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11 Luglio 2018 - 17:44
Oscar Canta
Non è facile scrivere un articolo su “zio” Oscar Canta. Men che meno quando questo articolo è un vero e proprio saluto, visto lo “scherzetto” combinato la scorsa settimana, quando ha deciso di chiudere gli occhi per sempre e continuare ad occuparsi di calcio da “più in alto”.
“Zio Oscar”, come era per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di viverlo, è morto lunedì pomeriggio a 86 anni, nella sua casa di Torino.
Imprenditore, sin da giovane aveva sposato il calcio. E, nonostante gli impegni lavorativi, era sempre riuscito a ritagliarsi dello spazio per giocare e, con il tempo, anche ad avere ruoli dirigenziali. Al Venaria come in Federazione, dove anche lì ha ottenuto grandissimi risultati.
Soprattutto nel “suo” Venaria, conosciuto grazie al nipote e diventato poi la sua “seconda pelle”, tanto da diventare consigliere e dirigente.
Dirigente soprattutto dei ’94 che nel 2005-2006, sotto la guida di mister Adriano Gazineo - anche lui morto un anno fa a seguito di un malore a Robassomero - erano diventati “campioni di tutto e di più”, tant’è che la Pro Vercelli decise di mettere gli occhi su gran parte di quella squadra.
“Vedi come mi vogliono bene? A volte non riesco neanche a capire il perché di tutto questo affetto. Io arrivo, li saluto, chiedo come sia andata a scuola, se fanno i bravi a casa. Qualche volta gli offro un gelato o qualcosa da bere prima dell’allenamento. Bisogna coccolarli se poi vuoi arrivare a raggiungere dei grandi risultati dal punto di vista umano, prima che calcistico”, mi disse un giorno, al “Don Mosso”, prima di qualche foto di rito ai Cervotti di Gazineo, la squadra che più di tutte ho seguito ai tempi in cui mi occupavo di calcio, qui alla Voce.
“Zio” era così con tutti. “Dai, andiamo a prendere il caffé…”, appena mi incontrava.
Era forse più di uno zio. Era un modello. Era una bussola per quei ragazzi, che mercoledì mattina lo hanno voluto salutare per l’ultima volta ai funerali, celebrati a Torino.
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