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Putin detta le condizioni: l’Europa cederà sui beni russi pur di fermare la guerra?

A Mosca il presidente russo rivendica l’avanzata militare, apre a una pace solo alle sue condizioni e minaccia l’Unione europea sull’uso degli asset congelati. Tra propaganda, numeri reali e pressione diplomatica, il Cremlino prova a trasformare il tempo in un’arma negoziale

Putin detta le condizioni: l’Europa cederà sui beni russi pur di fermare la guerra?

Putin detta le condizioni: l’Europa cederà sui beni russi pur di fermare la guerra?

La scena è quella del salone di rappresentanza a Mosca: luci fredde, telefoni che non smettono di vibrare, Vladimir Putin che parla per oltre quattro ore e mezza e costruisce un messaggio destinato a pubblici diversi. Dice che le truppe russe “avanzano su tutta la linea”, promette “ulteriori successi” entro la fine dell’anno e, quasi senza soluzione di continuità, apre alla possibilità di una pace negoziata. Subito dopo però avverte l’Unione europea: l’uso dei beni russi congelati avrebbe conseguenze gravi. È una sequenza studiata, che alterna forza militare, disponibilità condizionata al dialogo e attacco politico diretto ai leader europei, definiti con termini volutamente sprezzanti. Al netto della propaganda, il messaggio centrale è chiaro: il Cremlino ritiene di avere l’iniziativa sul terreno e di poterla trasformare in leva negoziale.

Putin

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Secondo Putin, le forze russe starebbero avanzando e otterranno nuovi risultati prima della fine del 2025. È la cornice che Mosca cerca di imporre: una guerra di logoramento che, con il passare dei mesi, favorirebbe la Federazione Russa. La disponibilità a una “soluzione pacifica” viene però subordinata a condizioni precise: il riconoscimento delle annessioni, la neutralità dell’Ucraina, limiti alle forniture militari occidentali e una cornice di sicurezza che cristallizzi lo status quo. Il presidente russo parla anche di “compromessi” già concessi, senza però entrare nei dettagli. Parallelamente, l’attacco all’Europa è frontale: se gli asset russi congelati verranno utilizzati per sostenere Kyiv, avverte, si tratterà di un vero e proprio furto.

Quando Putin rivendica i progressi militari e sostiene che l’Ucraina arretra “in tutte le direzioni”, l’obiettivo è duplice. Da un lato rafforzare la legittimazione interna della cosiddetta “operazione militare speciale”, dall’altro convincere interlocutori esterni che il tempo giochi a favore di Mosca. I dati disponibili raccontano però una realtà più complessa. Analisi indipendenti basate su fonti aperte e mappe del fronte indicano che nel 2025 la Russia ha guadagnato terreno, ma con avanzate lente e costose. Secondo l’Institute for the Study of War (ISW), rielaborato da diverse piattaforme analitiche, da gennaio a metà dicembre l’avanzata netta russa è stata inferiore all’1 per cento del territorio ucraino, pari a circa 4.600–4.700 chilometri quadrati. A metà dicembre, Mosca controlla circa il 20 per cento dell’Ucraina, includendo la Crimea annessa nel 2014 e parti del Donbass. Si tratta di un incremento rilevante in termini assoluti, ma lontano da uno sfondamento strategico. La promessa di “successi imminenti” appare quindi più funzionale alla pressione diplomatica che alla descrizione di una vittoria decisiva.

Il tema della pace occupa il secondo asse dell’intervento. Putin afferma che la “palla è nel campo” di Kyiv e degli alleati occidentali e sostiene che Mosca avrebbe già accettato compromessi nei contatti con gli Stati Uniti. Anche qui il linguaggio è rivelatore: l’apertura non è incondizionata e le richieste fondamentali restano invariate. Riconoscere le annessioni, accettare la neutralità ucraina e limitare la proiezione militare di Kyiv significherebbe, di fatto, congelare le linee del fronte sotto tutela russa. Quando il presidente afferma che l’Ucraina non avrebbe più riserve strategiche, rafforza l’argomento della pressione: spingere verso il compromesso presentandolo come inevitabile. Le analisi delle principali agenzie internazionali ricordano però che queste posizioni ricalcano paletti già fissati dal Cremlino nel 2024 e mai realmente negoziati.

La parte più dura del discorso riguarda l’Europa. Putin utilizza un linguaggio deliberatamente offensivo verso i leader dell’Unione europea e minaccia conseguenze pesanti se i beni russi congelati verranno confiscati o utilizzati per sostenere l’Ucraina. Nella sua narrazione, si tratterebbe di un esproprio arbitrario destinato a minare la fiducia nell’Eurozona e nelle sue istituzioni finanziarie. Il messaggio è diretto ai governi, ma anche ai mercati: toccare quegli asset significherebbe, secondo Mosca, indebolire la sicurezza giuridica su cui si basano gli scambi internazionali. Per Bruxelles, la questione è sia politica sia legale: trasformare i profitti straordinari o gli asset congelati in aiuti concreti a Kyiv significa accettare una sfida aperta sul terreno del diritto internazionale e della credibilità finanziaria.

Quando Putin afferma che non ci saranno “nuove operazioni militari speciali” se la Russia verrà “trattata con rispetto”, il messaggio è ancora una volta doppio. All’interno suona come una rassicurazione, all’esterno come una richiesta implicita di riconoscimento di sfere di influenza e linee rosse. È una formula coerente con la dottrina russa degli ultimi anni: evitare un confronto diretto con la NATO (Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord), ma mantenere una pressione costante attraverso strumenti militari, economici e informativi.

Sul fronte economico, Putin descrive il rallentamento della crescita nel 2025 come una scelta consapevole per contenere l’inflazione. Dopo un 2024 chiuso con una crescita superiore al 4 per cento, il PIL (Prodotto interno lordo)dovrebbe attestarsi intorno all’1 per cento. La Banca di Russia ha recentemente ridotto il tasso di riferimento di 50 punti base, portandolo al 16 per cento, una decisione presentata come segnale di stabilizzazione. Il presidente sostiene che lo Stato sia comunque in grado di finanziare lo sforzo militare, pur ammettendo che molte famiglie avvertono l’aumento dei prezzi, in particolare sui beni alimentari. È un passaggio che mostra come la sostenibilità economica della guerra resti una questione aperta, nonostante la narrativa ufficiale sulla resilienza.

Tra le affermazioni più difficili da verificare c’è quella sui “400.000 volontari” arruolati nel 2025. Il dato, rilanciato senza riscontri indipendenti, è stato accolto con cautela dagli analisti. L’Associated Press sottolinea che non esistono conferme autonome e che le stime occidentali sulle perdite complessive, tra morti e feriti, parlano di numeri molto elevati per entrambe le parti. Le valutazioni sul terreno indicano un’iniziativa russa reale ma priva, al momento, di un vantaggio decisivo: avanzate incrementali, uso massiccio di artiglieria e droni, pressione costante sui nodi logistici.

Sul piano diplomatico, l’apertura a colloqui “sui principi” serve a mandare segnali differenziati. All’opinione pubblica interna, Putin si presenta come un leader disposto alla pace ma non a qualsiasi costo. Agli Stati Uniti, fa capire che Mosca è pronta a negoziare solo da posizioni che considera favorevoli. In mezzo c’è Kyiv, chiamata ad accettare quella che il Cremlino definisce la “nuova realtà”. Per rafforzare questa pressione, la Russia insiste sul rischio di una riduzione degli aiuti occidentali e sulle possibili fratture interne all’Europa.

Nel corso della conferenza emerge anche un riferimento al caso del ricercatore francese Laurent Vinatier, detenuto in Russia, segnalato dal quotidiano Le Monde. L’inclusione di un dossier consolare europeo in un contesto di politica generale non è casuale: mostra la volontà del Cremlino di intrecciare il fronte interno con quello esterno e di utilizzare singoli casi come strumenti di pressione diplomatica.

Per i governi europei, il nodo resta la gestione degli asset russi congelati e la capacità di mantenere una linea comune. La minaccia lanciata da Mosca mira a colpire non solo i bilanci pubblici, ma l’intera architettura di fiducia che sostiene la finanza europea. Sul piano militare, lo scenario più probabile resta quello di un conflitto di attrito, con avanzate graduali e un equilibrio che può cambiare localmente ma difficilmente in modo risolutivo senza fattori esterni.

Per Kyiv, l’offerta russa rappresenta una trattativa in salita. Accettare le condizioni del Cremlino significherebbe rinunciare al ritorno ai confini precedenti all’invasione, con il rischio di perdere consenso interno e di indebolire il sostegno occidentale. È in questo spazio che Putin cerca di manovrare, presentando l’Ucraina come la parte non pronta alla pace e rafforzando dubbi tra alleati e opinioni pubbliche.

La lunga conferenza di Mosca non è stata solo un esercizio retorico, ma un’operazione di posizionamento. Il tempo è la variabile su cui il Cremlino scommette: l’adattamento dell’economia russa, il logoramento ucraino, le tensioni nella coesione occidentale. Da qui l’alternanza di promesse di avanzata, aperture negoziali e minacce economiche. Se si guarda oltre la propaganda, resta l’immagine di una Russia che avanza ma non sfonda, di una guerra costosa e di un equilibrio fragile, in cui molto dipenderà dalla capacità dell’Europa e degli Stati Uniti di sostenere Kyiv senza accettare che sia Mosca a dettare tempi e condizioni.

Fonti: Institute for the Study of War (ISW), Associated Press, Le Monde, analisi di agenzie internazionali, comunicazioni ufficiali del Cremlino, dichiarazioni della Banca di Russia.

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