaio 2025 - 22:06
"Stai a casa!" E non fa lavorare la moglie: i giudici l'hanno "bastonato"
Stai a casa e occupati dei figli.
Erano di questo tenore le frasi che una donna si sentiva rivolgere dal marito quando manifestava il desiderio di trovarsi un lavoro. Perché il suo posto era quello della casalinga e della "manutenuta".
L'uomo, un imprenditore, è stato condannato dalla Corte di appello, a Torino, per il reato di maltrattamenti. Molte le condotte che gli sono state contestate: la gelosia ingiustificata, i controlli ossessionanti, le umiliazioni, le minacce di morte.
Ma i giudici della Cassazione, nel confermare la decisione dei colleghi del capoluogo piemontese, hanno calcato la mano sulla "componente economico-patrimoniale" della vicenda, dedicando all'argomento parecchie pagine della sentenza. Il punto, secondo gli Ermellini, è che l'imputato ha costretto la moglie ad "abbandonare le proprie ambizioni professionali" sulla base di una "rigorosa e discriminatoria" suddivisione dei ruoli.
Il caso ha destato l'interesse della comunità dei giuristi, tanto che il documento con cui le toghe hanno respinto l'ultimo ricorso della difesa è comparso, debitamente omissato, nella rivista di settore 'Giurisprudenza penale', edita e diretta da Guido Stampanoni Bassi. La vicenda si è trascinata fra il 2000 e il 2019 ed è stata rievocata dalla donna nel corso di una lunga testimonianza resa davanti al tribunale di Torino in occasione del processo di primo grado. Ad un certo punto spiegò che, nel tentativo di liberarsi da divieti e condizionamenti, si era trovata un impiego nel settore del turismo, ma che di fatto non riuscì a lavorare: il marito la chiamava di continuo e, anche di fronte a colleghe e colleghi, le ordinava di tornare a casa.
Giudici di Cassazione
I giudici non hanno potuto fare a meno di notare che l'imprenditore, in barba alle proprie convinzioni, per un po' di tempo aveva impiegato la moglie come contabile nella propria azienda, senza però pagarle lo stipendio. Peraltro non hanno nemmeno creduto alla sua versione, secondo la quale era lei che voleva "accudire i figli" ed essere "mantenuta". La Cassazione ha richiamato una serie di principi scolpiti da una direttiva Ue del 2012 sulla violenza di genere, e ha sancito che, in questa vicenda, la "componente economico-patrimoniale" ha parecchio rilievo "perché è oggetto di una decisione assunta unilateralmente dall'imputato anche attraverso il ricorso a forme manipolatorie e pressioni psicologiche tali da incidere sulla sua dignità umana".
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