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21 Dicembre 2025 - 23:27
Nigeria, 130 bambini rapiti a scuola e liberati dopo un mese: chi protegge davvero gli studenti?
La fotografia che da ieri circola sui social nigeriani non racconta un trionfo. Racconta una stanchezza che assomiglia alla fine di un incubo. Bambini ammassati su un pullman, qualcuno stringe lo zainetto come fosse un oggetto indispensabile, altri fissano il paesaggio dal finestrino con un misto di incredulità e sollievo. Sono i 130 studenti della St. Mary’s Catholic School di Papiri, nello Stato del Niger, liberati dopo quasi un mese di sequestro. L’annuncio ufficiale arriva nel pomeriggio del 21 dicembre 2025, attraverso il portavoce della presidenza nigeriana. “Nessuno è rimasto in ostaggio”, scrive, assicurando che i ragazzi saranno trasferiti a Minna per incontrare le famiglie prima di Natale. L’operazione, secondo il governo di Abuja, è stata il risultato di un’azione basata sull’“intelligence militare”. Ma il rilascio non cancella ciò che resta sul terreno: un sistema scolastico trasformato in bersaglio, famiglie costrette a convivere con la paura quotidiana e uno Stato che continua a interrogarsi sulla propria capacità di proteggere i minori.
All’alba del 21 novembre 2025, uomini armati fanno irruzione nel complesso cattolico della St. Mary’s, una struttura con dormitori e aule situata in un’area rurale lungo l’asse stradale tra Yelwa e Mokwa. Vengono portati via studenti e personale. Le prime stime parlano di oltre duecento persone. I numeri definitivi forniti dalla Christian Association of Nigeria (CAN) indicano 303 studenti e 12 insegnanti rapiti. Nelle ore successive, circa 50 ragazzi riescono a fuggire approfittando della confusione iniziale.

L’8 dicembre, a Minna, le autorità presentano pubblicamente i primi 100 studenti rilasciati. Vengono sottoposti a controlli medici e psicologici prima di fare ritorno a Papiri. Restano però ancora oltre 130 ostaggi nelle mani dei rapitori. Il 21 dicembre, la presidenza annuncia il rilascio degli ultimi studenti. Nessuna informazione ufficiale su eventuali riscatti, una prassi purtroppo frequente nella regione e spesso coperta da riserbo istituzionale.
Il governo parla di pressione sul terreno e di lavoro informativo coordinato. Mancano però dettagli operativi. Non è chiaro se vi siano stati arresti, né se i sequestratori appartengano a una delle numerose bande armate attive nel nord-ovest e nel centro-nord della Nigeria, dove il sequestro a scopo di estorsione, il cosiddetto kidnapping for ransom, è diventato un modello criminale strutturato. In molti casi queste bande sono legate a traffici locali, al contrabbando e all’abigeato. Il silenzio ufficiale, spiegano fonti di sicurezza, serve a non rafforzare il meccanismo del riscatto e a non compromettere indagini ancora in corso.
Già il 22 novembre, il giorno dopo l’attacco, UNICEF aveva parlato di “grave violazione dei diritti dell’infanzia”, chiedendo la liberazione immediata degli studenti e del personale. La vice segretaria generale delle Nazioni Unite, Amina Mohammed, ha ricordato che le scuole dovrebbero essere spazi protetti e ha sollecitato l’attuazione piena della Safe Schools Declaration, sottoscritta dalla Nigeria nel 2015, che impegna gli Stati a proteggere gli istituti educativi da violenze e incursioni armate. Sul terreno, operatori e organizzazioni locali sottolineano però la distanza tra impegni formali e risorse reali: mancano fondi, formazione e responsabilità operative chiare.
Nel caso di Papiri, la sorveglianza della scuola era minima. Le fonti locali descrivono un attacco nelle primissime ore del mattino, con spostamenti rapidi dei rapitori su moto e pick-up verso le aree boschive. La scelta del bersaglio risponde a una logica semplice: più ostaggi significano maggiore potere negoziale. Dopo il 2014, anno del rapimento delle 276 studentesse di Chibok da parte di Boko Haram, i sequestri scolastici sono diventati un modello replicabile anche da gruppi non ideologici, mossi prevalentemente dal denaro.
Secondo SBM Intelligence, tra luglio 2024 e giugno 2025 in Nigeria si sono registrati 4.722 rapimenti, con circa 2,57 miliardi di naira pagati in riscatti. Una cifra inferiore alle richieste iniziali dei sequestratori, ma sufficiente a rendere il sistema economicamente sostenibile per le reti criminali. Le mediazioni locali, spesso affidate a capi comunitari o intermediari informali, possono accelerare i rilasci, ma rischiano di alimentare un mercato in cui la vita dei minori diventa una variabile negoziabile.
La liberazione degli studenti di Papiri arriva in un anno segnato da altri assalti alle scuole. Pochi giorni prima, a Maga, nello Stato di Kebbi, erano state rapite 25 studentesse. La risposta delle famiglie è stata immediata: scuole chiuse, spostamenti ridotti, strade secondarie evitate nelle ore notturne. Il governatore dello Stato del Niger, Mohammed Umaru Bago, ha ordinato la chiusura temporanea di tutte le scuole pubbliche e private dopo l’attacco di novembre, riconoscendo implicitamente una vulnerabilità strutturale difficile da risolvere in tempi brevi.
L’8 dicembre, nell’atrio della Government House di Minna, i primi studenti liberati entrano scortati da convogli militari. Parlano poco. Le autorità promettono assistenza sanitaria e supporto psicologico. “Li esamineremo attentamente prima di riconsegnarli ai genitori”, dichiara Bago, chiedendo alla popolazione di continuare a pregare per chi è ancora prigioniero. Il 21 dicembre, il portavoce presidenziale Bayo Onanuga annuncia il rilascio degli ultimi 130 studenti, attribuendolo a un’operazione dell’intelligence militare. Anche in questo caso, massimo riserbo sulle modalità.
Le testimonianze raccolte tra i ragazzi già liberati descrivono minacce costanti, punizioni esemplari per scoraggiare le fughe, marce forzate nella boscaglia, trasferimenti continui per eludere i sorvoli dei jet militari, cibo scarso e paura come compagna quotidiana. È uno schema che si ripete nelle aree di confine tra Niger, Kwara, Kebbi e Kaduna.
Il caso di Papiri mostra alcuni elementi di miglior coordinamento tra autorità federali e statali, con il coinvolgimento dell’Office of the National Security Adviser (ONSA). Resta però opaca la catena di comando e mancano informazioni su arresti e procedimenti giudiziari. Senza dati pubblici su indagini e condanne, la fiducia dell’opinione pubblica fatica a consolidarsi.
Garantire sicurezza a una scuola rurale come la St. Mary’s non significa trasformarla in una caserma. Significa investire in prevenzione concreta, registri aggiornati, sistemi di allerta, collaborazione stabile tra comunità locali e forze dell’ordine. Nei sequestri di massa, anche il conteggio degli ostaggi diventa complesso. A Papiri, le cifre oscillano per giorni a causa di registri incompleti, assenze, fughe e trasferimenti caotici. Una gestione digitale delle presenze, accessibile alle autorità locali, non è un dettaglio tecnico ma una misura di sicurezza.
Resta infine la questione della giustizia. Quanti responsabili di sequestri scolastici finiscono realmente davanti a un tribunale? Le cronache raccontano più rilasci che processi. Senza indagini finanziarie sui flussi dei riscatti e senza cooperazione tra Stati, l’industria del sequestro continua a prosperare.
Dopo l’annuncio del rilascio, le dichiarazioni ufficiali si concentrano sulla gioia delle famiglie e sull’efficacia delle forze di sicurezza. Le parole più nette arrivano però dalle Nazioni Unite e dalle organizzazioni per i diritti umani: normalizzare l’idea che andare a scuola comporti un rischio è una sconfitta collettiva. In un Paese che conta milioni di bambini fuori dal sistema educativo, ogni sequestro alimenta l’abbandono scolastico e allarga le disuguaglianze.
Nelle case di Papiri, la notte del 21 dicembre è stata diversa dalle precedenti. I ragazzi stanno tornando, così promettono da Abuja, e con loro torna una normalità fragile. Se la liberazione dei 130 studenti segna la fine di una vicenda, la sicurezza delle scuole dovrebbe segnare l’inizio di una politica strutturata. Il resto sono immagini necessarie, ma non sufficienti.
Fonti: Presidenza della Repubblica Federale della Nigeria, Christian Association of Nigeria, UNICEF, Nazioni Unite, Safe Schools Declaration, SBM Intelligence, dichiarazioni ufficiali dello Stato del Niger, testimonianze raccolte da media locali nigeriani.
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