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22 Dicembre 2020 - 10:43
Il 24 dicembre, a che ora si celebra la Messa di mezzanotte? Alle venti! E la vespertina prefestiva (istituita da Pio XII nell’ormai lontano 1953, rispolverando l’antichissima consuetudine per cui il giorno comincia al tramonto che lo precorre)? Boh! Forse alle quindici o giù di lì. Oppure a mezzogiorno. Non c’è che dire, l’emergenza sanitaria ha sconvolto, se non il calendario liturgico, la pacifica sequela delle ore canoniche (mattutino, lodi, prima, terza, ecc.).
Nella storia, in verità, si possono rintracciare non pochi precedenti. Durante il secondo conflitto mondiale, ad esempio, la Messa di mezzanotte fu anticipata o soppressa a causa del coprifuoco. A Settimo Torinese, volendo ulteriormente esemplificare, il parroco di San Pietro in Vincoli la celebrò sino al 1942. Per ragioni di ordine pubblico, subito dopo il crollo del regime fascista, nel luglio 1943, il governo del maresciallo Pietro Badoglio istituì il coprifuoco. A Torino, in seguito all’armistizio dell’8 settembre, gli occupanti tedeschi si affrettarono a inasprirlo, anticipandone l’inizio alle ore venti. La sua durata mutò ripetute volte, con sensibili differenze da luogo a luogo. Nel gennaio 1944 Carlo Trabucco, allora in clandestinità a Roma (sarà poi sindaco di Castellamonte e consigliere provinciale a Torino per la Democrazia cristiana), annotò che «due attacchi contro soldati tedeschi» avevano indotto le autorità ad anticipare il coprifuoco alle diciassette. Anche in Settimo si dovette sopprimere la celebrazione natalizia di mezzanotte.
Fra gelo, viveri razionati, bombardamenti aerei, guerriglia partigiana e rappresaglie di fascisti e tedeschi, furono ben tristi le feste del biennio 1943-1944. Un episodio tra i tanti. In una casa di Rivalba, dove si nascondevano alcuni ebrei, irruppe una squadra dell’Ufficio politico investigativo di Torino: le tenevano mano due carabinieri di Gassino e la delatrice, una certa Maria Lesca detta Mara, trentacinquenne. Alcuni uomini cercarono di fuggire attraverso il giardino, ma uno dei militi aprì il fuoco e uccise due persone. La donna – come si poté appurare dopo la guerra, quando andò sotto processo – perquisì i cadaveri, sottraendo denaro e documenti. Accorgendosi che una delle povere vittime aveva in tasca una copia del romanzo «Gli dei hanno sete» di Anatole France (Premio Nobel per la letteratura), esclamò: «Se gli dei hanno sete, bevano il tuo sangue!». E sulla via del ritorno, poiché uno dei fascisti si rammaricava per l’accaduto, disse: «Coraggio ragazzi, fatevi animo, non vi preoccupate». Era il giorno di Natale del 1944.
Alla fine di questo luttuoso 2020, gli orari delle Messe non possono costituire un problema. Si pensi piuttosto alla dilagante mancanza di umanità. Il numero dei morti per Covid-19 ha smesso di turbarci. Che cosa rappresentano mai, in Italia, seicento o ottocento morti giornalieri a fronte della diffusa e sacrosanta esigenza di affollare i bar per l’aperitivo? L’ha cantata chiara quel consigliere comunale pavese, con tanto di master in relazioni diplomatiche (perbacco!), il quale si è sentito in dovere di ricordarci che «stiamo rovinando sul lungo termine la vita di un sacco di giovani» al solo scopo di «salvare poche migliaia di vecchietti». E, inneggiando a Charles Darwin, ha intimato al governo di «cambiare il passo» perché «di sacrifici ne abbiamo già fatti fin troppi».
A nessuno piace che i politici di qualsivoglia colore decidano gli orari delle Messe, ci apparecchino la tavola di Natale e programmino le piccole liturgie delle nostre esistenze. Eppure bisogna tutelare i più deboli e impedire che incoscienti, ammazzasette e filibustieri danneggino gli altri oltreché se stessi. Ma – come ha scritto lo scorso 15 dicembre Vincent Trémolet de Villers sulla prima pagina del prestigioso quotidiano «Le Figaro» – «coloro che amano la libertà devono assicurarsi che, domani, né il furore amministrativo né una forma di arroganza sanitaria sopravvivano al Covid». E allora, nonostante tutto, buon Natale!
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