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Cronaca

TRAGEDIA DEL MOTTARONE: CHIUSA L’INCHIESTA

Sei persone fisiche e due società indagate

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Tragedia del Mottarone

 A due anni dalla tragedia del Mottarone la Procura di Verbania ha chiuso le indagini per sei persone fisiche e due società, contestando a vario titolo i reati di attentato alla sicurezza dei trasporti, rimozione o omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, disastro colposo, omicidio plurimo colposo, lesioni colpose gravissime e, solo per uno, anche il falso.

Nell'incidente, avvenuto intorno alle 12.15 del 23 maggio, hanno perso la vita quattordici persone, tra cui due bambini. Solo il piccolo Eitan, all'epoca cinque anni, è sopravvissuto.

Ecco le tappe della vicenda giudiziaria:

• 24 maggio 2021: apertura formale dell'inchiesta condotta dai carabinieri e coordinata dal procuratore di Verbania, Olimpia Bossi, e dal pm, Laura Correra. Dai primi accertamenti, in base alle testimonianze raccolte e al materiale sequestrato, emergono i due temi centrali: il cavo tranciato e il mancato funzionamento del sistema frenante di sicurezza.

• 25 maggio: la Procura convoca in caserma a Stresa, di sera, Luigi Nerini, titolare della Ferrovie del Mottarone, il direttore d'esercizio, Enrico Perocchio, e il capo servizio, Gabriele Tadini. Quest'ultimo ammette di avere ripetutamente inserito i cosiddetti forchettoni, disattivando il freno di sicurezza, per evitare che la cabina si bloccasse lungo il percorso. Scelta che per gli inquirenti sarebbe stata condivisa dai tre, fermati quella stessa notte e la mattina dopo trasferiti in carcere a Verbania.

• 29 maggio: il gip di Verbania non convalida il fermo, scarcera i tre indagati e dispone gli arresti domiciliari solo per Tadini. Una decisione che, per una questione formale, apre uno scontro tra toghe che arriva fino al Csm, mentre il procedimento viene riassegnato a un altro giudice. 

• 7 giugno: la Procura presenta appello davanti al Tribunale del Riesame di Torino contro la decisione del giudice delle indagini preliminari.

• 12 giugno: il gip accoglie la richiesta di incidente probatorio avanzata dalla difesa di Tadini. 

• 2 luglio: l'inchiesta si allarga ad altri undici indagati. Tra questi ci sono la Leitner, che si occupava della manutenzione, i vertici del gruppo altoatesino e altri tecnici di società esterne che si sono occupati dei controlli. 

• 22 luglio: con il conferimento dell'incarico da parte del gip a ingegneri esperti comincia l'incidente probatorio. Due le perizie: una informatica e una sulle cause. Oltre cinquanta sono i familiari delle vittime indicati come parti offese. Ciascuna delle parti processuali, Procura compresa, ha propri consulenti. 

• 28 ottobre: il Tribunale del Riesame di Torino accoglie il ricorso della procura di Verbania e dispone i domiciliari anche per Enrico Perocchio e Luigi Nerini, i quali ricorrono in Cassazione. 

• 25 novembre: Gabriele Tadini torna libero per scadenza dei termini. 

• 19 aprile 2022: la Cassazione annulla con rinvio il provvedimento del Riesame di Torino sui domiciliari per Nerini e Perocchio. - 16 settembre: depositate, dopo quattro proroghe, le due perizie. Oltre alla pratica illecita di inserire i forchettoni, vengono messe in luce la scarsa manutenzione dell'impianto, i mancati controlli sulla fune, che era già lesionata e poi si è spezzata, l'insufficiente preparazione del personale e anche l'inadeguatezza della strumentazione. La scatola nera, in particolare, conserva i dati di otto mesi e non di un anno, come invece prevede la legge. 

• 20 ottobre: comincia l'esposizione in aula dei periti nell'ambito dell'incidente probatorio che si chiude, tra esame e controesame, il 16 dicembre, dopo una serie di udienze. 

• 13 gennaio 2023: un nuovo collegio del tribunale del Riesame di Torino, in linea con una nuova richiesta della Procura di Verbania, sospende per un anno Nerini e Perocchio, il primo dall'esercizio dell'attività di imprenditore nel settore dei trasporti e il secondo dall'esercizio della professione. 

• 19 maggio : chiusura dell'inchiesta per sei persone, ossia Nerini, Perocchio, Tadini e i vertici di Leitner, e per lo stesso gruppo altoatesino e Ferrovie del Mottarone, la società che gestiva l'impianto. 

Un sibilo, la frustata e la cabina va giù: 14 vittime 


Prima un sibilo simile al rumore di una frustata, poi un boato "pazzesco" e un altro, meno forte.

Pochi secondi trasformano in tragedia quella che doveva essere una domenica di svago, con un clima quasi estivo e il Covid finalmente passato nelle retrovie. La funivia del Mottarone, che dal versante piemontese del lago Maggiore sale quasi in cima all'omonimo monte, precipita al suolo. Per lo schianto perdono la vita quattordici persone, tra i quali due bambini.

Due anni dopo il terribile incidente la Procura di Verbania chiude le indagini sulla lunga sequenza di errori, omissioni e sottovalutazioni di chi doveva garantire la sicurezza dell'impianto. Ed ora per gli indagati, tra cui il direttore tecnico e il caposervizio ma anche Ferrovie del Mottarone e la Leitner che si occupava della manutenzione, si profila il processo.

"È caduta una cabina della funivia di Stresa, in cima al Mottarone...non sappiamo esattamente dove. All'interno ci sono almeno sei persone, sicuramente gravissimi.. Che casino… che casino... che casino", dice affannata l'operatrice del 118 che lancia l'allarme poco prima dell'ora di pranzo di quel 23 maggio.

A pochi metri dalla stazione di arrivo la fune traente si spezza e la cabina numero tre precipita all'indietro, superando i cento chilometri orari. Un proiettile che rimbalza all'altezza del primo pilone e vola via per una cinquantina di metri prima di schiantarsi tra gli alberi. La macchina dei soccorsi si mette subito in moto. Il bilancio parziale delle vittime si aggrava con il passare dei minuti. Tra le lamiere accartocciate ci sono cinque famiglie.

L'unico superstite è il piccolo Eitan, all'epoca cinque anni appena, la mano sul cuore nell'ultima foto scattata sulla funivia prima del disastro. A salvarlo sarebbe stato l'abbraccio del padre, morto con la moglie, l'altro figlio e i nonni. Un estremo gesto d'amore che non servirà invece a proteggerlo, di lì a qualche settimana, dalla battaglia per il suo affidamento, con tanto di rapimento fino in Israele, terra d'origine dei suoi famigliari.

I primi soccorritori arrivati sul posto descrivono una scena "infernale", "devastante", "indescrivibile", "apocalittica": i resti delle povere vittime e di quello che avevano portato con se per trascorrere qualche ora in vetta e godersi la vista mozzafiato del Monte Rosa da un lato e delle Isole Borromee dall'altro, sono sparsi ovunque lungo il pendio della montagna. In un baleno la notizia della tragedia fa il giro del mondo e suscita dolore anche nelle più alte cariche dello Stato.

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, esprime "la partecipazione di tutta l'Italia alle famiglie colpite dal tragico incidente e alle comunità in lutto". Sentimenti a cui "si affianca - dice ancora il Capo dello Stato - il richiamo al rigoroso rispetto di ogni norma di sicurezza per tutte le condizioni che riguardano i trasporti delle persone".

Un tema, quest'ultimo, su cui si concentrano fin da subito le indagini, condotte a spron battuto tra sopralluoghi, interrogatori a raffica. sequestri e analisi di documenti, e infine anche due perizie.

Decine e decine di faldoni che attendono ora di essere utilizzati per arrivare al primo verdetto sulle responsabilità dell'incidente. E dare così giustizia alle quattordici vittime i cui nomi sono ora scolpiti su una lapide posata nello stesso luogo in cui la cabina bianca e rossa ha finito la sua corsa.

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