La scena è questa: un lunedì qualsiasi a Palazzo Madama, banchi semivuoti durante una votazione interlocutoria, la solita corsa di molti alla fine della seduta. Fuori dall’Aula, nei fogli dei contabili del Senato, un numero scolpito in nero: 8.611.750 euro. È la voce “diaria” del consuntivo interno 2024. Traduzione: circa 3.500 euro netti al mese per ciascuno dei 205 membri dell’Assemblea — i 200 eletti più i 5 senatori a vita — pagati per dodici mensilità, senza alcuna trattenuta.
Il dato, di per sé asciutto, diventa notizia perché collide con la regola.
Il Regolamento del Senato stabilisce che la diaria, rimborso per le spese di soggiorno a Roma previsto dalla legge n. 1261 del 1965, debba essere decurtata in caso di assenze: in Aula quando non si raggiunge almeno il 30% delle votazioni della giornata; in Commissione e in Giunta quando non si firma il registro delle presenze. Eppure, nel bilancio consuntivo 2024 di Palazzo Madama, non risulta una sola decurtazione. Non è un tecnicismo: è una fotografia che interroga il rapporto tra regole e prassi, tra responsabilità politica e accountability verso i contribuenti.
La diaria nasce per una ragione lineare: i parlamentari vivono e lavorano a Roma per gran parte della settimana e sostenere affitti, trasporti e spese quotidiane ha un costo. La cornice è fissata dalla legge 1261/1965 e dalle deliberazioni degli organi interni. Dal 1° gennaio 2011, una decisione del Consiglio di Presidenza del Senato ha ridotto l’importo mensile da 4.003 euro a 3.500 euro. Non è uno stipendio, ma un rimborso forfettario, distinzione tutt’altro che semantica perché implica regole diverse di decurtazione e rendicontazione. Sul sito istituzionale di Palazzo Madama è scritto con chiarezza che la diaria spetta a tutti i senatori, ma sono previste decurtazioni per ogni giornata di assenza dai lavori parlamentari: per l’Aula scattano se non si partecipa ad almeno il 30% delle votazioni giornaliere, mentre la penalizzazione vale anche per Commissioni e Giunte quando sono in programma votazioni.
Lo stesso impianto, con differenze di dettaglio, vale a Montecitorio. Alla Camera dei deputati, il rimborso fissato a 3.503,11 euro viene ridotto di 206,58 euro per ogni giorno di assenza dalle sedute con voto elettronico e può subire fino a 500 euro di decurtazione mensile in base alla partecipazione a Giunte e Commissioni. La logica è identica: la diaria è legata all’effettiva partecipazione ai lavori. Ed è qui che la matematica smette di essere neutra. Se tutti i 205 senatori — 200 eletti e 5 a vita, oggi Liliana Segre, Mario Monti, Elena Cattaneo, Renzo Piano, Carlo Rubbia — avessero percepito la diaria piena per dodici mesi, la spesa teorica sarebbe stata di 8.610.000 euro. Il consuntivo 2024 restituisce invece 8.611.750 euro, 1.750 euro in più: una differenza millimetrica, spiegabile con arrotondamenti o conguagli, ma sufficiente a confermare che per l’insieme dei membri la diaria è stata liquidata integralmente, senza evidenza di trattenute.
Il punto diventa politico prima che contabile: com’è possibile che in un anno di sedute, commissioni, votazioni e astensioni non si sia mai attivato un solo meccanismo di decurtazione per assenze ingiustificate? La risposta sta nelle maglie del sistema. A Palazzo Madama la verifica delle presenze in Aula avviene attraverso il voto elettronico: basta partecipare al 30% delle votazioni della giornata per risultare presenti, il che significa poter saltare fino al 70% dei voti senza perdere la diaria. In Commissione e in Giunta il criterio è spesso la firma su un registro, non sempre accompagnata da votazioni tracciate. L’applicazione delle regole è affidata ai Questori e alla Presidenza del Senato, oggi guidata da Ignazio La Russa. Se il consuntivo segna zero trattenute, le alternative sono due: o nel 2024 non si è mai verificata una giornata di assenza tale da superare anche queste soglie elastiche, oppure — ipotesi più realistica — le assenze non si sono tradotte in sanzioni economiche.
Le spiegazioni possibili si sovrappongono. La soglia del 30% rende rari i casi di assenza formale anche quando la partecipazione è minima; il sistema delle giustificazioni — malattia, maternità, lutti, incarichi istituzionali — funziona come una rete di protezione ampia; nelle Commissioni, dove spesso si vota per alzata di mano, il tracciamento è meno stringente; la trasparenza dei dati non aiuta, perché il Senato non pubblica con regolarità un quadro mensile delle presenze individuali distinto tra assenze giustificate e non, limitandosi a statistiche aggregate. Il risultato è una zona grigia in cui la regola esiste sulla carta e la sanzione si dissolve nella pratica.
Il tema si intreccia con quello più ampio dei costi della politica dopo il taglio dei parlamentari deciso con la riforma costituzionale entrata in vigore dalla XIX legislatura. Il Senato è passato da 315 a 200 eletti, ma la dotazione complessiva per il funzionamento di Palazzo Madama è rimasta attorno ai 505 milioni di euro. La stabilità della cifra è stata rivendicata come segnale di sobrietà in un contesto di inflazione e costi energetici crescenti, ma critici e osservatori hanno fatto notare che la riduzione del 36,5% dei seggi non si è tradotta in un taglio proporzionale delle spese e che alcune voci hanno continuato a pesare. La diaria diventa così un indicatore di coerenza tra regole e comportamenti.
Il cuore del problema resta la soglia del 30%. Nata come compromesso per non penalizzare chi lavora in Commissione o è impegnato in altri incarichi istituzionali, col tempo si è trasformata in un paracadute troppo largo. In una giornata con dieci votazioni, tre presenze bastano a evitare la decurtazione; quando i voti sono pochi, è ancora più semplice. Alzare l’asticella al 50% più uno delle votazioni o legare la diaria a un mix obbligatorio di presenze in Aula e in Commissione renderebbe la partecipazione più aderente al lavoro reale, come già avviene in parte a Montecitorio.
In un Parlamento moderno la trasparenza non è un orpello ma un pezzo della legittimazione. Pubblicare dati individuali sulle presenze, rendere più tracciabili i lavori delle Commissioni, attivare meccanismi automatici di segnalazione e decurtazione ridurrebbe la discrezionalità e sposterebbe il dibattito dalla polemica alle soluzioni. Anche il tema della residenza resta aperto: la diaria nasce come rimborso per il soggiorno nella Capitale, ma non prevede riduzioni per chi vive a Roma o nell’area metropolitana, scelta storica che semplifica l’amministrazione ma stona con il principio del rimborso spese.
Nel circuito decisionale interno, i Questori e il Consiglio di Presidenza hanno un ruolo chiave. L’interpretazione e l’applicazione delle regole sono responsabilità dell’organo guidato dal Presidente del Senato, Ignazio La Russa. La discussione sul consuntivo 2024, approvato dall’Aula nel luglio 2025, ha visto una maggioranza compatta nel difendere l’impostazione attuale e un’opposizione più critica sui capitoli di spesa e sulla trasparenza. Al netto dei fronti politici, il dato resta: 8.611.750 euro liquidati alla voce diaria, nessuna trattenuta registrata.
La diaria non è la voce più onerosa del bilancio di Palazzo Madama e non cambierà da sola il dibattito sui costi della politica. Ma è un simbolo potente dell’idea di responsabilità pubblica. Il 2024 del Senato mostra regole che esistono e restano inerti. Tocca alla politica decidere se lasciare che quel numero resti una riga senza domande o trasformarlo nel punto da cui ripartire per rendere la diaria ciò che dovrebbe essere: un rimborso legato al lavoro, non una rendita slegata dai comportamenti. Le istituzioni costano, ma costano di più se funzionano male: il primo banco di prova della coerenza è già qui.