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20 Dicembre 2025 - 19:08
Natale dietro le sbarre: a Ivrea un pranzo che restituisce dignità
Dentro le mura della Casa Circondariale di Ivrea, dove il tempo di solito pesa più dei giorni segnati sul calendario, il Natale quest’anno ha avuto un sapore diverso. Non solo per ciò che è stato servito nei piatti, ma per quello che è circolato tra i tavoli: attenzione, rispetto, umanità. Un pranzo speciale, reso possibile dall’impegno silenzioso di decine di volontarie e volontari che hanno scelto di esserci, senza clamore, portando con sé tempo, energie e soprattutto ascolto. Un gesto semplice solo in apparenza, che per chi vive la detenzione assume un valore enorme.
A promuovere l’iniziativa è stata Prison Fellowship Italia, associazione che opera da anni all’interno degli istituti penitenziari con progetti di accompagnamento, sostegno e reinserimento, insieme al movimento ecclesiale Rinnovamento nello Spirito Santo, che in Italia conta oltre 1.600 gruppi e comunità, e alla Fondazione Alleanza del RNS. Il tutto in collaborazione con il Ministero della Giustizia e con il patrocinio del CONI – Comitato Regionale Lazio, che quest’anno ha aderito per la prima volta. Un’alleanza ampia e strutturata che ha dato vita anche quest’anno a «L’ALTrA Cucina… per un Pranzo d’Amore», considerato l’evento natalizio più grande all’interno del sistema carcerario italiano. Un progetto che sceglie consapevolmente di entrare nei luoghi della pena non per spettacolarizzare il disagio, ma per restituire centralità alla persona, contaminando di festa e di vita spazi spesso segnati dall’assenza.
Il pranzo di Natale si è svolto giovedì 18 dicembre, in contemporanea in oltre 56 istituti penitenziari italiani, molti dei quali hanno aperto le porte a questa iniziativa per la prima volta. Da Nord a Sud, passando per grandi città e realtà più periferiche, la solidarietà ha coinvolto decine di territori: da Torino a Ivrea, da Milano Opera a Rebibbia, da Napoli Secondigliano a Palermo Pagliarelli, fino agli istituti minorili e alle carceri della Sardegna e della Calabria. Una mobilitazione ampia, diffusa, concreta.
I numeri parlano chiaro: oltre 1.300 volontari, più di 100 artisti impegnati nel servizio ai tavoli e oltre 70 chef stellati o dell’alta cucina italiana, chiamati a cucinare non per una platea esclusiva, ma per chi vive una delle condizioni più fragili e spesso invisibili della nostra società. I profumi usciti dalle cucine dei penitenziari sono stati quelli delle tradizioni regionali italiane, della cucina mediterranea, ma anche di sapori nuovi, frutto di contaminazioni culturali e di esperienze maturate in Paesi lontani.
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A Ivrea il menù è stato fortemente legato al territorio, grazie a un vero e proprio dream team della cucina italiana. Per primo «Liberamente al forno», una lasagna dal sapore familiare. Per secondo «Le Ali della Libertà», pollastra natalizia farcita con castagne e frutta secca, glassata al Parmigiano Reggiano e accompagnata da fagiolini. A chiudere, la Crostata all’italiana. E poi il carrello dei gelati: stracciatella, cioccolato e vaniglia, Kufi – crema al pistacchio speziata – e il sorbetto all’uva fragola appassita. Un viaggio di sapori che, almeno per qualche ora, ha sospeso la routine carceraria.
Ai fornelli si sono alternati Santino Velardo, Antonio Furolo, Marco Carbone, insieme allo staff di Italian Food Style Education, agli chef della Scuola Alberghiera dei Salesiani, e ai Maestri del Gusto Mauro Demartini, canavesano doc, e Giulio Rocci. Con loro anche Molino Enrici e il Rossotto di Caluso, realtà che da anni non fanno mancare la loro presenza quando si tratta di iniziative solidali capaci di lasciare un segno concreto.
Un lavoro corale che ha trasformato la cucina del carcere in un luogo di attenzione e cura, dove la qualità delle materie prime e l’attenzione ai dettagli sono diventate un linguaggio universale, capace di superare le barriere fisiche e simboliche. Perché cucinare, in certi contesti, non è solo nutrire, ma riconoscere l’altro come persona.
In tutta Italia i commensali del Pranzo sono stati circa 9.000 detenuti, con il coordinamento operativo di circa 700 agenti di Polizia Penitenziaria. La mise en place, curata nei minimi particolari, è stata affidata ai volontari e spesso arricchita da centrotavola realizzati dagli stessi detenuti, con il supporto delle associazioni presenti negli istituti. Un dettaglio tutt’altro che marginale, perché anche l’occhio vuole la sua parte, e la bellezza, quando entra in carcere, assume un valore ancora più significativo.
Nel complesso sono stati serviti oltre 30.000 piatti nelle carceri coinvolte.
Determinante, come sempre, la disponibilità della Direzione, dell’Amministrazione Penitenziaria e di tutto il personale dell’Istituto di Ivrea, senza il cui supporto logistico e organizzativo nulla di tutto questo sarebbe stato possibile. Un esempio concreto di collaborazione capace di trasformare una buona idea in un’esperienza reale.
Non è mancato il sostegno degli sponsor, delle associazioni e delle fondazioni che hanno scelto di credere in un Natale fatto non di slogan, ma di gesti concreti, di dignità e di incontro. Una rete ampia, che dimostra come la solidarietà autentica non abbia bisogno di palcoscenici.
A sintetizzare lo spirito della giornata sono le parole di Mauro Demartini, che al termine del pranzo ha sottolineato come sia stata "un’iniziativa speciale e una bellissima esperienza, da rifare sicuramente". Un commento semplice, ma carico di significato, che restituisce il senso profondo di un progetto che, come ha ricordato anche Marcella Reni, presidente di Prison Fellowship Italia, "illumina gli angoli più bui del Paese" e crea veri punti di svolta.
In questa esperienza, Ivrea ha mostrato il volto migliore di sé: una comunità capace di far camminare insieme istituzioni, volontariato, professionisti e territorio. Dimostrando che il Natale può diventare reale anche dietro le sbarre.
Perché nessuno venga lasciato indietro. Insomma, non uno slogan, ma una promessa mantenuta.
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