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Torino
18 Settembre 2024 - 17:43
Chiara Appendino
L'ex sindaca di Torino, Chiara Appendino, "non si è limitata a ideare la proiezione della partita di calcio, ma ha dato impulso alle scelte riguardanti il luogo di svolgimento e l'ente deputato ad organizzare la manifestazione, senza preoccuparsi di valutare la sostenibilità in termini di sicurezza di tali scelte. Ha, inoltre, mancato negligentemente di adottare l'ordinanza antivetro, circostanza che ricade nella fase organizzativa dell'evento, con innegabili conseguenze sulla sicurezza della manifestazione."
È quanto scrivono i giudici di Cassazione nelle motivazioni con cui il 17 giugno scorso hanno disposto un nuovo processo di appello per i fatti di piazza San Carlo, in cui morirono due persone e 1.672 rimasero ferite.
La Suprema corte, che ha dichiarato "irrevocabile" la responsabilità penale dell'ex sindaca per tutti i capi di imputazione, ha stabilito che dovrà essere ricalcolata l'entità della pena, riducendola. Appendino era stata condannata a 18 mesi di reclusione nel procedimento in cui si ipotizzano, a seconda delle posizioni, i reati di disastro, omicidio e lesioni, tutti in forma colposa.
Il ricalcolo è legato al fatto che i giudici di secondo grado di Torino, pur avendo prosciolto l'imputata dall'accusa di lesioni per 10 feriti, "non ha ridotto la pena così incorrendo in una palese violazione del divieto di reformatio in peius."
Nelle oltre 160 pagine di motivazioni, la Cassazione afferma che "la prevedibilità dell'evento debba essere rapportata non alla causa primigenia dello spostamento della folla - nella specie, diffusione dello spray urticante da parte di una banda di rapinatori - ma alla conseguenza generatasi in seguito all'azione dolosa dei rapinatori (panico collettivo)."
In questo senso, "si sono correttamente mossi i giudici di merito nella ricostruzione della vicenda, osservando come l'azione dolosa avesse costituito 'solo l'innesco, come tale perfettamente fungibile e non caratterizzante' del decorso causale, determinando l'esito di un evitabile e certamente prevedibile fenomeno di panico collettivo."
La Cassazione aggiunge che sono "numerose le circostanze indicate dai giudici di merito suscettibili di rivelare la superficialità della preparazione della manifestazione e la sottovalutazione dei rischi a cui erano esposti gli spettatori in ragione della scarsità del tempo impiegato per l'organizzazione della proiezione" della finale di Coppa tra Juventus e Real Madrid.
Gli ermellini ricordano che "la scelta del luogo nel quale effettuare la proiezione avrebbe dovuto essere preceduta, nel contesto temporale di riferimento, da una riflessione ponderata, che avesse tenuto conto della peculiare conformazione della piazza e del numero dei partecipanti, anche alla luce delle modalità di allestimento della proiezione, che prevedeva un unico maxischermo nelle vicinanze del quale si sarebbero affollati migliaia di spettatori."
E ancora: "i giudici di merito hanno posto in rilievo come Appendino fosse stata ben al corrente della necessità di una organizzazione scrupolosa della manifestazione sotto il profilo della sicurezza, pubblicizzando nei suoi messaggi un impegno di settimane nella preparazione dell'evento per assicurare lo svolgimento sicuro della proiezione."
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