Vita difficile per le aziende biotecnologiche in Italia: se il livello della ricerca è ottimo, tanto da renderle all'altezza dei migliori laboratori internazionali, fanno fatica a tradurre le loro competenze in prodotti innovativi, colpa della mancanza di incentivi e di finanziamenti 'problematici'. ''Si fa sempre più fatica ad essere competitivi'', ha detto Alessandro Sidoli, presidente dell'Assobiotec, l'associazione che riunisce le aziende biotecnologiche italiane. E' questo il quadro che emerge a ridosso della Settimana Europea delle Biotecnologie, in programma dal 30 settembre al 6 ottobre. ''E' organizzata per celebrare i 60 anni della scoperta della struttura a doppia elica del Dna, un risultato è stata la premessa per poter manipolare il Dna'', ha osservato Sidoli. Da allora l'impatto delle biotecnologie è stato notevole in moltissimi campi, come la nascita di nuovi farmaci e strumenti per diagnosticare malattie, nuovi prodotti, processi ed enzimi per l'agricoltura, nuovi materiali. Si calcola che il valore complessivo delle biotecnologie equivalga ad una cifra compresa fra lo 0,7% e l'1,1% del Pil e che complessivamente nell'Unione Europea la cosiddetta ''bioeconomia'' rappresenti fra il 2% e il 3% del Pil. E' un settore nel quale la ricerca ha importanza cruciale e che ''negli ultimi 10-15 anni ha visto l'Italia recuperare molto terreno''. Nel nostro Paese, infatti, ''la qualità della ricerca è eccellente e riconosciuta a livello internazionale. Tuttavia - ha rilevato Sidoli - la capacità di trasferimento tecnologico non ci vede eccellere''. Con oltre 80.000 addetti e un fatturato di oltre 7 miliardi, l'industria biotecnologica italiana è fra quelle che investono di più in ricerca''. Il problema, secondo il presidente dell'Assobiotec, è che ''l'Italia non una vera cultura scientifica e non crede se non a parole che l'innovazione abbia un valore economico''. Uno degli scogli è ''la mancanza di strumenti per agevolare l'innovazione, come il credito d'imposta. Il risultato è che fare ricerca in Italia costa fra il 30% e il 40% in più che negli altri Paesi europei''. Ci sono poi ''imprese che hanno crediti di alcuni milioni nei confronti dello Stato'' per fondi stanziati per progetti di ricerca ma non assegnati. Elementi, ha detto, che ''stanno mettendo a repentaglio la sopravvivenza delle imprese''. E in generale la crisi finanziaria non aiuta, con la difficoltà di avere finanziamenti. ''Nonostante tutto - ha concluso - il biotech italiano occupa ancora un posto impostante in Europa'': basti pensate che per numero di aziende l'Italia è terza in Europa, con 256, preceduta sa Gran Bretagna (288) e Germania (427).
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