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05 Settembre 2025 - 01:00
Willie Peyote si schiera ancora per Gaza: dal palco ai social il rapper sostiene la Global Sumud Flotilla
Anche Willie Peyote, all’anagrafe Guglielmo Bruno, classe 1985, nato e cresciuto a Leini, ha deciso di schierarsi apertamente al fianco della Global Sumud Flotilla, la missione internazionale di navi civili che tenta di forzare il blocco imposto a Gaza portando beni di prima necessità e medicinali alla popolazione palestinese. Lo ha fatto con un video pubblicato sui suoi canali social, un reel semplice e diretto, senza fronzoli, dove con il tono asciutto che da sempre lo contraddistingue ha spiegato le sue motivazioni: «I governi di tutto il mondo non stanno facendo nulla – dice – per questo è fondamentale che siamo noi cittadini a mantenere alta l’attenzione, affinché la flotta raggiunga il suo obiettivo e torni a casa sana e salva».
Nessun linguaggio diplomatico, nessuna parola addolcita. La cifra di Willie Peyote è proprio questa: non piacere a tutti, ma dire chiaramente ciò che pensa. Lo ha ribadito nel video, sottolineando che le dichiarazioni arrivate da Israele non lasciano presagire nulla di buono per il trattamento che verrà riservato alle imbarcazioni, molte delle quali ospitano anche cittadini italiani. «È importante continuare a parlarne, anche se se ne è già parlato – aggiunge – perché le persone che sono partite rischiano in prima persona e hanno deciso di farlo per portare sollievo a chi vive da troppo tempo sotto assedio».
Non è la prima volta che il rapper di Leini interviene sul genocidio in corso a Gaza. Anzi, negli ultimi mesi si è fatto più volte portavoce di una rabbia che in pochi, nel panorama musicale italiano, hanno avuto il coraggio di esprimere. Venerdì 19 luglio, sul palco del Wondergate Festival di Napoli, davanti a una folla gremita, ha pronunciato parole che hanno scosso il pubblico: «Mi chiedo perché il nostro governo non faccia un cazzo». Una frase secca, definitiva, capace di bucare quel muro di silenzio che circonda la politica italiana sul tema palestinese.
Il suo non è stato un semplice sfogo. È stata una dichiarazione di responsabilità. Quel giorno, a Napoli, ha puntato il dito contro l’ipocrisia del mondo della musica, ricordando come tanti artisti si schierino per la Palestina ma continuino a pubblicare brani e album su piattaforme come Spotify, senza dire nulla del fatto che il suo fondatore e CEO, Daniel Ek, abbia investito centinaia di milioni di euro nell’industria bellica. «Tutti gli artisti giustamente si schierano per dire di fermare il genocidio a Gaza, però nessuno dice mai un cazzo su Spotify», ha detto con la lucidità di chi non si accontenta delle mezze verità.
Quella denuncia è diventata virale. Non tanto per il linguaggio crudo, quanto per la precisione con cui metteva in fila fatti documentati: i 600 milioni di euro di Ek nella start-up Helsing, specializzata in droni da guerra; i 150 mila dollari spesi per partecipare alla festa d’insediamento di Donald Trump; la contraddizione di un imprenditore che si presenta come paladino dell’arte e dell’inclusività, ma investe in strumenti di morte. Willie Peyote ha squarciato il velo di ipocrisia con la naturalezza feroce che lo contraddistingue.
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Chi conosce la sua carriera sa bene che non è un episodio isolato. Laureato in Scienze Politiche, cresciuto tra centri sociali e palchi indipendenti, l’artista torinese ha fatto della coerenza il proprio marchio di fabbrica. Nel 2021 a Sanremo conquistò il Premio della Critica con “Mai dire mai (La locura)”, una canzone che prendeva in giro l’intero sistema mediatico e televisivo, denunciando la spettacolarizzazione della politica e l’idiozia collettiva travestita da intrattenimento. Anche in quell’occasione usò il palco non per promuovere se stesso, ma per smascherare un sistema.
Oggi, con la stessa radicalità, si schiera per Gaza. Non si limita a dire “Free Palestine” come slogan da postare. Indica nomi, cognomi, responsabilità. Chiama in causa i governi che non muovono un dito e gli artisti che tacciono per convenienza. «Se siete a un mio concerto, sapete da che parte sto», ha dichiarato sempre dal palco del Wondergate, tracciando una linea netta tra chi accetta lo status quo e chi invece prova a incrinarlo.
La sua adesione alla Global Sumud Flotilla si inserisce in questa linea di pensiero. Non è un atto isolato, ma il tassello di un percorso di impegno che intreccia musica e politica, ironia e denuncia, coerenza e rischio. Nel video diffuso sui social ha anche invitato i fan a partecipare a un crowdfunding per sostenere la missione della flotta, mostrando come la mobilitazione non si esaurisca in un post o in un concerto, ma debba tradursi in azione concreta.
Le sue parole hanno un peso particolare perché arrivano in un tempo in cui molti artisti preferiscono non esporsi, temendo di perdere contratti, sponsor, posizionamenti nelle playlist. Willie Peyote invece continua a sfidare questa logica: non teme di risultare scomodo, non teme di farsi nemici. Non ha mai cercato scorciatoie nella sua carriera e non lo farà adesso. Per lui la musica è lotta, è pensiero, è scelta.
E in un momento storico in cui le guerre sembrano diventare sottofondo di scroll compulsivi e rassegnazione, la sua voce risuona come atto di resistenza. Perché quando un artista decide di rischiare la propria popolarità pur di dire la verità, allora la musica torna a essere davvero ciò che deve: una forma di rivoluzione.
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