Accertamenti giudiziari in tutta Italia sulle automobili cinesi della Great Wall Motors. Il pubblico ministero Raffaele Guariniello, da Torino, ha attivato una serie di controlli su scala nazionale: alcuni modelli, è l'ipotesi dell'accusa, contengono parti in amianto e si teme che le operazioni di bonifica non siano state compiute nel rispetto delle norme sulla sicurezza sul lavoro. Il magistrato piemontese ha acceso un faro sulle auto "made in China" sin dallo scorso febbraio, quando qualcuno lo ha messo al corrente della presenza del pericoloso minerale nelle guarnizioni delle linee di scarico. Nel 2012, d'altra parte, si erano diffuse notizie dall'Australia su una campagna di richiamo di numerose vetture. La raccolta delle informazioni, a Torino, è continuata in sordina per mesi fino al colpo di scena. I collaboratori di Guariniello, infatti, hanno appreso che la casa madre ha ordinato ai concessionari italiani di organizzare la rimozione dell'asbesto: adesso però ci sono seri dubbi su come i lavori sono stati eseguiti nelle varie officine. La bonifica richiede protocolli specifici, apparecchiature particolari, mascherine di protezione per gli operatori: bisogna evitare il contatto diretto con le fibre-killer perché possono causare malattie gravissime e, in certi casi, letali come l'asbestosi, i tumori polmonari o i mesoteliomi. Non è chiaro se le precauzioni siano state osservate. Per questo motivo Guariniello ha preso contatto con tutte le aziende sanitarie locali delle zone interessare invitandole a procedere con i controlli. Lo spunto per l'apertura del fascicolo processuale è una legge del 1992 che vieta l'importazione di prodotti contenenti amianto. A Palazzo di Giustizia, però, non si esclude l'applicazione di altri reati. La Great Wall Motors, fondata nel 1976, oggi è la più grande casa automobilistica di Cina e uno dei maggiori marchi del mondo. "Abbiamo quindi indetto una campagna di richiamo ufficiale con il ministero dei trasporti" e, come prassi, "sono state spedite le raccomandate a tutti i clienti con la vettura potenzialmente coinvolta e sono state incaricate le officine autorizzate a eseguire i richiami", dice Federico Daffi, amministratore unico di Eurasia Motor Company, la società che importa in Italia le vetture cinesi Great Wall. "Tutta l'operazione è stata focalizzata sulla salvaguardia della salute degli addetti alla manutenzione dei veicoli", aggiunge, dicendosi convinto "di aver messo in atto una procedura sicura per l'operatore e, fra l'altro, l'unica praticabile per questo tipo di intervento". E' la seconda volta che la magistratura italiana si occupa della Great Wall. La Fiat, nel 2006, si rivolse alla giustizia civile per bloccare l'importazione di un modello chiamato Gw Peri, affermando che, in sostanza, era una copia della Panda. Il tribunale subalpino diede ragione alla casa torinese, sentenziando che l'utilitaria orientale sembrava proprio "una Panda con un frontale differente". Di diverso avviso furono i giudici cinesi. Il 29 dicembre 2008, l'alta corte della provincia di Hebel attribuì la vittoria alla Great Wall: non c'era stato nessun plagio.
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