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Epstein files: perché il Dipartimento di Giustizia ha violato la legge sulla trasparenza?

Documenti pubblicati in ritardo, file oscurati e materiali scomparsi: il rilascio parziale sugli archivi di Jeffrey Epstein accende uno scontro bipartisan negli Stati Uniti e riapre il tema delle responsabilità istituzionali

Epstein files: perché il Dipartimento di Giustizia ha violato la legge sulla trasparenza?

Epstein files: perché il Dipartimento di Giustizia ha violato la legge sulla trasparenza?

Un getto di luce atteso da trenta giorni si trasforma in un cono d’ombra. Nella notte tra il 19 dicembre e il 20 dicembre 2025, le pagine ufficiali del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (Department of Justice – DoJ) vengono aggiornate con migliaia di file legati al caso Jeffrey Epstein. Ma la promessa, e soprattutto l’obbligo giuridico, di pubblicare tutto il materiale non classificato previsto dall’Epstein Files Transparency Act non viene rispettata. Il termine fissato dalla legge scade senza che l’operazione sia completata, la trasparenza slitta e le polemiche esplodono. I documenti resi disponibili non introducono nuove prove di reati. Mostrano invece un vasto archivio fotografico, ricco di volti noti, con il nome di Bill Clinton in evidenza e quello di Donald Trump quasi assente. In mezzo restano pagine interamente oscurate, allegati che risultano mancanti e una domanda che torna a circolare negli ambienti istituzionali: che cosa non è stato ancora pubblicato?

Il quadro normativo è semplice e non lascia spazio a interpretazioni elastiche. Con la firma presidenziale del 19 novembre 2025, il Congresso degli Stati Uniti trasforma in legge il disegno H.R. 4405, noto come Epstein Files Transparency Act. Il testo obbliga il Procuratore generale a rendere pubblici tutti i documenti non classificati in possesso del Governo federale relativi a Jeffrey Epstein, alle sue reti di relazioni, ai collaboratori e ai procedimenti giudiziari che lo riguardano. La legge stabilisce una scadenza precisa: trenta giorni dall’entrata in vigore, con la possibilità di oscurare solo i dati strettamente necessari a tutelare le vittime o a non compromettere indagini ancora sensibili. La data limite è il 19 dicembre 2025, indicata chiaramente anche nelle comunicazioni ufficiali della Casa Bianca.

Quel termine non viene rispettato. Alla scadenza, il Dipartimento di Giustizia pubblica soltanto una parte degli archivi, definendola un primo lotto. Si tratta di una scelta già anticipata nei mesi precedenti, quando il DoJ aveva parlato di una “fase uno” di declassificazione, promettendo un rilascio progressivo a causa delle necessarie redazioni e della tutela di oltre 1.200 vittime identificate. Per i promotori della legge, però, questa impostazione non è conforme al testo approvato dal Congresso, che chiede la pubblicazione integrale di tutto ciò che non è classificato, non una diffusione dilazionata senza un calendario vincolante.

I numeri aiutano a comprendere la portata del materiale reso disponibile. Secondo verifiche giornalistiche indipendenti, il primo rilascio comprende circa 3.965 file, per un totale di circa 3 gigabyte di dati. La maggior parte sono documenti in formato PDF, accompagnati da un breve video. Le cartelle contengono fotografie, rapporti di polizia, elenchi di contatti e soprattutto immagini. Non emergono elementi nuovi sul piano penale, ma un’enorme quantità di scatti, in parte già noti, che ritraggono Epstein insieme a personaggi famosi in contesti mondani o privati.

Bill Clinton

È qui che nasce una delle principali controversie. Le immagini mostrano una presenza ricorrente di Bill Clinton, mentre Donald Trump compare raramente in questo primo blocco. La sproporzione è evidente e alimenta il dibattito politico, pur senza costituire di per sé una prova di alcunché. Le fotografie che ritraggono Clinton sono numerose e in alcuni casi di forte impatto simbolico, come quelle che lo mostrano in piscina o in una vasca idromassaggio con altri volti oscurati, oppure in compagnia di Ghislaine Maxwell. Al contrario, la presenza di Trump è marginale, nonostante le frequentazioni documentate negli anni da inchieste giornalistiche e atti giudiziari.

A rendere il quadro più opaco contribuiscono le numerose redazioni. Intere pagine risultano annerite, con blocchi di testo completamente illeggibili. Secondo diverse analisi, oltre 550 pagine sarebbero state oscurate integralmente, a cui si aggiungono centinaia di tagli parziali. Giuristi e osservatori ricordano che la legge consente redazioni mirate per proteggere le vittime, ma non un oscuramento sistematico che impedisca di comprendere il contenuto dei documenti.

Un ulteriore elemento critico emerge nelle ore successive alla pubblicazione. Almeno 16 file, inizialmente accessibili, risultano poi scomparsi dal portale del Dipartimento di Giustizia. Tra questi ci sarebbe anche una fotografia che ritraeva Donald Trump, Melania Trump, Jeffrey Epstein e Ghislaine Maxwell. L’assenza di spiegazioni ufficiali alimenta richieste di chiarimento da parte di membri del Congresso e rafforza la percezione di un rilascio incompleto e poco controllabile.

La centralità di Bill Clinton nel materiale pubblicato è il dato più discusso. Le immagini lo mostrano in contesti diversi, talvolta insieme a celebrità come Mick Jagger o Michael Jackson. È necessario chiarirlo senza ambiguità: nei documenti diffusi non compaiono nuove accuse o prove di reati a suo carico. I suoi portavoce sottolineano che l’ex presidente non era a conoscenza dei crimini di Epstein e definiscono l’enfasi sulle fotografie una strumentalizzazione politica. Gli archivi ricordano tuttavia un fatto noto: Clinton viaggiò più volte sul jet privato di Epstein tra il 2002 e il 2003, nell’ambito di iniziative filantropiche, insieme ad altre personalità pubbliche come Chris Tucker e Kevin Spacey. Anche questi elementi, privi di rilievo penale, tornano ora al centro del dibattito.

Sul fronte Trump, la scarsità di riferimenti in questo primo rilascio solleva interrogativi. Le relazioni tra Trump ed Epstein sono documentate da anni da articoli di stampa e fotografie. Nelle stesse ore del rilascio, diversi media ricordano che Trump ha definito a lungo l’operazione di trasparenza una manovra politica, salvo poi sostenere la legge nelle fasi finali del suo iter. Al momento, però, dai file pubblicati non emergono nuovi elementi accusatori. L’assenza potrebbe dipendere semplicemente dalla natura del lotto rilasciato o da una scelta di sequenziamento del DoJ. In mancanza di dati completi, ogni conclusione sarebbe prematura.

Se sui contenuti il confronto resta complesso, sui tempi la critica è trasversale. Esponenti sia del Partito Democraticosia del Partito Repubblicano accusano il Dipartimento di Giustizia di non aver rispettato la scadenza fissata dalla legge e di aver fatto un uso eccessivo delle redazioni. Dalla Camera dei Rappresentanti e dal Senato arrivano richieste di audizioni dei vertici del DoJ, ipotesi di interventi legislativi correttivi e persino valutazioni su possibili azioni legali per violazione di un obbligo federale. I promotori chiariscono che la contestazione non riguarda la tutela delle vittime, ma la mancata applicazione letterale dell’Epstein Files Transparency Act.

Le carte pubblicate aggiungono comunque alcuni elementi alla ricostruzione storica. Tra questi figura il riferimento a una denuncia presentata già nel 1996 al Federal Bureau of Investigation (FBI) da Maria Farmer, una delle sopravvissute, che segnalava abusi, furti e una possibile rete di sfruttamento gestita da Epstein e Maxwell. Secondo Farmer, quella denuncia non ebbe seguito. Il destino di quel fascicolo è uno dei passaggi più problematici dell’intera vicenda, perché solleva interrogativi sulle mancate risposte istituzionali molto prima dei procedimenti del 2008 e del 2019. Anche su questo punto, i documenti offrono conferme parziali ma non definitive.

Il Dipartimento di Giustizia giustifica il rilascio a scaglioni e le numerose redazioni con la necessità di proteggere le vittime e di non compromettere indagini ancora delicate. È una posizione formalmente comprensibile, ma criticata da chi osserva che l’oscuramento totale di interi documenti e l’assenza di una tempistica chiara per i prossimi lotti contraddicono lo spirito della legge. L’obiettivo del Congresso non era creare un nuovo archivio frammentato, ma rendere leggibile il rapporto tra le reti di potere frequentate da Epstein e le responsabilità, attive o passive, delle istituzioni.

Il rilascio ha avuto un forte impatto mediatico. Molte testate hanno sottolineato un punto essenziale: le immagini pubblicate non costituiscono prove di reati per le persone ritratte. Documentano frequentazioni, non responsabilità penali. Questa distinzione è fondamentale, soprattutto in un contesto in cui la circolazione sui social tende a semplificare e amplificare. Al tempo stesso, la concentrazione sulle figure più riconoscibili rischia di spostare l’attenzione dal tema centrale, che riguarda il funzionamento dello Stato e il rispetto di una legge federale.

Più delle fotografie, infatti, pesa la scadenza mancata. Una norma approvata per dissipare il sospetto di coperture e impunità non è stata applicata nei tempi previsti. È su questo punto che si misura la credibilità dell’operazione. Non a caso, legislatori come Ro Khanna e Thomas Massie chiedono non una maggiore spettacolarizzazione del materiale, ma l’applicazione integrale dell’Epstein Files Transparency Act, con redazioni limitate allo stretto necessario e tempi certi.

Nelle dichiarazioni ufficiali di queste ore, il Dipartimento di Giustizia assicura che ulteriori lotti, comprendenti centinaia di migliaia di documenti, email e fotografie, saranno pubblicati nelle prossime settimane. Un calendario pubblico, però, non è stato ancora fissato. Nel frattempo, i comitati competenti del Congresso valutano nuove iniziative di controllo. La questione resta quella classica della trasparenza democratica: quando un’istituzione promette di aprire gli archivi, non può farlo in modo parziale.

I fatti, ad oggi, consentono tre affermazioni. I documenti pubblicati non contengono nuove prove di reati a carico delle personalità ritratte. La scadenza fissata dalla legge del 19 dicembre 2025 non è stata rispettata. La pressione politica, bipartisan, è destinata a crescere se il rilascio completo non avverrà a breve. Il caso Epstein continua così a rappresentare un banco di prova per la capacità dello Stato di fare chiarezza su se stesso. La trasparenza promessa è ancora incompleta. E finché mancheranno risposte verificabili, anche la fiducia resterà sospesa.

Fonti utilizzate: Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, Epstein Files Transparency Act (H.R. 4405), Casa Bianca, Congressional Record, Federal Bureau of Investigation, archivi giudiziari federali, ricostruzioni giornalistiche di testate statunitensi e internazionali.

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