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19 Aprile 2018 - 17:18
Presumo che il lettore si chiederà quando mai è comparso un altro editoriale con il medesimo titolo, a far da capofila al filone che richiama e commenta gli esiti elettorali del 4 marzo. L’amletico dubbio è più che ragionevole perché in data 13 marzo è infatti comparso il seguente titolo alquanto enigmatico : “ASPETTANDO L’INCUBATORE”.
Non conosco quale sistema di autocorrezione venga utilizzato alla “VOCE”, ma certo l’incomprensibile riferimento ad un inverosimile “incubatore” ha probabilmente impedito che l’armonioso articolo che alludeva all’indispensabile ricorso all’italianissima pratica dell’inciucio per addivenire alla formazione di un Governo Nazionale, potesse ambire all’annuale premio Pulitzer, istituito da Joseph Pulitzer (1847-1911) e gestito dalla Columbia University di New York, considerato come la più prestigiosa onorificenza per il giornalismo, successi letterari e composizioni musicali.
Partendo da queste cervellotiche premesse mi raccomanderò al Direttore La Mattina affinchè si accerti che anche in questo secondo caso il correttore automatico non annulli l’effetto che proprio il titolo trasmette a tutto l’editoriale. Poi, considerato che il primo atto della mia denuncia giornalistica risale già ad un mese, non ho disdegnato aggiungere nel titolo quell’ “ancora” che vuole rafforzare proprio la circostanza che sono ormai trascorsi ben 40 giorni da quando uno stuolo di irriducibili fiduciosi Italiani si sono recati alle urne per eleggere Deputati e Senatori per rinnovare le Camere ed il Governo, ma che tranne il dettaglio insignificante che abbiamo pagato il primo stipendio a 600 parlamentari, di governo non se ne vede ancora neppure l’ombra. Proviamo a fare il punto. Quel voto del 4 marzo ha attestato che mezza Italia ha votato “contro”, non si sa neppure bene chi e cosa.
Della restante parte una metà, con scelta molto dignitosa, non ha votato e una metà si è divisa ancora una volta in quella disputa centrodx vs. centrosx, anacronistica e dall’effetto pratico devastante.
La sensazione generale è stata quella che ormai nel nostro disastrato Paese si sia passati dall’espressione di “voto” a quella di “vuoto”. In gergo urbanistico è parso che sia scelto di apportare una “Variante” alla classica astensione dal voto per protesta, per passare ad una forma di “svoto”, di scelta verso chi non ha retroterra, non ha “curriculum“, non ha manco una storia. Pare che si sia scelta la formula del “tanto peggio, tanto meglio”. Siamo ad un nuovo incognito ’68, dove al “collettivo” si è sostituita la “rete”, al “voto politico” il “reddito di cittadinanza”. Gli esiti è temibile che possano apparire gli stessi: sistematica demolizione di ogni contenuto identitario e culturale. Ora che sono venuti meno quei criteri conservatori della legge elettorale del parlamentare del PD Ettore Rosato, il metodo Rosatellum, che doveva perpetuare quella classe politica che dal 2011 ha espresso una serie di governi “extraparlamentari” guidati dai fili del Quirinale, siamo in una fase di stallo che rischia di precedere una caduta incontrollata, un possibile default.
All’area di sinistra non ha pagato neppure il luogo comune più gettonato della campagna elettorale che è stato quello dell’antifascismo. Il grosso cero a San Togliatti accesso per i fatti di Macerata è stato subito spento. Proprio lì la Lega è passata dai 150 voti di cinque anni fa ai 5.000 attuali, con l’elezione di un deputato e un senatore, tolti al PD. Può far testo la lettera scritta da Pier paolo Pasolini del 1973 ad Alberto Moravia in cui si legge: “Mi chiedo se questo antifascismo rabbioso che viene sfogato nelle piazze oggi a fascismo finito, non sia in fondo un arma di distrazione che la classe dominante usa su studenti e lavoratori per vincolare il dissenso. Spingere le masse a combattere un nemico inesistente mentre il consumismo moderno striscia, si insinua e logora la società già moribonda”. Parole di una attualità sconvolgente.
Fatto sta che questa ventata di anarchia politica non ha ancora consentito di dare al Paese un governo. Ed io così sto ancora aspettando che si concretizzi il famoso “inciucione” (correttore automatico permettendo) previsto dal titolo. E già, perché deve ancora nascere quello/a che mi farà credere che questi 600 giovani e forti per una questione di banale “coerenza”, termine obsoleto e vilipeso, sarebbero pronti a tornarsene da dove sono venuti, rinunciando a cinque anni di uno stipendio che altrimenti si sognerebbero, ai privilegi che un solo mandato gli garantirebbe per la vecchiaia, per puerili motivi di disaccordo politico. Ma quando mai!. Credetemi, è solo questione di tempo, e l’inciucione confezionato tra riciclati, paracadutati e ripescati, arriverà a salvare capra e cavoli. Ma chi sarà il Giuda della situazione?
Magari quella Lega, dopo 28 anni non più esclusiva del Nord, che in campagna elettorale ha promesso chiusura dei centri sociali, liquidazione dei campi rom, espulsione dei clandestini ed allogeni che delinquono, cioè proprio tutto quello che non ha fatto quando è stata al governo del Paese con Ministro degli Interni Maroni e della Giustizia Castelli?
E cosa avrebbero al posto del cuore se non barili di rifiuti (Buffon, 11.04.2018) nei confronti di quel Berlusconi che, in antitesi al comportamento del corridore più blasonato e anagraficamente “meno giovane” del gruppo, ha “tirato la volata” proprio alla Lega di Salvini, corridore infinitamente meno datato e meno titolato.
Con il Bel Pase spaccato in due come non mai, tra il Nord produttivo a maggioranza destrorsa e Sud al web dei M5S, con forte propensione all’assistenzialismo indotto, siamo tornati ai tempi preunitari, alla questione meridionale irrisolta da 170 anni. Aspettiamo, aspettiamo ancora. Ne vedremo ancora delle belle. Bhe!, si fa per dire.
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