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06 Luglio 2017 - 11:41
foto dei carrettieri di una volta
Ci sono mestieri che inevitabilmente sollecitano l’immaginazione. Se appartengono al passato, appaiono ancora più fascinosi. Camicia a quadri e cappellaccio in testa, i carrettieri erano i camionisti di altri tempi, sempre in viaggio da un luogo all’altro, avanti e indietro per pianure e colline, di giorno ma anche di notte, sotto il sole o la pioggia, con carichi di ogni genere. Li accompagnava la proverbiale fama di bevitori incalliti e di bestemmiatori impenitenti.
I carrettieri avevano un’ottima conoscenza del territorio. Sapevano quali erano le strade migliori per spostarsi rapidamente, in quali località esistevano ponti, traghetti e guadi per attraversare i corsi d’acqua, quali pedaggi bisognava pagare, in quali osterie era opportuno fare sosta per mangiare un boccone e riposarsi. Lo strumento-simbolo del loro mestiere, quasi una sorta di feticcio, era la frusta per incitare il cavallo. Quasi tutti, inoltre, portavano la fusciacca, una lunga fascia che si avvolgeva attorno alla vita come elemento distintivo della categoria.
Trovandosi Settimo a circa metà strada fra Torino e Chivasso, il mestiere era diffusissimo fra la gente del paese. In una relazione del 1799 si evidenziano, tra le principali fonti d’introito della popolazione locale, quelle derivanti dalla «condotta di granaglie dalla Comune di Chivasso a quella di Torino». In un altro punto del medesimo documento si ribadisce: «La specie di commercio che più fiorisce nella Comune [...] è quella della condotta di granaglie, [...] sebbene alcuni di questi abitanti alla semplice condotta [...] uniscano il negozio di tal genere».
Un motivo di timore per i carrettieri, data la scarsa sicurezza delle vie di comunicazione, soprattutto nei secoli diciassettesimo e diciottesimo, era rappresentato dai banditi di strada che depredavano i malcapitati viaggiatori. Le cronache del tempo serbano memoria di feroci delitti avvenuti nei paraggi di Settimo. In qualche spiacevole disavventura si poteva incorrere anche sul finire dell’Ottocento e all’inizio del secolo seguente. A tale proposito, nel 1978, un settimanale intervistò il settimese Pietro Varetto, classe 1886, conducente di carri per quarant’anni. Varetto raccontò che i carrettieri, prima di affrontare il viaggio da Torino a Settimo in ore serali, si radunavano presso la trattoria «Tre Galli», in via Gianfrancesco Bellezia, l’antica contrada della Dogana Nuova. Quindi, formata una lunga colonna di carri, si avviavano tutti insieme. Il vantaggio era duplice. Quando un carro rimaneva impantanato a causa della pioggia o della neve, i carrettieri davano una mano a rimetterlo in marcia. Inoltre era più facile difendersi dai malviventi. «Talvolta – spiegò Varetto – i ladri ci portavano via la roba senza che nemmeno ce ne accorgessimo. Noi, però, sapevamo che si nascondevano in un prato dalle parti dell’abbadia di San Giacomo di Stura. Così, mentre uno guidava il carro, un altro restava disteso nel cassone, pronto a dare l’allarme non appena avesse visto qualcosa di sospetto».
Nel 1930, quando già gli autoveicoli stavano soppiantando i tradizionali mezzi di trasporto, in Settimo operavano i seguenti carrettieri: Giuseppe Asteggiano, Pietro Cernusco, Giuseppe Chiabotto, Romeo Di Cino, Giovanni Giachetto, Stefano Giachetto, Vittorio Giachetto, Giovanni Gilardi, Antonio Mosca, Michele Pecetto, Giuseppe Quaranta, Vittorio Ravasso e i suoi figli, Michele Torchio, Andrea Tortonese, Giuseppe Valla, Tommaso Varetto, Luigi Viola e i fratelli Caudana. Altre ventidue persone abbinavano l’attività di carrettiere a quella di agricoltore, lavandaio o negoziante.
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