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Cronaca
21 Novembre 2024 - 20:01
La notizia sembrava una di quelle che finiscono per strappare un sorriso: una mucca dispersa sopra la frazione di Forzo, a Ronco Canavese, ritrovata grazie all’intervento di escursionisti e salvata in extremis con l’elicottero dai Vigili del Fuoco e dal Soccorso Alpino. Un animale in difficoltà, un’operazione spettacolare, un lieto fine. Eppure, a guardare meglio, questa storia nasconde ben altro. Non solo il dramma di un animale abbandonato, ma anche una serie di domande scomode che nessuno sembra voler affrontare.
La mucca era davvero "dispersa"?
Nessuno aveva segnalato la sua scomparsa. Nessuno la stava cercando. Era lì, da sola, a 2.000 metri di altitudine, nei pressi di un alpeggio chiuso da anni. Un luogo che non appartiene nemmeno ai suoi proprietari, un luogo che avrebbe potuto essere la sua tomba.
Quando è stata trovata, stava partorendo. O meglio, stava abortendo: il vitellino non è mai venuto alla luce. È morto prima ancora di nascere.
Abbiamo le prove. L’immagine è straziante: una madre abbandonata, senza cure, senza un riparo, senza un pastore, lasciata a lottare per la vita in un ambiente ostile, sotto la neve.
Un mese fa, la mandria era stata riportata a valle. Tutte le mucche, tranne lei. Dimenticata? Abbandonata di proposito? Il dubbio è atroce. Forse era troppo lenta a causa della gravidanza. Forse intralciava il percorso. Forse, semplicemente, non conveniva portarla giù. Tanto, chi se ne sarebbe accorto? Sono solo numeri, si dirà. Numeri che si contano quando fa comodo, soprattutto quando si tratta di ricevere i contributi previsti per gli animali al pascolo e per i vitelli nati – vivi o morti che siano.
La mucca è stata trovata per puro caso. Solo grazie all’intervento di un escursionista, che si è attivato in ogni modo per salvarla, non è morta di parto.
Senza di lui, nessuno avrebbe saputo nulla. Avremmo forse ritrovato i suoi resti in primavera, e magari dato la colpa ai lupi. Già, i lupi: il comodo capro espiatorio per ogni tragedia montana.
E così, per riportarla a valle, è stato necessario mobilitare un elicottero dei Vigili del Fuoco, con tanto di verricello e squadra Saf. Una macchina dei soccorsi imponente, costosa, mossa per salvare un animale che non avrebbe mai dovuto trovarsi in quella situazione.
Chi pagherà i costi di questa operazione? Non il margaro, di certo. Non risultano multe, sanzioni, richieste di rimborso. Il margaro, come spesso accade, sembra scomparso dietro l’ombra della montagna, mentre la collettività si fa carico delle sue negligenze.
Eppure, l’abbandono di animali domestici è un reato. "Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro." così recita la legge. Una legge che, a quanto pare, non vale per gli animali da reddito. Una legge che, in un Parco Nazionale come il Gran Paradiso, sembra essere carta straccia.
Un tempo, avere una mucca significava avere una stalla. Una regola semplice, che garantiva cura, protezione e rispetto per gli animali. Oggi, l’allevamento in stato brado è diventato la norma. Le mucche vengono lasciate sole per settimane, senza un pastore, senza una presenza umana. Sono numeri che vagano tra i prati, predatori inconsapevoli di contributi pubblici. E quando qualcosa va storto – un parto difficile, una morte, un incidente – ci si gira dall’altra parte.
Chi controlla cosa accade nei pascoli di montagna? Esiste un regolamento per le attività di allevamento all’interno di un Parco Nazionale? È accettabile che un animale venga lasciato in balia degli eventi senza che nessuno risponda delle sue condizioni? Se fosse stato un cane abbandonato, il margaro sarebbe già stato denunciato. Ma una mucca gravida, lasciata a 2.000 metri, sembra non suscitare lo stesso scandalo.
E non è tutto. Alcuni parlano apertamente di un sistema marcio, di una "mafia della montagna".
"Questi non sono pastori, ma predatori di montagna. Arroganti, pericolosi, senza scrupoli", affermano alcune fonti che preferiscono restare anonime. Un’accusa pesante, che getta ombre inquietanti sulla gestione delle attività di allevamento in alta quota. Ombre che nessuno sembra voler illuminare.
Alla fine, resta il dramma di una mucca salvata in extremis e di un vitellino morto. Resta il sospetto che l’abbandono sia stato intenzionale. Resta il dubbio che, senza quel fortuito incontro con l’escursionista, oggi staremmo raccontando una storia di morte e silenzio. E resta una domanda che non può più essere ignorata: chi tutela questi animali?
La montagna non è solo un luogo di bellezza e libertà. È anche un terreno di responsabilità, di regole, di rispetto. Ma se continuiamo a chiudere gli occhi davanti a storie come questa, allora non solo tradiamo i principi di un Parco Nazionale. Tradiremo anche quel legame di umanità e cura che dovrebbe unirci a ogni essere vivente.
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