Ho letto da qualche parte, non ricordo più bene dove, che in direzione Dora, quest’estate, sarebbero state abbandonate montagne di rifiuti. Sporcaccioni a parte, mi è venuto in mente di un vecchio progetto dell’ex sindaco Bruno Cena, poi portato avanti solo per metà.. Riguardava una nuova area pic-nic che poi venne per l’appunto realizzata, ma anche la risistemazione dell’antica cappella di Targia Vaira (località Giovara), su disegni del geometra Bruno Actis Dato. E chissà se ce li ha ancora in qualche cassetto. Alla direzione lavori era stato chiamato Alvise Dughera e per non gravare troppo sui conti pubblici, per un primo lotto di intervento, si erano fatti avanti gli Alpini di Livio Artino, che avevano cominciato dal tetto e, infatti, il tetto non c’è più. Ad un certo punto, con il ritrovamento di alcuni scheletri - e si sa che un tempo era intorno alle chiese che venivano seppelliti i morti - si bloccò tutto e non se ne fece più nulla, forse per paura di una qualche denuncia. Un danno enorme, considerando che anche l’intelaiatura a difesa di quel che restava, con il tempo è stata erosa dalle intemperie. Un dano enorme per la conservazione di quel poco di storia del paese che ancora valesse la pena conservare. Per carità di edifici da storici in giro per l’Itaia ce ne sono tanti, ma pechè non anche questa cappella, magari inserita nel più grande progetto della via Francigena. La storia della piccola cappella di Targia Vaira, dedicata a San Giacomo protettore dei pellegrini e dei viandanti) e situata in località “Mezze i ponti” si perde nella notte dei tempi. Intorno all’anno mille, secondo molte fonti, dava ospitalità a quanti la raggiungevano proprio lungo la via Francigena, di fronte ad un porto situato sul torrente Dora, il Transitus Portus Duriae. Sempre qui vi sarebbe stata anche l’esistenza di un convento di religiosi e di una casa ospitaliera. Nel 1406 gli edifici che erano di proprietà dell’Abbazia di San Giacomo di Stura passarono nelle mani della Curia vescovile di Torino che qualche anno più tardi li cedette in enfiteusi per far fronte ad alcuni problemi finanziari. Da qui in avanti non se ne sa più nulla, salvo quel che dicono alcune cronache del 1750, quando il parroco Don Giovanni Dughera decise di risistemarla per conservarla e regalarla ai posteri, cioè a noi.
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