“Dal Vangelo apocrifo di Filippo si evince che Lucifero non è la causa dei mali del mondo e non è tanto meno la figura malvagia e tentatrice in aperto contrasto con Cristo, anzi Filippo sosteneva che Lucifero e Cristo fossero due facce della stessa medaglia” Non è trascorso molto tempo dalla fine del secondo millennio, quando questi duemila anni avrebbero rappresentato, più o meno, il tempo trascorso da quando la Cultura Cristiana ritenne di dover assegnare al Diavolo l’Impero di questo mondo. Tuttavia, prima di tale periodo, il "Principe del Male" aveva impiegato, a sua volta, quasi altrettanto tempo per districarsi dalla considerevole moltitudine di demoni egiziani, babilonesi e greci, per divenire infine, nell’elaborazione del Pensiero Ebraico: ” Satana”, il nemico di Dio. Si vocifera che a Torino, intorno al 1880, giunse un libro intitolato “I Luciferiani”. Dall’ispirazione di questo testo, sarebbe nata una setta che ne avrebbe sviluppato i suoi malvagi propositi. Noi, con tutto il rispetto per il “Principe del Male”, ci permettiamo di correggerne la data. Infatti i “Luciferiani”, a Torino, ci furono veramente, ma le notizie che li riguardavano risalgono al 1860, anche se da più parti si sostiene che esistano ancora e che siano in piena attività. Gli adepti, sia uomini che donne, si definiscono “Apportatori di Luce Nera”, utilizzano sai neri con cappuccio e svolgono i loro riti in svariate chiese e cappelle sconsacrate sparse per il Piemonte. I componenti di questa setta, attualmente, prediligono antichi edifici, dove sul fondo della parete viene rappresentato un capro in piedi dalla testa enorme. Fra le corna vi è una fiaccola e possiede delle ampie braccia, di cui una è maschile e l’altra femminile. Tutti i presenti formano un semicerchio di ombre scure e con candele rosse e nere illuminano l’altare sul quale prende posto una giovane donna mascherata. Nel 1860, dicevamo, a Torino questa congrega si riuniva al primo piano n via Santa Pelagia, adibito a tempio. Via Santa Pelagia è ora via San Massimo, tra le vie del Soccorso, cioè via Maria Vittoria e via Santa Croce. Nel periodo di sei mesi, furono rinvenute in varie parti della città e precisamente in piazza Maria Teresa, corso San Maurizio, piazza Mercato Combustibili, ora l’attuale slargo Meucci, via Monte di Pietà, via della Ginnastica, cioè l’attuale via Magenta, corso San Solutore, adesso corso Inghilterra e in via della Rocca, i corpi di cinque donne e di due uomini con età variante tra i venticinque e i trentacinque anni. Seviziate e finite con un colpo di pugnale al petto, portavano sul petto uno strano disegno formato da tre spade a triangolo racchiudenti delle fiamme, con degli strani simboli esterni. Con il sangue delle vittime si leggeva sul selciato un nome: “Luciferiani”. Questi fatti suscitarono una grande curiosità tra la maggioranza dei torinesi, quando la città a quei tempi si prestava con una certa facilità ai delitti, avendo le vie quasi completamente buie e solamente quelle centrali erano illuminate da rari lampioni a gas. Solo vagamente si sapeva di questa congrega ed informata la polizia, si finì, come capita oggi, di archiviare la pratica sui misteriosi delitti. Poche settimane dopo, però, vi fu il rinvenimento di un’altra giovane donna uccisa in riva al fiume Po e seviziata come le altre. La sagacia degli investigatori giunse finalmente a comprendere che quei delitti non erano da imputare alla malavita superficiale, ma che la soluzione andava ricercata nell’ambito di uno strato sociale riservato e chiuso, quindi troppo complicato e compromettente tentare di risolvere il caso. Fu solamente qualche anno dopo, che grazie alla confessione di una giovane donna “Luciferiana”, pentita e nauseata dalle malvagità commesse, fece una parziale confessione, non rivelando però alcun nome per paura di rappresaglie nei suoi confronti. Svelò che tutte le persone trovate uccise nelle varie parti della città, avevano intenzione di lasciare la setta e quindi per ragioni di sicurezza dovevano essere eliminate. Raccontò che le vittime erano molte di più , ma vennero seppellite nelle cantine di alcune case di proprietà della congrega e mai ritrovate. Nella descrizione che fece del tempio ottocentesco dei Luciferiani, si innalzava l’altare di Satana, a cui si facevano tremendi voti, nefande offerte e osceni sacramenti. Le sacerdotesse si alternavano a turno di fronte all’altare ed avevano anche il compito di rubare le ostie consacrate nella vicina chiesa di Santa Pelagia e le posavano sull’altare mentre la congrega invocava Lucifero. Poi ciascun presente trafiggeva con una lama l’ostia e la gettava nel fuoco in olocausto al Demonio. Continuando nella sua confessioni, narrò che ogni tre mesi veniva sacrificata sull’altare una vergine e che ad un dato momento si vedeva apparire dal nulla un capro con sembianze umane che si sedeva sull’altare guardando i presenti con occhi infuocati. Disse che in un caso. un adepto, spaventato dall’apparizione, cercò di fuggire, ma cadde immediatamente a terra morto, tra lo sbigottimento generale, mentre si udiva una risata agghiacciante ed il capro improvvisamente spariva. Da quel momento la giovane donna decise di confessare i suoi misfatti, fuggire da Torino per un sconosciuta località e pare che dopo il suo pentimento si rinchiuse in un convento di clausura dove concluse la sua esistenza tormentata per ottenere il perdono divino prima della sua morte. Ciò che la nostra “adepta pentita” si dimenticò di menzionare. fu che il rito propiziatorio dei “Luciferiani”, come del resto anche delle altre congreghe simili, consisteva nell’ingerire un liquido a base della pericolosissima e a volte mortale radice di mandragora. Un semplice vegetale, ma che se abilmente dosato e mescolato ad altri ingredienti, provocava le classiche allucinazioni da lei descritte, ovviamente alimentate dall’ambiente in cui si svolgevano e dal simbolismo che andavano a rappresentare. Non vogliamo sostenere che questo sia la soluzione del motivo di suddette perversioni. Probabilmente una delirante convinzione doveva sostenere l’idea, che come lei stessa descrisse nel verbale della confessione di un sacrificio di una vergine al vicariato di polizia, recitava: “…ricevi l’omaggio del corpo e del sangue che ti offriamo…Dio è fuggito nell’alto dei cieli, ma noi per i suoi sacerdoti, lo trasciniamo a terra ed ora è nelle nostre mani…”. Purtroppo le sette nere pullulano ancora oggi di individui di ambo i sessi che si trovano nelle condizioni sopra elencate, sperando con l’aiuto delle forze del male di ottenere chissà quale beneficio, non capendo. Probabilmente. che l’unica via che stanno seguendo è quella dell’autodistruzione.
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