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02 Luglio 2018 - 14:45
Anna Torretta, una delle migliori atlete italiane di montagna, è stata ospite sabato 16 giugno a Locana. Stimolata dalle domande di Giacomo Capello del CAI di Chivasso e del giovane atleta Matteo Siletto , ha parlato delle sue tante esperienze ma anche delle emozioni che la montagna le trasmette.
E’ nata a Torino nel 1971 ed ha una laurea in architettura ma ha sempre avuto una grande passione per la montagna e- si potrebbe aggiungere – per le imprese spericolate… A 12 anni scalò il suo Primo Quattromila (il Gran Paradiso), ha provato l’Arrampicata Libera, è pluricampionessa italiana e vicecampionessa del mondo di Arrampicata su ghiaccio, è guida alpina ed appassionata di parapendìo.
Ha scalato montagne europee ed asiatiche: l’Ama Dablan, il cinese Cho Oyu, i monti dell’Afganistan.
“Io parlo con le montagne – ha spiegato - e se ho paura lo dico ad alta voce: questo mi aiuta a superarla”.
Scalando ha fatto ovviamente incontri interessanti e provato esperienze da brivido, come quella di dormire su una speciale brandina “a balconcino”, fissata alla roccia ma sospesa nel vuoto: la si usa là dove non c’è spazio nemmeno per una tenda.
L’arrampicata artificiale è un’altra delle pratiche che l’hanno appassionata: “Non l’avevo mai provata poi l’ho fatta in solitaria perché volevo capire da sola come funzionava. Non si è slegati ma si procede con un sistema di auto-protezione. Ho fatto 25 metri in un giorno e non è poco... Lì la difficoltà è data dalla Pericolosità e ci sono 5 gradi: se cadi da un quinto grado muori”.
Poi c’è stato il parapendio, dopo essere diventata mamma. “Volevo vedere com’è ma lo volevo fare entro i 40 anni. In realtà, nel 2012, quand’è nata la mia prima figlia, ne avevo 41; la seconda invece ha due anni. Dopo la sua nascita ero un po’ svogliata, avevo un po’ di paura a scalare. Un amico mi ha parlato del parapendio: è stato amore a prima vista. Alla prima lezione, anche se mi ero alzata da terra di soli 5 metri, ho riprovato l’emozione delle prime scalate”.
Interessante, nel suo racconto, è stata la rivelazione di quanto siano ancora forti, nel mondo dell’alpinismo, le discriminazioni nei confronti delle donne. “ Una donna brava ad arrampicare viene accolta molto bene e ben giudicata. Se però prova a superare certi sbarramenti la si blocca. Diventare guida alpina è molto difficile: non è che ti accolgano a braccia aperte e diventare istruttore di guide alpine (una figura che è un semidio, un intoccabile) finora si è rivelato impossibile. L’ultima volta che ho tentato mi è stato assegnato un punteggio di 6,4 (il minimo per superare la prova era 6,5). Si trattava chiaramente di un voto politico che significava <Sei brava ma non ancora pronta per arrivare fin lì>. Scalare le montagne è meglio farlo con gli uomini o con altre donne? – le è stato chiesto. Pronta la risposta: “Arrampicare con gli uomini è bello ma con le donne di più: si instaura un a diversa complicità”.
Ed ancora: “Com’è il tuo rapporto con gli infortuni?”
Domanda d’attualità, visto che è stata operata un mese fa al legamento crociato del ginocchio. “Capita – ha risposto – e non ne ho mai dato la colpa alla montagna né mi sono mai fermata. Per fortuna non mi è mai accaduto nulla di grave, tanto da cambiarmi la vita e tutte le volte che mi sono fatta male ne ho tratto una spinta a tentare nuove strade”.
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