Nemmeno il giudice gli aveva creduto quando, pochi mesi fa, Marcello Paternò, 23 anni, di Ivrea, aveva raccontato di aver martellato di telefonate e messaggi anonimi, contenenti scherzi o, peggio ancora, insulti, alla coetanea S.O., residente a Bollengo, “soltanto per amicizia”. Eppure, nonostante tutte le testimonianze fossero a sfavore del giovane, imputato per molestie presso il tribunale di Ivrea, il giudice Maria Claudia Colangelo, l’altra settimana, al termine della discussione, lo ha assolto, con la formula che “il fatto non sussiste”, accogliendo così la richiesta formulata dall’avvocato difensore Paolo Maisto. Lo stesso Pubblico Ministero, Emanuele Bosio, ha constatato che le telefonate oggetto del processo erano una ventina, arrivate al telefono della ragazza nel periodo fra il luglio e il dicembre del 2011. 198 gli sms. Senza contare gli squilli, “forse ancora più pervasivi - ha evidenziato il Pm - perché limitano la tranquillità di poter usare il proprio cellulare”. Per questo lui aveva invece chiesto la condanna, ma una condanna molto leggera, 400 euro di ammenda. Ma perché Paternò si sarebbe reso così soffocante nei confronti dell’amica? Secondo l’avvocato Maisto non c’era nemmeno prova che le chiamate fossero arrivate da lui. A metterlo nei guai, infatti, era stata l’individuazione dell’utenza telefonata, da parte dei carabinieri in seguito alla denuncia sporta da S.O., intestata alla madre del ragazzo. “Soltanto un indizio” ha commentato il legale. Nessuna giustizia, quindi, per la giovane. In aula, ancora scossa nonostante siano passati cinque anni dalla vicenda, S.O. aveva raccontato che nel 2010, verso la fine della quinta superiore, il gruppo di amici stava cominciando a sfaldarsi. Ognuno stava prendendo nuove strade, chi l'università, chi il lavoro. Lei e Marcello potevano definirsi, allora, “migliori amici”. “Poi qualcosa è cambiato” aveva raccontato in aula, raccontando di molestie anonime subite prima su facebook e poi sul cellulare, tanto da decidere, ad un certo punto, di lasciare Ivrea per un soggiorno di un anno in Australia. Solo al ritorno, convocata in questura, i carabinieri le dissero di aver trovato l’utenza.
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