Avete presente che cosa vuol dire aprire un’attività oggi a Chivasso? E magari mantenerla? Cercando di non dimenticarci nulla, proviamo a far due conti ai commercianti. Oltre alle spese legate all’attività in sè, dagli stipendi dei dipendenti agli F24, cui si aggiungono le forniture e le tasse varie, c’è da considerare la Tari (la tassa sui rifiuti), l’imposta sulle pubbliche affissioni, nel caso di vetrine con cartelli superiori a quelli consentiti dai regolamenti comunali, l’affitto dei locali o, se questi fossero di proprietà, l’Imu... Insomma, alla fine del mese, con i tempi che corrono e con il calo degli acquisti che c’è, se il titolare riesce a portarsi a casa uno stipendio, diciamo così, “normale”, ha già fatto un mezzo miracolo. Se quello stipendio riesce a pagarselo saldando anche i fornitori, allora il miracolo è proprio autentico. Bene. E’ in questo contesto generale che quanto accaduto la scorsa settimana ha fatto venire a tanti la voglia di mandare tutto a quel paese, tirar giù la saracinesca e ciao, via per sempre da questo, Paese, con la maiuscola, a cui del Bel non resta più nulla. Ma cos’è che ha fatto inviperire quella mezza città che vive del commercio? Chi risiede in via Corti l’avrà capito da mo’... Sentite un po’ qua. Da qualche giorno a questa parte, tutte le mattine, si forma una coda fuori dallo sportello Siae. Decine di commercianti chivassesi, che siano di via Torino, di via Roma, di via Po o di piazza Della Repubblica, hanno infatti ricevuto la visita degli ispettori Siae, per intenderci la Società Italiana degli Autori ed Editori. Sì, proprio loro: quelli di cui non ci si ricorda mai l’esistenza salvo quando c’è da organizzare una festa, un matrimonio, un rinfresco in cui si voglia suonare un po’ di musica protetta da copyright. Per intenderci, se siete degli invasati degli U2, avete da “pagà”. Se, invece, a suonare è il gruppo di un vostro amico con i suoi brani inediti, magari zitti zitti si può anche chiudere un occhio... Nell’epoca di internet, dei social network, di iTunes e Spotify, di Youtube e dei “download free”, esistono quindi ancora questi ispettori che controllano che, se viene riprodotta della musica in un locale pubblico, il diritto d’autore venga regolarmente pagato. Una tassa che al giorno d’oggi può sembrare anacronistica, quasi come il canone Rai, ma tant’è. Bene, o meglio, male, la scorsa settimana gli ispettori della Siae hanno fatto il giro dei negozi della città, rilevando tutte le infrazioni possibili alla legge sul diritto d’autore. E così il risultato è che decine di commercianti, che non avevano sottoscritto l’abbonamento annuale alla Siae perché non hanno mai pensato che, ad esempio, un pc tenuto in negozio, sintonizzato su Youtube, senza filo diffusione ma solo per il piacere personale del titolare di ascoltare un po’ di musica a basso volume mentre spera che qualche cliente varchi la soglia del negozio, è in realtà un’infrazione della legge. Un atto di dubbia legalità, direbbe il sindaco Libero Ciuffreda, capo di un’amministrazione comunale sempre con le antenne dritte nel rilevare le illegalità sul territorio, piccolo o grandi che siano, ma mai abbastanza attenta ai quotidiani patimenti di una categoria che di questo passo rischia l’estinzione... In conclusione, per regolare le “posizioni”, i commercianti che sono stati colti in flagranza di reato sono stati invitati a presentarsi entro cinque giorni nella sede decentrata della Siae di via Corti per sottoscrivere l’abbonamento annuale, che varia a seconda del tipo di attività, delle metrature del negozio, ecc... ecc... Un costo in più, insomma, che va a pesare sui già esigui bilanci dei negozi, un costo variabile dai 100 ai quasi 200 euro annui. Se questa è l’aria che tira, cari noi, non c’è ripresa che tenga...
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