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Fine vita, dopo il richiamo della Consulta il Parlamento riapre il dossier e il Senato si prepara a una scelta decisiva

Riprende l’esame del testo Zaffini tra emendamenti, divisioni politiche e pressioni delle Regioni

Fine vita, dopo il richiamo della Consulta il Parlamento riapre il dossier e il Senato si prepara a una scelta decisiva

Dopo mesi di polemiche, rinvii e prese di posizione contrapposte, il tema del fine vita torna al centro dell’agenda parlamentare. Con la fine della pausa natalizia, il Senato si prepara a riaprire un dossier che da anni divide politica, istituzioni e opinione pubblica, ma che l’ultima sentenza della Corte costituzionale ha reso ormai non più rinviabile. Le commissioni riunite Affari sociali e Giustizia sarebbero infatti pronte a riprendere l’esame del testo presentato dal senatore di Fratelli d’Italia Francesco Zaffini, con l’obiettivo dichiarato di tradurre in una disciplina nazionale le indicazioni della Consulta.

Il passaggio chiave è arrivato il 29 dicembre 2025, quando la Corte costituzionale si è pronunciata sulla legge regionale approvata dalla Toscana in materia di suicidio medicalmente assistito. Una sentenza che ha avuto l’effetto di riaccendere il confronto politico. Da un lato, la Consulta ha confermato la legittimità generale dell’impianto normativo toscano; dall’altro ha dichiarato incostituzionali alcune disposizioni relative ai requisiti di accesso, giudicate in contrasto con le competenze statali perché “violano le competenze statali”. Ma il messaggio più forte è arrivato subito dopo: nulla impedisce allo Stato di intervenire con una legge nazionale, capace di definire tempi, procedure e percorsi di cura. Un richiamo che suona come un’ulteriore sollecitazione a colmare un vuoto normativo che dura da anni.

È in questo contesto che, secondo fonti di maggioranza, si è aperta una fase di studio e approfondimento del testo in discussione a Palazzo Madama. Un lavoro che potrebbe portare anche a una riapertura dei termini per la presentazione degli emendamenti, consentendo ai gruppi parlamentari di intervenire nuovamente su un provvedimento rimasto bloccato tra veti incrociati e divisioni interne, sia nel centrodestra sia nel centrosinistra.

Il testo unificato all’esame del Senato nasce nel solco tracciato dalla storica sentenza della Consulta del 2019 e stabilisce le condizioni per l’esclusione della punibilità di chi agevola il suicidio assistito. I requisiti indicati sono stringenti: la persona deve essere maggiorenne, pienamente consapevole, affetta da una patologia irreversibile e già inserita in un percorso di cure palliative. Una cornice giuridica che punta a delimitare con precisione i casi ammessi, evitando derive e lasciando fuori ogni automatismo.

I ritardi accumulati dal Parlamento hanno però prodotto un effetto collaterale rilevante: sono state le Regioni ad anticipare l’intervento normativo. La Toscana ha fatto da apripista, approvando una legge che disciplina procedure e tempi per l’accesso al suicidio medicalmente assistito. A seguire, iniziative simili sono arrivate anche in Sardegna, Trentino e nel territorio di Torino, con regolamentazioni locali pensate per offrire risposte concrete a chi si trova in condizioni di sofferenza estrema. Un mosaico normativo che, se da un lato ha colmato vuoti operativi, dall’altro ha alimentato il rischio di disuguaglianze territoriali.

Ed è proprio su questo punto che si concentra una delle principali critiche dell’opposizione. Mentre la maggioranza difende l’impianto tecnico-giuridico del testo Zaffini, ritenendolo coerente con le sentenze della Corte costituzionale, dal Pd al Movimento 5 Stelle si sottolinea la necessità di un coinvolgimento pieno del Servizio sanitario nazionale. L’esclusione del sistema pubblico, secondo le opposizioni, rischierebbe di creare percorsi differenziati e di accentuare le disparità sociali ed economiche tra chi può permettersi determinate soluzioni e chi no.

Il dibattito, però, va ben oltre i confini del Parlamento. Sul tema del fine vita intervengono anche voci della società civile e del mondo religioso. Il cardinale Augusto Paolo Lojudice, presidente della Conferenza Episcopale Toscana, ha ribadito l’urgenza di una legge nazionale che sappia riconoscere e tutelare il valore della vita, evitando scorciatoie e soluzioni frammentarie. Una posizione che si intreccia con quella di chi, pur partendo da sensibilità diverse, chiede regole chiare e uguali per tutti.

Il cardinale Augusto Paolo Lojudice

Dal fronte del centrodestra, un richiamo destinato a far discutere è arrivato dall’ex presidente del Veneto Luca Zaia, che ha invitato a uscire “dall’ipocrisia”, ricordando come il fine vita non sia una questione astratta ma riguardi persone reali, famiglie e situazioni di sofferenza che chiedono risposte certe e procedure trasparenti.

Il nodo centrale resta dunque l’assenza di una disciplina nazionale capace di armonizzare le esperienze regionali, le indicazioni della Consulta e le diverse sensibilità politiche e culturali. Con l’avvio del nuovo anno, il Senato è chiamato a un passaggio decisivo: trasformare principi giurisprudenziali e sperimentazioni locali in norme valide su tutto il territorio, bilanciando diritti individuali, tutela della vita e uniformità dei percorsi assistenziali.

È una partita complessa, destinata a segnare uno dei capitoli più delicati della legislatura. E questa volta, dopo l’ennesimo richiamo della Corte costituzionale, il Parlamento difficilmente potrà permettersi un nuovo rinvio.

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