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L’eco di una guerra più vicina

Diciannove (?) violazioni, tetti scoperchiati, Articolo 4 evocato: l’attacco con droni su Varsavia segna il punto più vicino al conflitto aperto in Europa dal 1945

L’eco di una guerra più vicina

Wyryki, villaggio polacco al confine con l’Ucraina: il tetto scoperchiato di una casa diventa simbolo visibile della notte dei droni russi, mentre pompieri e militari perlustrano tra macerie e paura.

Russian drones in Poland – Rosyjskie drony w Polsce - Российские дроны в Польше. Tre formule, tre lingue, un solo messaggio: nella notte fra il 9 e il 10 settembre i cieli della Polonia, Paese NATO, sono stati attraversati da sciami di UAV in arrivo dal fronte orientale della guerra. Più di una dozzina di droni hanno oltrepassato la frontiera, “con diversi intercettati e abbattuti dalle forze NATO”, ha scritto il Council on Foreign Relations nel briefing firmato da Liana Fix (senior fellow per l’Europa) ed Erin D. Dumbacher (Stanton nuclear security senior fellow). Nella stessa analisi si precisa che l’Alleanza “ha fatto decollare F-16 polacchi e F-35 olandesi, si è appoggiata a sistemi Patriot tedeschi e a velivoli da sorveglianza italiani”. Varsavia ha evocato l’Articolo 4, con il premier Donald Tusk che ha definito l’episodio “una provocazione su larga scala” e “il momento più vicino a un conflitto aperto dalla Seconda guerra mondiale”, pur aggiungendo che “non c’è ragione di credere che siamo sull’orlo della guerra”.

Il Cremlino puntato il dito su UE e NATO: “Accuse infondate!”, ma non ha negato esplicitamente il coinvolgimento. La Bielorussia, alleata di Mosca, ha sostenuto che le sue difese antiaeree hanno abbattuto droni russi entrati nello spazio aereo nazionale; il generale Pavel Muraveiko ha suggerito che gli UAV “hanno perso la rotta a causa dell’impatto dei mezzi di guerra elettronica delle parti”. È un punto-chiave della versione russa: errori, jamming, niente obiettivi in Polonia. 

Infine, come riportato dalla testata giornalistica Analisi Difesa, non si può al momento escludere un’operazione “false flag” concertata da Kiev e Varsavia, forse recuperando diversi Gerbera abbattuti dalle contromisure elettroniche ucraine negli ultimi mesi, per innalzare la tensione con Mosca e sensibilizzare gli alleati NATO meno attenti agli appelli alla mobilitazione contro la minaccia Russia. Resta un’ipotesi ma è meglio ricordare che ucraini e polacchi sono considerati i maggiori responsabili dell’attentato ai gasdotti Nord Stream nel Mar Baltico del settembre 2022, attacco che per molte settimane in Europa venne attribuito ai russi.

Ma le immagini di droni caduti nei campi polacchi – e i tracciati pubblicati da osservatori indipendenti – raccontano altro. Meduza riassume così gli “elementi noti”: “sul territorio della Polonia sono caduti diversi droni russi tipo ‘Gerbera’”, piattaforme usate spesso come decoy per sovraccaricare le difese ucraine; non portano quasi mai testate, ma la loro funzione è saturare i radar mentre Šached/‘Geran-2 e missili colpiscono gli obiettivi. È plausibile che le ‘Gerbera’, con avionica semplice e vulnerabile allo spoofing GPS, si siano discostate sensibilmente dalla rotta – fenomeno già visto in Bielorussia, Lituania e Lettonia – ma mai con la massa osservata sulla Polonia. 

Reuters dettaglia cosa sono le “Gerbera”: velivoli economici, spesso assemblati con materiali leggeri (legno/foam), con velocità fino a 160 km/h e un raggio d’azione di circa 600 km, impiegati come esche a basso costo per saturare le difese, talvolta con piccole cariche o payload ricognitivi. 

Intanto, sul terreno polacco, la cronaca si compone a mosaico. Rzeczpospolita titola: 'Rosyjskie drony nad Polską. Szansa na odszkodowanie za zniszczenia jest marna' (Droni russi sulla Polonia. Le chance di risarcimento per i danni sono scarse). Gli esperti interpellati dal quotidiano ritengono che chi subisse danni a case o auto potrebbe contare più sull’aiuto del governo che sulla ‘buona volontà’ dell’assicuratore, mentre “domandare copertura delle perdite all’aggressore sarebbe un’ovvia finzione”. La foto del villaggio Wyryki, che mostra un tetto scoperchiato è diventata il simbolo dell’impatto (per fortuna senza vittime). 

Nei minuti in cui i telefoni d’allerta squillano fra Lublino e Podlachia, il Dowództwo Operacyjne Rodzajów Sił Zbrojnych (DO RSZ), il Comando Operativo delle Forze Armate della Repubblica di Polonia, comunica: “la nostra spazio aereo è stato più volte violato da oggetti tipo drone. È in corso un’operazione di identificazione e neutralizzazione; su ordine del Comandante Operativo sono state impiegate armi”. Aeroporti chiusi in via temporanea (Varsavia, Rzeszów, Modlin, Lublino), voli dirottati; Tusk aggiorna il Sejm (la camera bassa del parlamento polacco): nessuna vittima, minaccia neutralizzata, cooperazione continua con Mark Rutte, segretario generale NATO. Il ministro della Difesa Władysław Kosiniak-Kamysz aggiunge: gli UAV che costituivano minaccia sono stati abbattuti; attivate anche le Forze di Difesa Territoriale per la ricerca a terra. Il viceministro Cezary Tomczyk mette in guardia dalla disinformazione. 

Quanto ai numeri, qui la cronaca si fa scabra: il governo polacco parla di 19 violazioni; Radio Liberty riporta una conta di crash-site e passaggi “nell’ordine delle decine” la notte del 9–10; The Guardian ha seguito live riferendo di 19 droni e della chiusura di quattro aeroporti. La forbice dipende dal fatto che si contano categorie diverse (violazioni dello spazio aereo, abbattimenti, crash-site, tracce radar) in archi temporali sovrapposti ma non identici. 

Sul costo dell’ingaggio, il media ucraino Telegraf UA rilancia un’analisi del quotidiano tedesco Bild: i piloti diF-35in Polonia avrebbero usatoAIM-9 Sidewinder da 400mila euro l’una contro droni low-cost; una fonte NATO (anonima) afferma che “a lungo termine non ha senso militare usare F-35 contro i droni” e che l’Alleanza sta valutando opzioni alternative contro le provocazioni. Il think tank CFR (Council on Foreign Relations) converge: “la NATO ha bisogno di sistemi a basso costo per colpo (jamming, energia diretta)”, perché “sparare missili da 1 milione contro droni da poche decine di migliaia non è sostenibile”. 

ISW (Institute for the Study of War), ripreso da Radio Svoboda, giudica “improbabile” che almeno 19 droni siano entrati in Polonia “per errore o per guasto”: il volume triplicherebbe il totale di tutti gli sconfinamenti dall’inizio della guerra; alcuni UAV potrebbero essere stati Gerbera decoy; e, evidenzia la testata indipendente Meduza - già a luglio il giornalista polacco Marek Budzisż riferiva di SIM polacche e lituane trovate su droni russi abbattuti in Ucraina - indizio di rotte di prova attraverso Polonia e Lituania. L’ipotesi: una campagna multilivello russa per testare capacità e volontà di risposta di Polonia e NATO. 

Sul piano diplomatico, Varsavia ha chiesto consultazioni ai sensi dell’Articolo 4 del Trattato NATO; la copertura live di The Guardian e gli aggiornamenti dei media polacchi confermano la cornice politica di “atto di aggressione” ma non di “stato di guerra”. Nel frattempo, il Cremlino liquida le preoccupazioni europee come “nulla di nuovo”, minimizzando anche l’imminente esercitazione russo-bielorussa al confine. 

Restano molte zone d’ombra che chiedono ancora di essere illuminate. Il numero esatto dei velivoli che hanno attraversato i cieli polacchi nella notte fra il 9 e il 10 settembre, così come la loro cronologia univoca, rimane sospeso tra stime divergenti: almeno sedici crash-site, diciannove violazioni segnalate da Varsavia, venticinque oggetti simili a Sached secondo altre fonti. Solo una timeline radar ufficiale di Polonia e NATO, con rotte, altitudini e tempi di ingaggio, potrà restituire una verità condivisa, come sottolineato da The Guardian. Anche la tipologia precisa degli UAV abbattuti o precipitati è da chiarire: la presenza di Gerbera, usati come esche, è ritenuta altamente probabile, ma resta da capire quanti fra quei velivoli fossero semplici decoy e quanti invece Šached, o Geran-2, con cariche esplosive. Sarà necessaria un’analisi forense dei relitti, componentistica e log di navigazione inclusi, come rileva Reuters.

Non meno incerta è la direzione d’ingresso: c’è chi parla di attraversamento via Bielorussia, chi di errori di rotta attraverso l’Ucraina, e serviranno i tracciati AWACS per distinguere tra ipotesi e realtà, nota ancora The Guardian. Le armi effettivamente impiegate dagli intercettori restano un altro nodo: AIM-9 o AIM-120, con costi stimati attorno ai 400mila euro a missile, secondo fonti rilanciate dal Council on Foreign Relations. Ma senza conferme ufficiali dalle comunicazioni NATO, ogni cifra resta ipotesi. Sul piano civile, Rzeczpospolita e altre testate segnalano che i cittadini colpiti nei loro beni potranno contare più sugli aiuti statali che sui rimborsi privati, ma mappare con chiarezza policy e fondi disponibili è oggi un’urgenza.

Infine, l’impatto sulle rotte aeree e sulla postura difensiva di lungo periodo: la Polonia ha imposto restrizioni allo spazio aereo dell’Est fino a dicembre, ma resta da verificare nei Notam, il bollettino di sicurezza dei cieli, e nei piani di rafforzamento della difesa aerea quali misure strutturali diverranno permanenti. In questo mosaico incompleto, ogni tessera mancante pesa quanto quelle già incastonate.

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