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L’Impresa del Ponte, una notte che salvò Ivrea. E una pastasciutta per non dimenticare

Martedì 23 dicembre 2025 l’ANPI ricorda il sabotaggio partigiano che evitò il bombardamento della città: apertura del rifugio antiaereo, cerimonia in Sala Dorata e “Pastasciutta antifascista del Ponte” ad Albiano

L’Impresa del Ponte, una notte che salvò Ivrea. E una pastasciutta per non dimenticare

AMOS MESSORI il partigiano d’Artagnan che la notte del 23 dicembre di 75 anni fa fece saltare il ponte sulla Dora, salvando la città dai bombardamenti aerei degli alleati

C’è un modo tutto eporediese di tenere accesa la memoria: non con le celebrazioni imbalsamate, ma tornando nei luoghi, rimettendo i passi dove un tempo si rischiava la pelle, e sedendosi poi a tavola come si fa tra persone che non vogliono dimenticare. Per questo, martedì 23 dicembre 2025, all'antivigilia di Natale, l’ANPI Ivrea e Basso Canavese ripropone uno degli appuntamenti più iconici dell’anno: “Il ricordo dell’Impresa del Ponte” e la “Pastasciutta antifascista del Ponte”. Un giorno solo, ma carico di storia.

L’Impresa del Ponte non è una cartolina della Resistenza: è una notte vera, concreta, fatta di gelo, paura e decisioni prese quando sbagliare significava morire. È la notte tra il 23 e il 24 dicembre 1944, quella in cui Mario Pelizzari, detto Alimiro, e Amos Messori, detto D’Artagnan, con i loro compagni riescono a compiere un sabotaggio “chirurgico” sul ponte ferroviario, evitando che Ivrea venisse travolta da un bombardamento alleato. Una scelta che oggi si racconta in poche righe, ma che allora si pagava in coraggio, nervi, e in quel misto di lucidità e incoscienza che appartiene solo a chi non ha alternative.

Ottantuno anni dopo, la città non celebra soltanto un gesto. Celebra l’idea che quel gesto conti ancora: che non sia un capitolo chiuso, ma una domanda viva su cosa siamo disposti a fare per gli altri, e su come difendiamo oggi la libertà che qualcuno, ieri, si è andato a prendere di notte, sotto le sentinelle.

Il programma della giornata prova a tenere insieme tutto questo: luoghi, immagini, comunità.

Alle ore 16 è prevista l’apertura straordinaria del Rifugio antiaereo: una discesa fisica e simbolica nel ventre della città, in uno spazio che racconta la paura collettiva di quegli anni meglio di mille discorsi. L’accesso avverrà con turni di non più di 25 persone ogni mezz’ora e varrà l’ordine di arrivo: un dettaglio organizzativo, certo, ma anche un modo per ricordare che la memoria non è uno spettacolo da guardare a distanza: è qualcosa in cui si entra, letteralmente.

Alle ore 18.30, nella Sala Dorata del Municipio di Ivrea, si terrà la cerimonia ufficiale con la proiezione del video “25 Aprile”, curato da Annamaria Pastore, che chiude l’80° dalla Liberazione. Un titolo che è già una promessa: riportare la festa civile più importante del Paese alla sua sostanza, senza retorica, con la forza delle immagini e delle parole che sanno ancora colpire lo stomaco. Perché c’è una differenza enorme tra “ricordare” e “sentire”: e quando un racconto è fatto bene, smette di essere passato e diventa presente.

E poi, alle ore 20.30, arriva il momento che ogni anno fa capire quanto la Resistenza sia stata anche una comunità concreta: la “Pastasciutta antifascista del Ponte” al Castello vescovile di Albiano. Una tavolata che non è folclore, ma un gesto politico nel senso più pulito del termine: stare insieme, riconoscersi, e dirsi che l’antifascismo non è una parola da anniversario, ma una scelta quotidiana. La pastasciutta, in Italia, è sempre stata questo: una cosa semplice che diventa enorme quando la condividi. E in certe serate, anche un piatto “modico” può pesare più di un discorso ufficiale.

Per partecipare alla cena è raccomandata la prenotazione entro domenica 21 dicembre al 320 685 44 32 (menù in fase di elaborazione, prezzi modici). E c’è anche un’attenzione in più: segnalare se si è vegetariani, perché la memoria è più credibile quando sa includere, non quando pretende.

In fondo, il senso della giornata è tutto qui: tornare a pronunciare quei nomi – Alimiro, D’Artagnan – non come figure lontane, ma come persone che hanno rischiato tutto perché Ivrea restasse in piedi. E poi, dopo aver guardato le immagini, dopo essere scesi nel rifugio, dopo aver ascoltato le parole, sedersi a tavola. Non per “festeggiare”, ma per rinnovare un patto: quello di non lasciare mai sola la storia, e di non lasciare mai sola la città.

Quella notte...

La decisione arriva lontano da Ivrea, ma il suo peso cade tutto sulla città. Per far cessare il traffico di materiale ferroso che, per uso bellico, dalle miniere di Cogne viene trasferito verso la Germania nazista, gli Alleati stabiliscono una soluzione brutale e definitiva: bombardare il ponte ferroviario di Ivrea.
Un obiettivo militare, certo. Ma anche una condanna annunciata. Perché quel ponte è incastonato nel cuore della città, circondato da case, fabbriche, strade. Bombardarlo significa accettare inermi vittime civili, distruzione, macerie, sangue.

È in quel momento che entra in scena un uomo che non accetta l’inevitabile. Mario Pelizzari, nome di battaglia “Alimiro”.

È lui a farsi avanti. È lui a chiedere che prima di scatenare l’inferno dal cielo si lasci tentare un’altra strada. Lasciate provare noi, dice. I partigiani di Giustizia e Libertà e i Garibaldini. Un sabotaggio mirato, chirurgico. Un’azione impossibile, ma pulita. Un gesto che può salvare Ivrea.

La risposta degli Alleati è gelida. Il tenente Pat Amoore, del commando inglese, ha già studiato la situazione. Conosce il ponte, le ronde, le sentinelle, la posizione delle caserme fasciste e del comando tedesco. Scuote la testa.
“Impossibile. Sarebbe un suicidio.”

Ma Alimiro non arretra. Non alza la voce, non discute. Insiste.
“Fateci provare lo stesso.”

È così che prende forma quella che Piero Calamandrei definirà più tardi “un’operazione di alta ingegneria partigiana”. Un’impresa che non nasce dall’improvvisazione, ma da giorni di studio, sopralluoghi, calcoli. L’azione viene pianificata a partire dal 21 dicembre 1944, con precisione ostinata, mentre Ivrea continua a vivere ignara, con il Natale alle porte e la guerra addosso.

La notte scelta è quella tra il 23 e il 24 dicembre 1944.

Un manipolo di uomini avanza nel buio. Pochi, determinati, consapevoli che ogni passo potrebbe essere l’ultimo. Eludono le ronde, aggirano le sentinelle armate. Si infilano in una stradina strettissima, soffocata dalla presenza del potere nemico: da un lato il comando tedesco nella Villa Demaria, dall’altro la caserma Valcalcino, occupata dai fascisti della Repubblica di Salò. Due bocche di lupo, due nidi di armi. E in mezzo, loro.

Sotto il naso del nemico, senza sparare un colpo, senza una parola di troppo.

È qui che Mario Pelizzari “Alimiro” e Amos Messori, nome di battaglia “D’Artagnan”, compiono il gesto più audace. Si arrampicano sui tralicci del ponte ferroviario, nel buio e nel gelo, con la Dora Baltea che scorre nera sotto di loro. Ogni metallo che scricchiola sembra un allarme. Ogni respiro è trattenuto.

Minano il ponte. Lavorano con mani ferme e cuore in tumulto. Nessuna scena eroica, nessuna retorica. Solo concentrazione assoluta e la consapevolezza che stanno decidendo il destino di una città.

Poi si allontanano. Pochi metri. Abbastanza per salvarsi, non abbastanza per sentirsi al sicuro. Il tempo si dilata. Ivrea trattiene il fiato.

L’esplosione arriva come un tuono. Il ponte salta. Il traffico ferroviario verso la Germania è interrotto. L’obiettivo militare è centrato. Il bombardamento non serve più.

Ivrea è salva.

Non ci sono applausi quella notte. Non ci sono celebrazioni. Solo uomini che spariscono nel buio, portandosi addosso la stanchezza, la paura e una vittoria che non chiede riconoscimenti. Alimiro, D’Artagnan e gli altri partigiani tornano invisibili, come spesso accade a chi fa la storia davvero.

Resta una targa, oggi. Resta un ponte ricostruito. Ma soprattutto resta una verità che andrebbe ricordata ogni volta che si parla di Resistenza:
che non sempre la guerra si vince distruggendo tutto,
che a volte il coraggio più grande è prendersi sulle spalle un rischio impossibile per salvare gli altri.

Insomma, quella notte di dicembre del 1944, a Ivrea, non saltò solo un ponte.
Saltò l’idea che non ci fosse alternativa alla violenza cieca.
E grazie a pochi uomini, armati di coraggio e di incoscienza, una città poté continuare a vivere.

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