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È giusto pagare 140 miliardi un amministratore delegato? La Corte del Delaware dice sì a Elon Musk

La Corte Suprema del Delaware ripristina il maxi compenso approvato nel 2018 da Tesla: annullata la sentenza di primo grado, Musk riottiene le stock option. Una decisione che cambia le regole su governance, remunerazioni e potere dei fondatori

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Un foglio di carta, un numero e un vuoto. Il numero è 56 miliardi di dollari. Il foglio è la decisione con cui la Corte Suprema del Delaware ha annullato il verdetto di primo grado e ha ripristinato il pacchetto di remunerazione assegnato nel 2018 a Elon Musk da Tesla. Il vuoto è quello descritto dai giudici: senza quel piano, il capo dell’azienda sarebbe rimasto privo di compensi per sei anni di lavoro, perché a differenza di altri amministratori delegati non percepisce uno stipendio fisso ma solo remunerazioni legate al raggiungimento di obiettivi di lungo periodo. Ne è uscita una delle decisioni societarie più rilevanti degli ultimi anni, destinata ad avere effetti che vanno ben oltre Palo Alto e Austin, incidendo sulla competitività giuridica del Delaware e sul modo in cui le grandi aziende statunitensi remunerano i fondatori che ne guidano la crescita.

La sentenza, pubblicata il 19 dicembre 2025, ribalta il pronunciamento della Court of Chancery del Delaware del gennaio 2024, firmato dalla giudice Kathaleen St. Jude McCormick, che aveva invalidato la CEO Performance Award concessa a Musk nel 2018 e approvata dagli azionisti nello stesso anno. Secondo la Corte Suprema, la cancellazione totale del piano era una misura sproporzionata e iniqua, perché avrebbe lasciato il CEO senza alcuna remunerazione in un periodo in cui Tesla aveva raggiunto, e in alcuni casi superato, i traguardi fissati. I giudici riconoscono che il processo decisionale presentava criticità, ma ritengono che il rimedio scelto in primo grado sia stato eccessivo. Al suo posto, dispongono un risarcimento simbolico di 1 dollaro e il pieno ripristino delle opzioni.

Il contenzioso nasce nel 2018, quando l’azionista Richard Tornetta impugna l’accordo sostenendo che il consiglio di amministrazione di Tesla fosse troppo vicino a Musk e che le informazioni fornite agli azionisti prima del voto non fossero complete. La Court of Chancery aveva accolto questa tesi, annullando il piano e trasformando il caso in un punto di riferimento nazionale sul tema della corporate governance. La Corte Suprema del Delaware, pur non negando i problemi procedurali, sceglie una linea diversa: riconosce i difetti del processo ma ritiene che l’azzeramento di un contratto di performance, dopo il raggiungimento degli obiettivi, non sia una risposta equa.

Il piano del 2018 è strutturato come un meccanismo di incentivi estremamente selettivo. A Musk è stato concesso un pacchetto di stock option con una durata massima di dieci anni, che consente l’acquisto di circa 304 milioni di azioni, numero aggiornato dopo gli split azionari del 2020 e del 2022. Le opzioni sono suddivise in dodici tranche uguali, ciascuna pari a circa l’1 per cento del capitale allora in circolazione, con un prezzo di esercizio rettificato di circa 23,34 dollari per azione. Ogni tranche si sblocca solo al verificarsi simultaneo di due condizioni: il raggiungimento di una soglia di capitalizzazione di mercato, a partire da 100 miliardi di dollari con incrementi progressivi, e il conseguimento di specifici obiettivi operativi legati ai ricavi o all’EBITDA rettificato (Earnings Before Interest, Taxes, Depreciation and Amortization). Tutte le tranche sono state certificate come maturate negli anni successivi.

Quando il piano viene approvato, Tesla ha una valutazione compresa tra 50 e 75 miliardi di dollari. Negli anni successivi la capitalizzazione supera anche i 1.600 miliardi, trasformando un premio inizialmente stimato in 56 miliardi in un pacchetto che oggi, secondo valutazioni di mercato citate da Reuters e Bloomberg, può valere circa 139–140 miliardi di dollari. Se esercitato integralmente, il piano potrebbe far salire la partecipazione azionaria di Musk dal 12–13 per cento a circa il 18 per cento, rafforzando ulteriormente il controllo del fondatore sull’azienda.

Nel frattempo, nel giugno 2024, gli azionisti di Tesla hanno nuovamente votato sul piano, confermandolo con una larga maggioranza e approvando anche la reincorporazione della società in Texas, con percentuali superiori al 70 per centoper la remunerazione e all’84 per cento per il trasferimento legale. La decisione della Corte Suprema del Delawarearriva quindi in un contesto in cui i soci avevano già ribadito il loro sostegno.

Il caso ha alimentato un dibattito più ampio sulla concorrenza tra Stati per attrarre le grandi corporation. Il Delaware è storicamente il punto di riferimento del diritto societario statunitense, ma negli ultimi anni diverse aziende hanno valutato o attuato trasferimenti verso Texas o Nevada, attratte da un quadro normativo percepito come più favorevole alle imprese. La sentenza invia un segnale al mondo economico: i tribunali del Delaware possono intervenire sui difetti procedurali senza sostituirsi alle decisioni economiche prese dagli azionisti. Allo stesso tempo, non cancella il fatto che Tesla abbia già scelto Austin come nuova sede legale. A Dover, intanto, si discute di possibili interventi legislativi per chiarire il peso della ratifica assembleare e i limiti dell’intervento giudiziario sui compensi dei vertici.

Nel 2025, gli azionisti di Tesla hanno anche approvato un nuovo schema di remunerazione di durata ultra-decennale, legato a obiettivi ancora più ambiziosi su valutazione di mercato e sviluppo tecnologico, che includono auto elettriche, robotica e intelligenza artificiale. La sentenza del Delaware non incide su questo nuovo piano, che resta in vigore come cornice per il prossimo decennio. Secondo alcune ricostruzioni, un premio ponte ipotizzato nel 2025 per cautelarsi dall’esito dell’appello potrebbe ora essere ritirato per evitare sovrapposizioni.

La vicenda non assolve il modo in cui il consiglio di amministrazione costruì il piano del 2018. Le critiche sulla reale indipendenza dei consiglieri, sulla qualità della disclosure pre-voto e sulla necessità di un incentivo di dimensioni così ampie restano un avvertimento per tutte le aziende guidate da fondatori dominanti. La Corte Suprema del Delawareha scelto di distinguere tra l’accertamento dei vizi procedurali e la proporzionalità del rimedio, affermando che si possono censurare processi imperfetti senza annullare un contratto che ha prodotto i risultati per cui era stato ideato.

Le reazioni non si sono fatte attendere. Elon Musk ha commentato la sentenza con un secco Vindicated pubblicato su X, la piattaforma di sua proprietà. Tra gli investitori il giudizio resta diviso: c’è chi vede un allineamento corretto tra rischio e premio e chi teme che il caso apra la strada a compensi sempre più elevati per trattenere i fondatori più visibili. Per chi osserva dall’Europa, la vicenda Tesla mostra quanto i modelli di crescita tecnologica statunitensi possano generare schemi retributivi difficilmente replicabili nei contesti europei, più regolati e culturalmente restrittivi. La lezione centrale resta procedurale: quando sono in gioco premi di dimensioni senza precedenti, la solidità dei processi decisionali e la trasparenza verso gli azionisti diventano determinanti quanto i risultati economici.

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