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MERCENARI MEDIEVALI IN PIEMONTE

MERCENARI MEDIEVALI IN PIEMONTE
"Era huomo di ricchezze, e potenza maggiore di quanti altri della Nobiltà genovese: lontanissimo da tutte le cittadinesche tenzoni, d'animo temperato, amator della patria.. Fu invincibile alla fatica non mai ozioso."   Stiamo parlando di  Gherardino Spinola di Genova. Ghibellino. Signore di Lucca, Montecatini Alto, Pescia e Tortona. Nell’estate del 1322 si sposta dal Lazio, dove comanda a Ponza la flotta dei ghibellini genovesi che appoggiano  il re di Sicilia Federico d’Aragona contro gli angioini, per trasferirsi con Marco Visconti e Francesco di Garbagnate venendo in soccorso di Bassignana, in provincia di Alessandria, assediata da Raimondo di Cardona. Al comando di una flotta fluviale si scontra con gli avversari e Raimondo di Cardona è catturato dopo un combattimento di quattordici ore. Successivamente si sposta nel Vercellese ai danni del Vescovo del capoluogo ed ottiene, per trattato, Costanzana e con la forza Puliaco, Viverone e San Germano Vercellese. Ecco il perfetto esempio di un “capitano di Ventura” medievale.   Durante il Medioevo Piemontese, già dagli inizi del secolo XIV, si cercò di sollevare i cittadini, dai 18 ai 70 anni, dal peso dei doveri militari, dapprima ripartendo nel tempo il servizio di leva tra gli abitanti dei vari quartieri cittadini ed infine assoldando soldati mercenari, sia per le necessità belliche del Comune, ma soprattutto quando questo veniva richiesto di sussidi di uomini e di armi dal Signore a cui la città era sottoposta. La presenza massiccia di mercenari in Piemonte, per esempio, sembrerebbe verificarsi nel momento dell’affermarsi dei Savoia e dell’espandersi dei loro domini territoriali. E’ per esempio il caso di Balangero, nel torinese. Il castello subirà tre assedi che causeranno gravi danni al Borgo sottostante. Il primo nel 1307, quando gli Acaja sottraggono il castello ai Marchesi del Monferrato, il secondo Amedeo VI, il famoso “Conte Verde”, espugna la fortezza dopo un lungo assedio, togliendola a Jacopo D’Acaja, che però rimane a Balangero in forza di un trattato con i Savoia, quale feudatario suo vincitore. Per la prima volta in Italia nell’impiego dell’artiglieria in un’operazione d’assedio, viene menzionata la presenza di uno “Schioppo”: un piccolo cannone posto sopra una cassa. Nel terzo assedio, il 21 gennaio 1357, il Castello di Balangero cade.   Sul finire del XIV secolo, sulla scia della rivolta popolare iniziata in Val Chiusella e detta “Tuchinaggio”,che insanguinò ripetutamente il Canavese per anni, già è citato, in alcuni documenti del 1190, il mercenario Oberto di Castel Romano, castellano di Baldissero Canavese. I ribelli distrussero il castello di Brosso, la Casaforte di Alice e il castello di Arundello. Alle lotte pose fine Amedeo VII si Savoia, “Il Conte Rosso”, tramite il Capitano Ibleto di Challant, accettando sotto la sua protezione l’intera vallata. Nel 1393 l’ormai “famoso” Facino Cane (Bonicacio Cane), tentò di occupare Azeglio, ma ne fu cacciato dalle truppe di Bonifacio di Challant. Nello stesso anno, il Condottiero, aveva già distrutto la Torre, il Ricetto ed un insediamento dei Templari di Baldissero Torinese, che avevano portato e diffuso il culto di San Giuliano al quale avevano dedicato la loro Cappella. Tra l’altro, storicamente, la più importante del luogo. Si trova in località Tetti Frati, dove sorgeva il convento dei Camaldolesi, ed oggi è proprietà privata.   Infatti, non sempre le regole venivano rispettate: i governanti si serviranno di tali eserciti e combattevano con loro, ma diventerà successivamente molto difficile liberarsene. Il caso di Squarza de’ Quaranta ne è una delle tante prove viventi. Durante la guerra per la successione del Monferrato, quando Casale Monferrato, il 25 luglio del 1303 fu annessa al Governo Monferrino, il Conte Amedeo V di Savoia, ispirato dalla situazione, assaliva Caluso e mentre Filippo D’Acaja, per contrastare le manovre del Marchese di Saluzzo, occupava varie terre e paesi, tra i quali Verrua, il cui castello era difeso dal Capitano Squarza de’ Quaranti. Tre anni dopo il novello Marchese Teodoro Paleologo, giungendo dall’Oriente per prendere l’eredità vacante del Monferrato, vide che le terre soggette a questa marca, erano in più parti tenute nuovamente dal Marchese di Saluzzo, rafforzatosi dalla lega con i Provenzali e con il Principe D’Acaja, gli alleati del saluzzese assalirono Leynì, con molti uomini e con gli opportuni strumenti bellici per abbatterne le mura. Alla difesa di questa Piazza, il Paleologo aveva posto nuovamente Squarza de’ Quaranta che fece la più animosa resistenza, facendo cadere un gran numero di assalitori, tra i quali si trovava un Signore della Provenza di cui si è perso il nome. L’assedio durò così a lungo che si rese necessario da parte dei Ruffino, Signori di Leynì, approvare un contratto di confini con l’Abate di San Benigno Canavese, il 7 novembre 1312, intervenendo con i loro uomini all’adunanza, per leva militare, tenuta a Chivasso nel 1320 e vi furono obbligati a provvedere un milite dell’Esercito Monferrino, a norma dell’Editto Marchionale ancora in vigore. Il milite doveva avere: “Platinas cum manicis, Facedis, et schancherias, et cotaronos, capellum ferreum cum gorgiale, vel barbutam todescham, et chirotecas de platis”. Ogni soldato doveva presentarsi agli Ufficiali del Marchese, con un cavallo ben addestrato, seguito da un ronzino, le quali bestie valessero perlomeno centoventi lire imperiali.   L’aspetto interessante degli assedi medievali, già nel XII secolo, si rivela interessantissima riguardo le tecniche delle macchine da guerra e l’organizzazione militare. Le “Petriere” e i “Mangani” erano noti fin dall’età Carolingia e pare che venissero adoperate in abbinamento, forse perché ognuna offriva specifiche prestazioni. Il “Trabucco” compare più tardi, alla fine del XII secolo e si trattava di una grande fionda che funzionava mediante la spinta di un contrappeso di piombo o sabbia, in grado di scagliare proiettili pesanti da due a cinque quintali. Il “Gatto”, era una tettoia mobile protettiva, detta anche “Testuggine”, sotto la quale avanzava un gruppo di guerrieri fin sotto le mura dei castelli. I “Gatti” potevano essere provvisti di “Ariete”, oppure, eccezionalmente, avevano già un dispositivo lanciafiamme. In genere i castelli erano difesi da in ogni parte da fossati, spalti solidissimi e circondati da un terrapieno, tanto che un normale assedio poteva resistere validamente l’attacco per oltre quattro mesi. La “Spinata” e la “Parengata” erano una siepe di piante spinose e uno steccato di assi a protezione del fossato: l’alternanza di tali strutture, rendeva probabilmente meno efficaci i tiri delle macchine da guerra sulle fortezze, data l’eccessiva distanza prodotta da queste recinzioni.   In ogni caso, dei soldati di ventura e delle loro brigate si sa ben poco in quanto , ebbero una vita breve e non si ricoprirono quasi mai di particolare gloria o di particolare infamia. Essi si trovavano al servizio  di un “Conestabilis” (il sovrintendente alle scuderie), che rispondeva in prima persona di loro, delle loro capacità e del loro armamento, di fronte a chi li aveva assunti, per periodi più o meno lunghi, a volte anche soltanto per poche settimane nella speranza di una rapida soluzione dell’evento bellico. Il “Conestabilis”, talvolta buon soldato, talvolta semplice avventuriero, era colui che traeva maggior vantaggio dai suoi mercenari , sia nel misurare il compenso, sia con gli sfruttamenti più subdoli e sottili. Ad esempio, molti Capitani di Ventura, sembra che smerciassero personalmente ai propri soldati vettovaglie e soprattutto il vino, il più tradizionale, anche se labile allucinogeno, per affrontare guerre improvvisate, nonostante il “Liber Revarum Ast” ne vietasse ai conestabili di vendere vino. Mentre i conestabili erano per lo più figli illegittimi o cadetti di qualche famiglia nobile, o meglio, nobili decaduti, è ovvio che i soldati provenissero dalle frange più basse della società.   I soldati di ventura presenti in Piemonte erano frequentemente stranieri, in particolare francesi, tedeschi e catalani, come appare dai numerosi contratti di “ferma” contenuti negli ordinati  comunali e nei protocolli camerali e ducali conservati nell’Archivio di Stato di Torino. Tra questi i più odiati furono i famosi “Armagnacchi”, della fine del XIV secolo, così chiamati perché erano stati al servizio di Giovanni III D’Armagnac e le bande di “Enguerrand de Coucy”, che imperversarono nel Torinese e nella Valle di Susa. Altre bande erano formate da elementi locali, come i mercenari  al servizio di Viano D’Agliè, che il 4 febbraio 1354, si pose al servizio di Amedeo VI di Savoia. Tale banda era formata da soldati non qualificati e per i rimanenti tre quarti da balestrieri provenienti dalla Riviera di Levante o dalle Langhe. Oppure Rainaldo De Leto, che nel 1308, a Vignale Monferrato si scontrò, appostandosi in una vicina pianura, in quanto diplomaticamente aveva cercato una soluzione per creare un generale parlamento il 16 dicembre 1306 con l’esercito del Conte pavese Filippone di Langosco, il quale però necessitava del Capitano di Ventura Provenzale Rainaldo per far fronte alla battaglia e riappropriarsi dei domini sottrattogli dal Marchese di Saluzzo. In definitiva , anche se per qualche tempo, improvvisi bottini o violenti saccheggi potevano rimpinguare le loro tasche, i soldati di ventura furono sempre oggetto di disprezzo e di odio e la loro fine fu spesso drammatica. Basti ricordare “Archimbaudus de Abzat”, un condottiero guascone, che alla metà del Quattrocento fu “trunchato capite et corpore in quartuor diviso partes, animam exhalavit”, mentre almeno centoventi dei suoi uomini “per totam patriam Pedemuncii ad furcham divissim suspenti sunt”. Ritorneremo presto, ma con una certa calma, a discutere ed approfondire ulteriormente l’argomento, in quanto gli scontri sono innumerevoli da più parti e i secoli lunghi e imperniati dal desiderio di ampliare, con qualunque mezzo, i domini dei vari Signori con qualunque mezzo possibile.
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