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06 Ottobre 2025 - 13:01
Maria Zacharova durante la cerimonia di inaugurazione della scultura 'Giornalisti russi' davanti alla sede centrale dell’agenzia di stampa TASS, su Tverskoj Bul’var a Mosca, il 6 ottobre 2025.
“Per non permettere al mondo di restare sordo e cieco”, ha dichiarato Maria Zacharova inaugurando la scultura ‘Giornalisti russi’, nella piazzetta antistante l’agenzia di stampa nazionale (TASS), su Tverskoj Bul’var 2, a Mosca. Poi ha aggiunto che “il Ministero degli Esteri tiene un registro delle violazioni subite all’estero dai giornalisti russi”. È il 6 ottobre 2025, e la portavoce del MID (Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa) sceglie parole che sembrerebbero voler riassumere la narrativa ufficiale del Cremlino: la Russia come vittima di una guerra dell’informazione, accerchiata da un mondo ostile e impegnata a difendere i propri cronisti da una presunta persecuzione globale.
‘Giornalisti russi’ è una opera monumentale realizzata dallo scultore Vladimir Ivanov, riconosciuto come “scultore onorato della Federazione Russa”, ed è stata inaugurata proprio oggi. Secondo la direzione della TASS, si tratta del primo monumento in Russia dedicato alla professione del giornalista e a tutti i collaboratori dei media nazionali attivi. Come ha spiegato Andrej Kondrašov, direttore generale di TASS, la scultura non è un memoriale per i caduti, ma un tributo ai giornalisti russi che oggi “portano la verità nel mondo”.
Andrej Kondrašov, direttore generale dell’agenzia di stampa TASS (Telegrafnoe Agentstvo Sovetskogo Sojuza - Agenzia Telegrafica dell’Unione Sovietica).
Secondo le fonti del Ministero, il registro sui giornalisti menzionato dalla Zacharova raccoglierebbe i casi di discriminazione, arresto o espulsione che coinvolgono reporter russi in Europa e in altre aree del mondo. La stessa portavoce del MID spiega che “ogni segnalazione attiva un intervento immediato della diplomazia”, un meccanismo che, a suo dire, consentirebbe di monitorare le pressioni sui media russi e di “mettere in moto i canali consolari”. Tuttavia, nessun dato ufficiale è mai stato reso pubblico: né numeri, né criteri, né esiti dei casi trattati. Sul sito del ministero compare soltanto una sezione tematica dal titolo “Violazioni dei diritti dei cittadini russi all’estero”, che raccoglie comunicati e denunce, più vicina a un archivio redazionale che a un vero database.
Dopo il 2022, anno in cui l’invasione dell’Ucraina sembrerebbe aver trasformato la comunicazione russa in un’estensione della guerra, la figura del giornalista russo all’estero è diventata doppiamente vulnerabile: sospettato in Europa, controllato in patria. L’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), in un rapporto del marzo 2022, descriveva già “una chiusura crescente dello spazio mediatico russo” e la necessità per molti reporter di cercare rifugio oltre confine. Il Committee to Protect Journalists (CPJ) calcolava nello stesso periodo che oltre duecento professionisti dell’informazione avessero lasciato la Russia nei primi mesi del conflitto, spostando redazioni intere a Riga o Tbilisi.
Dal 2022 in poi, più di trenta testate indipendenti sono state oscurate o dichiarate “agenti stranieri”, tra cui Meduza, Novaya Gazeta e TV Rain (Dožd’). I loro giornalisti hanno continuato a lavorare in esilio, subendo cyberattacchi e campagne di discredito orchestrate dai media statali.
Per contro, Mosca ha accusato l’Unione Europea di “censura selettiva” dopo il blocco dei canali RT e Sputnik, sostenendo che le sanzioni ai media russi “violano la libertà di stampa”. Ma mentre la Russia rivendicava il diritto di parola dei propri cronisti, più di venti reporter interni venivano processati per “diffusione di informazioni false sull’esercito”: un reato introdotto nel marzo 2022 e punito fino a quindici anni di carcere.
Nel 2023 e 2024, il Cremlino ha più volte denunciato “atti di intimidazione” contro i propri cronisti accreditati in Europa. Secondo la TASS, due inviati dell’agenzia a Vienna si sono visti revocare l’accredito per presunti motivi di sicurezza nazionale: un episodio che il MID ha presentato come “persecuzione politica”. The Insider, testata investigativa russa in esilio, ne ha offerto una lettura opposta: secondo le autorità austriache, dietro la revoca c’erano elementi di attività informativa non giornalistica, ossia sospetti di spionaggio.
Il contrasto fra la narrazione ufficiale e quella occidentale si è accentuato proprio quest’anno. A febbraio, la Francia ha negato i visti d’ingresso a due giornalisti di Izvestia, suscitando la protesta immediata di Mosca. Il Ministero degli Esteri russo ha convocato l’ambasciatore francese, accusando Parigi di «discriminazione sistemica» e collegando la vicenda alla mancata proroga dell’accredito di un corrispondente francese in Russia. Secondo Le Monde, il diniego era dovuto a motivi di sicurezza nazionale legati a sospetti di copertura diplomatica o intelligence. La diplomazia russa, tuttavia, ha trasformato l’episodio in un simbolo della propria campagna: «I giornalisti russi vengono esclusi solo perché russi», ha dichiarato Maria Zacharova in conferenza stampa.
A giugno, un nuovo scontro si è consumato con la Germania. Il Ministero degli Esteri russo ha annunciato la convocazione dell’ambasciatore tedesco a Mosca dopo presunte “molestie” ai danni di reporter russi a Berlino. Il governo tedesco ha replicato che si trattava di semplici controlli amministrativi sui permessi di soggiorno e che “nessuno era stato ostacolato nell’esercizio della professione”. Deutsche Welle ha definito la protesta russa “un gesto politico più che consolare”.
Evan Gerškovič, giornalista del Wall Street Journal, durante un’udienza al tribunale di Mosca. Arrestato nel marzo 2023 con l’accusa di spionaggio, è rimasto detenuto per oltre un anno nel carcere di Lefortovo prima di essere liberato nell’agosto 2024 nell’ambito di uno scambio di prigionieri tra Russia e Stati Uniti.
E in Russia? Il caso di Evan Gerškovič, giornalista del Wall Street Journal arrestato nel 2023 e rimasto per oltre un anno nel carcere moscovita di Lefortovo, divenuto il simbolo della diplomazia ostaggio tra Washington e Mosca. Rilasciato nell’agosto 2024 a seguito di uno scambio di prigionieri, continua tuttavia a rappresentare una ferita aperta nelle relazioni tra i due Paesi: per la Russia resta “una questione di sicurezza nazionale”, per gli Stati Uniti un caso emblematico di persecuzione politica mascherata da giustizia.
Ivan Safronov, ex giornalista di Kommersant e Vedomosti, condannato nel 2022 a ventidue anni di reclusione per “tradimento” dalla Corte militare di Mosca. La sua vicenda è diventata il simbolo della repressione contro la stampa indipendente in Russia.
In patria, la condanna del reporter Ivan Safronov (arrestato nel 2022) a ventidue anni di reclusione per “tradimento” resta un monito permanente a chi tenta di raccontare il potere dall’interno. Nell’ottobre 2023 è stata arrestata a Kazan Alsu Kurmaševa, corrispondente di Radio Free Europe/Radio Liberty con doppia cittadinanza russo-americana, accusata di “diffusione di informazioni false sull’esercito”. Liberata nell’agosto 2024 nell’ambito di uno scambio di prigionieri tra Russia e Stati Uniti, il suo caso è stato paradossalmente inserito dal Ministero degli Esteri russo nel “registro delle violazioni contro i giornalisti russi all’estero”, come esempio di “pressione occidentale” — nonostante l’arresto sia avvenuto sul territorio russo.
Alsu Kurmaševa, giornalista di Radio Free Europe/Radio Liberty con doppia cittadinanza russo-americana, durante un’udienza presso il tribunale di Kazan. Arrestata nell’ottobre 2023 con l’accusa di “diffusione di false informazioni sull’esercito russo”, è stata liberata nell’agosto 2024, anche lei nell’ambito di uno scambio di prigionieri tra Russia e Stati Uniti.
Nel frattempo, sembra che il Cremlino stia tracciando confini sempre più stretti attorno a ciò che può essere considerato “giornalismo”. L’etichetta di “agente straniero”, applicata a decine di testate e singoli reporter, colpisce anche chi opera fuori dal Paese. Stando a quanto riportato da VOA News, il 17 gennaio 2025, la BBC russa è stata formalmente inserita nella lista del Ministero della Giustizia. Secondo Reuters, la misura obbliga tutti i collaboratori a dichiarare ogni fonte di reddito e comporta gravi rischi per le famiglie rimaste in patria. Così il cerchio si chiude: il “registro delle violazioni all’estero” convive con un sistema di controllo interno che limita chiunque tenti di raccontare la guerra o criticare il potere.
Nel documento del MID, aggiornato all’autunno 2025, il linguaggio resta quello della contrapposizione: l’Occidente è accusato di “perseguire una politica di censura nei confronti dei media russi”, mentre la Russia si definisce “difensore della libertà d’informazione”. Tuttavia, le organizzazioni internazionali registrano l’esatto contrario. Reporters Sans Frontières (Reporter Senza Frontiere) ha classificato la Russia al 171° posto su 180 nel ‘World Press Freedom Index 2025’, denunciando arresti, autocensura e propaganda di Stato. Lo stesso anno, l’OSCE ha segnalato oltre quaranta casi di “minacce o aggressioni fisiche” contro giornalisti russi indipendenti, la maggior parte avvenuti sul territorio russo stesso o in Bielorussia.
Anche Amnesty International e Human Rights Watch hanno denunciato il “doppiogioco” russo: mentre accusa l’Occidente di limitare i propri cronisti, Mosca continua a perseguitare chi, in patria, osa pubblicare notizie non allineate. La guerra in Ucraina ha trasformato la professione in un campo minato, dove la parola “disfattismo” giustifica qualsiasi condanna.
La stessa opera “Giornalisti russi” riflette questa ambiguità: presentata come simbolo della verità e del coraggio, sembrerebbe anche un monumento funzionale alla narrativa di Stato. Il fatto che sia installata davanti alla sede dell’agenzia TASS e definita “la prima statua in Russia dedicata alla professione del giornalista” potrebbe conferisce all’opera un carattere istituzionale e propagandistico. In ogni caso, collocarla nel cuore dell’informazione ufficiale significa saldare definitivamente il giornalismo al potere, trasformando la memoria in messaggio.
Quando, questa mattina, Maria Zacharova ha inaugurato la scultura 'Giornalisti russi', le sue parole hanno avuto il sapore di un tentativo di ribaltare il paradigma: la Russia che si presenta come paladina dei reporter perseguitati. Nella narrazione ufficiale, la “verità” coincide con quella del Cremlino; ma nella realtà, molti di coloro che hanno provato a raccontarla, perlomeno in maniera oggettiva, sono oggi in carcere, in esilio o costretti al silenzio.
Dietro il linguaggio diplomatico del MID - “registrare le violazioni”, “attivare i canali consolari” – si cela una strategia di propaganda che risponde alla stessa logica della guerra ibrida: l’informazione come arma, la vittima come strumento narrativo. A guardare oltre la retorica, il 'registro' potrebbe servire più a costruire un discorso di legittimazione che a proteggere davvero chi informa. Perché la sorte dei giornalisti russi, dal 2022 a oggi, resta segnata dalla contraddizione di dover scegliere tra la fedeltà alle verità e quella allo Stato. E in quella scelta, spesso silenziosa, si consuma la vera linea di confine tra giornalismo e propaganda.
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