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23 Febbraio 2018 - 12:28
Passando lì davanti sembra quasi di tornare indietro nel tempo. Donne che per lavare i panni si recavano ai lavatoi, il profumo del sapone di marsiglia che inondava le strade, il rumore dell’acqua scrosciante e limpida e pulita. C’erano anche i ragazzi che, arrivando con le moto da Cigliano, lì si fermavano per un veloce sorso d’acqua e c’erano i contadini che la usavano per irrigare i loro campi.
Parlare al passato ormai è d’obbligo e non solo perché di tempo ne è trascorso tanto e tutti in casa abbiamo ormai una lavatrice, ma perché camminando per le vie del paese ci accorgiamo che i lavatoi comunali non sono più quelli di una volta. Osservando i più importanti, il “Casun” di via Molino e “La Torretta” di Regione Dossi, notiamo come l’acqua, la fonte principale della nostra sopravvivenza, sia completamente sparita. Al suo posto melma verde e stagnante e rifiuti di ogni genere: lattine schiacciate buttate in un angolo, bottiglie di birra vuote a ricordare le notti di baldoria che ormai da tempo animano quei luoghi, cartacce.
E dire che questi lavatoi fornivano da soli migliaia di metri cubi d’acqua ai cittadini.
Fino agli anni ’90 quando l’amministrazione comunale guidata dall’attuale vice sindaco Maurizio Martin pensò di autorizzare la Satap, la società che gestisce le autostrade Torino - Milano e Torino - Piacenza, alla realizzazione della barriera e dell’uscita autostradale a ridosso del paese.
“Per come è stata costruita, quella strada ha interrotto tutte le falde acquifere che rifornivano i lavatoi e le fontane – raccontano alcuni anziani del paese, le memorie storiche del territorio -. Non stiamo dicendo che non dovesse essere realizzata, ci mancherebbe, non vogliamo che Rondissone rimanga all’età della pietra. Solo vogliamo dire che il Comune ha speso soldi per l’abbellimento del Casun e della Torretta senza preoccuparsi minimamente del problema dell’acqua che non c’è”, sostengono riferendosi ai ultimi lavori di riqualificazione voluti dal sindaco Miriam De Ros, terminati due anni fa.
“Hanno ricoperto le pietre originali che venivano utilizzate dalle donne per lavare con il cemento e hanno fatto recintare le piante con le travi dei binari. Ma in Comune lo sanno che potrebbero essere cancerogene - si chiedono i rondissonesi -? Dato che il Cantun è inserito nel Parco Fluviale del Po e anche nel percorso ciclopedonale turistico che porta ad Ivrea, non si poteva lasciare tutto così com’era a testimonianza della memoria storica del nostro paese, da sempre uno dei più ricchi d’acqua?”.
Evidentemente, il sindaco De Ros ha pensato ad altro. “Si tratta di ristrutturazioni fini a stesse, che non servono a niente se non a spendere dei soldi che non ci sono. Se proprio era necessario farlo - concludono - che almeno adesso si preoccupino di ripulire anche le vasche…”.
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