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Cronaca

Suicidio in carcere: il caso di Alessandro Gaffoglio scuote il sistema penitenziario italiano

Alessandro Gaffoglio, 24 anni, si suicida in carcere. La psichiatra accusata di negligenza. Processo al via il 25 giugno.

Morte in Carcere

Suicidio in carcere: il caso di Alessandro Gaffoglio scuote il sistema penitenziario

Il 15 agosto 2022, una data che i genitori di Alessandro Gaffoglio, Carlo Gaffoglio e Monica Fantini, non dimenticheranno mai. Quel giorno, il loro figlio di 24 anni si è tolto la vita nel carcere Lorusso e Cutugno, lasciando dietro di sé un dolore incolmabile e una serie di domande senza risposta. Alessandro, incensurato, era stato arrestato per due rapine e, già nei giorni precedenti, aveva tentato il suicidio. Un grido d'aiuto che, secondo i genitori, non è stato ascoltato. "Lo hanno lasciato solo, tutto il sistema carcerario lo ha abbandonato", hanno denunciato pubblicamente, affidandosi agli avvocati Laura Spadaro e Maria Rosaria Scicchitano per cercare giustizia.

Il 25 giugno inizierà il processo per omicidio colposo contro la psichiatra del carcere, come deciso dal giudice Marco Picco. Secondo il pubblico ministero Rossella Salvati, la dottoressa avrebbe commesso un grave errore abbassando il livello di sorveglianza da medio a lieve e non somministrando i necessari psicofarmaci ad Alessandro.

Una decisione che, secondo l'accusa, avrebbe contribuito al tragico epilogo. Tuttavia, l'avvocato Gian Maria Nicastro, difensore della psichiatra, sostiene che non vi sia alcun nesso causale tra l'operato della sua assistita e il suicidio del giovane. "Credevamo che negli atti ci fossero gli elementi per dimostrare come l’operato della dottoressa non abbia avuto alcun nesso causale con il suicidio, anche perché gli oggetti utilizzati dal ragazzo erano già nella sua disponibilità da giorni", ha dichiarato Nicastro.

Il sistema penitenziario italiano finisce sotto accusa

Un sistema sotto accusa

Il caso di Alessandro Gaffoglio solleva interrogativi inquietanti sul sistema carcerario italiano e sulla gestione dei detenuti con problemi psichiatrici. È possibile che un giovane incensurato, con evidenti segnali di disagio, possa essere lasciato solo in una situazione di così alto rischio? La tragedia di Alessandro non è un caso isolato; il sovraffollamento delle carceri e la carenza di personale specializzato sono problemi noti da tempo. Tuttavia, ogni nuova vittima riaccende il dibattito sulla necessità di riforme strutturali e di un approccio più umano e attento alle esigenze dei detenuti.

Per i genitori di Alessandro, il processo rappresenta una speranza di giustizia, ma anche un doloroso percorso di ricostruzione della verità. La loro battaglia non è solo per il figlio, ma per tutti coloro che, come lui, si trovano a lottare contro un sistema che spesso sembra dimenticarli. La loro voce si unisce a quella di molte altre famiglie che chiedono un cambiamento, affinché tragedie simili non si ripetano.

Mentre il processo si avvicina, rimane l'incertezza su quale sarà l'esito e su quali conseguenze avrà per il sistema carcerario. La vicenda di Alessandro Gaffoglio è un monito per tutti noi: la vita di un giovane non può essere spezzata nell'indifferenza generale. È un richiamo alla responsabilità collettiva e alla necessità di un sistema che sappia prendersi cura dei più fragili, anche dietro le sbarre.

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