Qualcuno la conosce la legge di Murphy? “Se qualcosa può andar male, andrà male”. E lo sviluppo della legge di Murphy? “Se tutto è andato bene, evidentemente qualcosa non ha funzionato....”. Bene. Non c’è legge che al mondo riesca a riassumere meglio il caso dell’amianto nelle aziende Olivetti. Se c’era una cosa, anche solo una per far rivoltare nella tomba due imprenditori che sulla sicurezza e sul benessere delle famiglie che lavoravano per loro, si sarebbero fatti ammazzare l’abbiam trovata. Infangare il nome dell’azienda che fu di Adriano e Camillo Olivetti, dicendo che lì, proprio ad Ivrea, sotto le rosse torri si moriva in fabbrica e negli uffici, nei corridoi e in mensa. E tutti giù, pancia a terra, a cercare vittime, presunte vittime, carnefici e presunti carnefici. Telegiornali, radio, quotidiani, settimanali e trisettimanali a caccia di scoop, di testimoni chiave e eccellenti, di particolori rimasti oscuri fino all’altro ieri e ora spuntati fuori come un fungo dalle carte dell’inchiesta della Procura della Repubblica di Ivrea. La Stampa, Libero, Il Fatto. Tutti, persino Repubblica e Sentinella ci stanno dando dentro, a caccia dei più piccoli particolari che vorrai mai che si dicesse che sono i giornali del padrone. Mah. Che brutto sport. Che brutta flemma. No! Grazie. A questo gioco e per qualche tempo, noi facciamo che ci asteniamo. Lo dobbiamo se non altro per rispetto ad una persona perbene sul serio, quell’Adriano Olivetti che mise al centro degli interessi non il dio denaro, come facevano e ancora fanno tanti imprenditori e impresari, ma proprio la tutela dei suoi operai. Legge di Murphy: Se c’è un imprenditore che vuole legare il suo nome alla qualità della vita, sicuro l’azienda finirà sotto processo per non averla presa in considerazione abbastanza. Una fine ingloriosa. No. Se tutti quanti noi non dimenticheremo che fu dell’Olivetti il primo congedo per maternità, l'orario di lavoro ad 8 ore, gli asili vicino alla fabbrica, le case belle per chi non ce l’aveva. Un modello. Uno stile fin da subito odiato dagli industriali del nord, capaci a quei tempi di trattare gli operai solo un po’ meglio degli schiavi. Poi è vero che con la morte di Adriano qualcosa si ruppe, ma lo stile dell’azienda famigliare rimase e gli stipendi d’oro più alti degli stipendi di qualsiasi altro posto di lavoro pure. E’ vero ci sono dei morti di mesotelioma, sono 15 e sono destinati a salire. E ci sono 39 indagati tra cui Carlo, Franco e Rodolfo De Benedetti, Corrado Passera, Camillo Olivetti e Roberto Colaninno. Accusati di omicidio e lesioni colpose per il talco (tremolite) usato nella fabbrica già a partire dagli anni ‘70. E’ vero ci sono state le sofferenze, i medici, le diagnosi, ma è tutto ancora troppo poco per gettare la storia di un’impresa che ha dato lavoro e trasformato in meglio l’esistenza a migliaia di persone, alle ortiche o nel fango. Perchè una morale, alla fine del processo, è del tutto evidente che ci sarà, e non sarà neanche lontanamente paragonabile all’epilogo dell’eternit di Casale, dove si sapeva e si sa, eppure ancora da qualche parte nel mondo si produce e si vende quello stesso materiale. Dove si conta almeno un morto per famiglia e non solo tra gli operai che lavorarono a contatto delle pericolose fibre. Colpa dell’aria inquinata, delle polveri che svolazzavano. A Ivrea no! A Ivrea c’era già persino l’aria condizionata in ufficio e i neon per non rovinare gli occhi di chi avrebbe passato tutta la giornata a scrivere davanti ad una macchina dattilografica. Non si scherza con la storia e quella dell’Olivetti è davvero tutta un’altra storia...
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