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Cronaca
12 Gennaio 2025 - 22:22
Nei corridoi del pronto soccorso dell’Ospedale di Ciriè, c’è chi aspetta da ore su una barella parcheggiata tra le pareti bianche e fredde. Il via vai continuo di medici e infermieri non riesce a nascondere una realtà drammatica: tutto è al limite, tutto è sul punto di crollare.
Tra i pazienti c’è Giuseppe, 74 anni, pensionato, portato d’urgenza per una crisi respiratoria. “Mio padre è cardiopatico, ha avuto problemi ai polmoni per anni. L’abbiamo portato qui stamattina e adesso sono quasi le sette di sera. Non c’è un posto letto libero, lo tengono su una barella. Mi hanno detto che dobbiamo aspettare. Aspettare cosa? Che succeda qualcosa di peggio?”, racconta con voce rotta il figlio che si aggira nervosamente lungo il corridoio.
A pochi metri, un’infermiera si ferma un attimo, il volto segnato dalla stanchezza. “Non ce la facciamo più. Qui arrivano troppi pazienti e non sappiamo dove metterli. Fino a qualche anno fa, situazioni così le vedevamo una o due volte l’anno. Ora è quasi ogni settimana”, confida sottovoce, guardandosi intorno, quasi a non voler essere sentita dai superiori.
All’Ospedale di Chivasso la situazione non è diversa.
“Siamo bloccati. Non ci sono barelle, non ci sono letti, e anche i punti ossigeno sono saturi”, si legge in un comunicato interno. Qui si combatte una battaglia quotidiana contro il sovraffollamento, con i pazienti che arrivano senza sosta.
Anna, una donna di 83 anni, è stata portata in ambulanza dopo essere svenuta a casa per una bronchite trascurata. Suo nipote non riesce a trattenere la rabbia: “L’hanno lasciata nel corridoio, attaccata a una bombola d’ossigeno portatile. Mi hanno detto che non c’è altro da fare. Come si può trattare così una persona anziana? Mia nonna ha lavorato tutta la vita, ha pagato le tasse. Ora, quando ha bisogno, il sistema le volta le spalle”.
E non va meglio al Mauriziano, dove un cartello all’ingresso del pronto soccorso avvisa i visitatori: “Causa sovraffollamento, non si accettano pazienti fino alle ore 16”. Ma cosa succede a chi arriva prima o dopo quell’orario?
La risposta è sconcertante. Marina, una donna di 52 anni, ha accompagnato il marito, colpito da febbre alta e dolori lancinanti al petto. “Ci hanno detto di tornare a casa, che non c’è posto e che se la situazione peggiora possiamo chiamare di nuovo l’ambulanza. Ma che senso ha? Mio marito ha già 39,5 di febbre, cosa deve succedere perché ci prendano sul serio?”.
Nel frattempo, i numeri non lasciano spazio all’interpretazione. In Piemonte, da metà ottobre, 420 mila persone sono state colpite dall’influenza, e il picco non è ancora stato raggiunto.
I dati del Servizio di epidemiologia regionale (Seremi) sono chiari: il virus dell’influenza è il più diffuso tra quelli circolanti, e l’incidenza è in continuo aumento. Anche a livello nazionale la situazione non migliora. L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) segnala che l’incidenza ha raggiunto 11,3 casi ogni mille assistiti, un dato superiore rispetto alla stessa settimana dello scorso anno.
Ma nonostante i numeri e gli allarmi lanciati dai pronto soccorso, il piano anti-sovraffollamento della Regione resta una chimera. A dicembre erano state promesse misure straordinarie per evitare il caos nei Dea (Dipartimenti di emergenza e accettazione), ma la realtà racconta un’altra storia.
“Abbiamo bisogno di soluzioni vere, non di pannicelli caldi”, tuona Francesco Coppolella, segretario del sindacato infermieri Nursind Piemonte. “Il personale è allo stremo, i pronto soccorso sono diventati un imbuto dove si accumula tutto: emergenze vere, casi che potrebbero essere trattati altrove e pazienti cronici che non hanno altre risposte dal sistema sanitario”.
L’Ospedale Molinette, il più grande della regione, ha emesso un avviso simile: “Indisponibilità di posti letto in medicina generale, neurologia e rianimazione. Si prega di inviare solo pazienti di stretta competenza territoriale fino alle ore 18”. Tradotto: se puoi, non venire. Ma chi può permettersi di non andare in ospedale quando la salute vacilla?
Insomma, il sistema è al collasso, e chi paga il prezzo più alto sono i pazienti e i loro familiari, lasciati soli a combattere con la burocrazia, l’indifferenza e un’organizzazione che sembra incapace di reggere l’urto dell’emergenza. E mentre Regione e aziende sanitarie discutono di piani e strategie, nei corridoi dei pronto soccorso si continua a soffrire e, purtroppo, a morire.
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