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Mondo Russia
14 Agosto 2025 - 08:47
Aleksandr Demčenko, giornalista ucraino, durante un collegamento televisivo con 24 Kanal per commentare gli sviluppi geopolitici del summit tra Donald Trump e Vladimir Putin.
C’è un filo sottile, teso e fragile, che attraversa i cieli d’estate e unisce Anchorage a Kiev, Mosca e Washington. È il filo della diplomazia, e il 15 agosto 2025 potrebbe tendersi fino a spezzarsi. In Alaska, Donald Trump e Vladimir Putin si incontrano per il loro primo faccia a faccia dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Non un incontro qualunque, ma un vertice che si svolge a migliaia di chilometri dai campi di battaglia, in una terra che fino al 1867 era russa e che oggi diventa palcoscenico di una partita ad altissima posta.
La scelta dell’Alaska è carica di simboli: per Putin, un richiamo alla potenza imperiale russa; per Trump, l’immagine di un leader capace di trattare “a casa sua” con uno dei rivali più ingombranti. Reuters ha confermato che Mosca non ha modificato le proprie condizioni: ritiro totale delle forze ucraine dalle regioni occupate, rinuncia alla NATO, abolizione delle sanzioni. Trump, dal canto suo, ha avvertito di “severe conseguenze” se il Cremlino non accetterà un cessate il fuoco, ma non ha mai chiarito fino in fondo quale prezzo sia disposto a pagare per ottenerlo. Di fatto, è un ritorno al punto di partenza, ma con una differenza cruciale: quelle che all’inizio del conflitto erano viste in Occidente come richieste massimaliste e irricevibili, oggi vengono riproposte in un contesto in cui la guerra logora Kiev, Trump è alla ricerca di un risultato rapido e parte dell’opinione pubblica occidentale è più incline a considerare compromessi pur di chiudere la guerra. È questo cambiamento di contesto a rendere le condizioni russe potenzialmente più pericolose, perché rimesse sul tavolo in un momento di maggiore pressione diplomatica e militare sull’Ucraina.
Nei giorni precedenti al vertice, il presidente statunitense ha parlato in videoconferenza con Vladimir Zelenskij e con i leader europei. The Guardian ha rivelato che in quell’occasione l’Europa ha ribadito una linea rossa: nessun negoziato può escludere Kiev. Zelenskij, con tono fermo, ha avvertito Trump che “Putin sta bluffando” e che “senza l’Ucraina non è possibile decidere del suo futuro”. Macron, Merz e altri leader hanno insistito su garanzie di sicurezza robuste e su un cessate il fuoco sostanziale come prerequisito a ogni trattativa.
Ma mentre la diplomazia ufficiale tentava di blindare una posizione comune, in Ucraina cresceva il timore di una trattativa parallela. A dar voce a questa paura è stato Aleksandr Demčenko, giornalista di Donbas.Realii (Radio Liberty), attualmente anche in servizio nelle Forze Armate ucraine e consulente del centro Come Back Alive. In diretta su 24 Kanal, ha dichiarato: “C’è il timore che Putin proponga qualcosa a Trump e che Trump accetti qualsiasi cosa”. Poi ha aggiunto: “E dica: ‘Va bene, siamo pronti a riconoscere i territori ucraini come russi’”.
Per Demčenko, questa eventualità è una linea invalicabile. “Ma, naturalmente, l’Ucraina ha la sua opinione in merito, e non c’è alcun consenso da parte nostra per un simile passo. Perciò, per noi, questo è inaccettabile. Penso che l’unica posizione che l’Ucraina possa assumere sia quella di dire che non siamo d’accordo”.
Il giornalista ha spiegato anche un aspetto meno visibile, ma cruciale: “Stanno preparando Trump in modo tale che, prima dell’inizio dei colloqui con Putin, abbia un confronto di sostegno. Così poi non potrà più tirarsi indietro… Non potrà dire che non era informato. Andranno ai colloqui con proposte pronte dall’Europa”. Un meccanismo di pressione preventiva che mira a vincolare le mosse del presidente statunitense, costringendolo a rispettare le aspettative dei partner occidentali.
La preoccupazione di Kiev non riguarda solo l’esclusione formale dai negoziati, ma anche il precedente storico che potrebbe crearsi. The Guardian ha scritto che “Trump da solo in una stanza con Putin è una ricetta per il disastro”, ricordando i vertici passati in cui il Tycoon accettò la versione russa dei fatti senza un’adeguata verifica.
Demčenko ha riportato alla memoria un episodio eloquente: “Putin aveva dato istruzioni chiare: fare tutto il possibile per evitare qualsiasi fallimento nell’ambito di questa operazione. Lo aveva dichiarato pubblicamente davanti ai generali dell’FSB”. Una frase che, secondo il giornalista, spiega la logica di Mosca: evitare qualsiasi passo che possa essere interpretato come una sconfitta, a qualsiasi costo.
Le agenzie di intelligence occidentali, citate in via confidenziale da fonti vicine alla NATO, vedono nel vertice di Anchorage un’occasione per Putin di ottenere legittimazione internazionale senza dover realmente rinunciare ai territori conquistati. Al tempo stesso, temono che Trump possa cercare un successo rapido da sbandierare in campagna elettorale, anche a costo di sacrificare parte delle richieste ucraine.
Il rischio, scrive Reuters, è quello di un accordo bilaterale in stile “Yalta 2.0”, con la divisione di sfere d’influenza e la promessa di pace in cambio di concessioni territoriali. Una prospettiva che Demčenko respinge con forza: “Combatteremo fino alla fine, perché questa è la nostra terra”.
Anchorage diventa così il crocevia di più partite: quella militare, ancora aperta sul campo; quella diplomatica, combattuta a colpi di ultimatum e comunicati; e quella simbolica, in cui la resistenza ucraina cerca di mantenere il centro della scena. Il vertice di domani non deciderà soltanto il futuro dell’Ucraina, ma anche la credibilità della parola “alleanza” nel mondo occidentale.
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