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19 Dicembre 2025 - 07:26
VLADIMIR PUTIN PRESIDENTE RUSSIA, VALERY GERASIMOV CAPO DI STATO MAGGIORE DELLE FORZE ARMATE DELLA RUSSIA – PRIMO VICE MINISTR
La scena è quella di un salone solenne, pavimenti di marmo lucidati a specchio, uniformi di gala, spalline dorate allineate davanti al podio. Da lì Vladimir Putin pronuncia una parola che pesa più dei gradi militari presenti in sala: podsvinok. In russo significa “maialino da latte”. È l’espressione con cui il presidente russo definisce i leader europei, accusandoli di aver sperato di “banchettare sul collasso della Russia” dopo il 1991. Non è una battuta improvvisata né un post sui social, ma un passaggio inserito con precisione in un discorso ufficiale al Consiglio allargato del Ministero della Difesa della Federazione Russa. Nello stesso intervento, Putin ribadisce che la Russia non rinuncerà alla sua “missione di liberare le terre storiche” e che gli obiettivi in Ucraina saranno raggiunti “per via diplomatica, se possibile, altrimenti con la forza”. L’Europa viene liquidata come un branco di “maialini”, mentre gli Stati Uniti d’America e l’Occidente nel loro insieme vengono accusati di voler distruggere la Russia.
Il termine podsvinok, già utilizzato in passato da figure come Dmitrij Medvedev, non è nuovo nel vocabolario della propaganda russa. La novità sta nel contesto: non un’uscita polemica, ma una scelta lessicale collocata in un momento istituzionale, davanti ai vertici militari. È un cambio di registro che segnala una strategia precisa. Delegittimare le classi dirigenti europee, suggerire che il loro ciclo politico sia al tramonto e, allo stesso tempo, soffiare sulle divisioni interne all’Unione Europea, proprio mentre a Bruxelles si discute se utilizzare i proventi dei beni russi congelati per sostenere Kyiv. Il messaggio è semplice: se i negoziati falliranno, la responsabilità sarà dell’Europa.
Sul piano diplomatico, Putin gioca su un doppio binario. Da un lato parla di dialogo, soprattutto con Washington, dall’altro ribadisce che qualsiasi trattativa dovrà partire dal riconoscimento delle “terre storiche” e dall’accettazione di condizioni dettate dal Cremlino. L’allarme della NATO (Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord) su un possibile attacco russo viene liquidato come “isteria occidentale”, mentre viene annunciata la volontà di spingere oltre la linea del fronte per creare una “zona cuscinetto”. In questa impostazione, un cessate il fuoco sarebbe possibile solo dopo il ritiro ucraino dal Donbas e l’accettazione di fatto delle annessioni. Una posizione che si scontra apertamente con il diritto internazionale e con la linea del governo di Volodymyr Zelensky, che continua a escludere concessioni territoriali.
Accanto alla retorica, Putin snocciola numeri. Sostiene che nel 2025 le forze russe abbiano ripreso oltre 300 insediamenti e che il potenziale militare ucraino si sia ridotto di un terzo. Poi arriva la cifra più dura: quasi 500.000 militari ucraini uccisi dall’inizio della guerra, un dato ripetuto da esponenti di primo piano come il capo di Stato maggiore Valerij Gerasimov. Queste cifre, però, non sono verificabili in modo indipendente e vengono considerate ampiamente gonfiate da osservatori e analisti internazionali. Le valutazioni basate su fonti aperte, immagini satellitari e mappe di controllo del territorio non confermano né l’entità delle conquiste dichiarate né il numero delle perdite ucraine diffuso da Mosca.
Analisi indipendenti come quelle dell’Institute for the Study of War (Istituto per lo Studio della Guerra) mostrano una discrepanza costante tra la narrativa ufficiale russa e la situazione sul terreno. I guadagni territoriali del 2025 risultano inferiori a quelli proclamati e molte località presentate come “liberate” restano in realtà contese o sotto controllo parziale. Anche il numero di 300 insediamenti riconquistati appare, alla verifica delle fonti aperte, sovrastimato di un ordine di grandezza.
Per quanto riguarda le perdite, l’ultima cifra ufficiale resa pubblica da Kyiv risale a febbraio 2024, quando Zelensky parlò di circa 31.000 soldati ucraini uccisi. Da allora non ci sono aggiornamenti ufficiali, ma la distanza tra quel dato e il mezzo milione evocato da Mosca resta evidente. Le stime occidentali parlano di centinaia di migliaia di morti e feriti complessivi su entrambi i fronti. Per la Russia, alcune valutazioni di centri studi statunitensi e britannici ipotizzano tra 600.000 e oltre un milione di perdite complessive, tra morti e feriti. Le forchette sono ampie e le metodologie discutibili, ma indicano una guerra di logoramento su scala enorme, di cui nessuna delle parti fornisce un quadro completamente trasparente.

Il richiamo alle “terre storiche” è il perno ideologico della strategia russa dal 2014 in poi. È la cornice che ha accompagnato l’annessione della Crimea e i referendum nei territori occupati di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Nel discorso al Ministero della Difesa, Putin insiste sull’idea di una Russia assediata, costretta a difendersi e a ristabilire confini storici e culturali. Questa narrazione serve a consolidare il consenso interno, preparare una pressione militare prolungata e presentare ogni eventuale negoziato come una concessione, non come una necessità.
L’insulto rivolto ai leader europei arriva in un momento delicato. L’Unione Europea sta valutando come utilizzare i proventi dei beni sovrani russi congelati, in particolare quelli custoditi presso Euroclear in Belgio. Una scelta che divide governi e giuristi. In parallelo, gli Stati Uniti, sotto la presidenza di Donald Trump, spingono per accordi che potrebbero includere un cessate il fuoco e una qualche forma di riconoscimento delle attuali linee di controllo. Mosca tenta di sfruttare le divergenze transatlantiche, dipingendo l’Europa come irrilevante e moralista, e puntando a un confronto diretto con Washington. Il linguaggio della derisione non è casuale: serve a polarizzare e a spostare il dibattito dai vincoli del diritto alla logica dei rapporti di forza.
Sul piano militare, mentre Putin parla, il ministro della Difesa Andrej Belousov illustra la trasformazione dello strumento bellico russo. La spesa militare per il 2025 viene indicata intorno al 5,1 per cento del Prodotto interno lordo, anche se alcune fonti stimano che, includendo l’intero comparto sicurezza, si possa arrivare a quote molto più alte del bilancio federale. Crescono le unità dedicate ai droni e si intensificano gli attacchi contro le infrastrutture energetiche ucraine. È il segnale di una guerra che si è spostata verso una dimensione tecnologica, in cui i droni FPV (First Person View) e la guerra elettronica giocano un ruolo centrale. Per l’Europa, questo significa un conflitto ad alta intensità che consuma rapidamente materiali, munizioni e personale addestrato.
Definire i leader europei “maialini” serve anche a spostare il quadro di riferimento. Se l’Europa è dipinta come degradata, allora le sue regole e i suoi richiami al diritto internazionale possono essere ignorati. È un modo per preparare l’opinione pubblica russa a respingere eventuali iniziative diplomatiche europee che non riconoscano i fatti compiuti sul terreno. Allo stesso tempo, Mosca punta sulle divisioni interne all’UE, scommettendo che il logoramento del conflitto e le pressioni politiche interne spingano verso una riduzione degli aiuti a Kyiv.
Alla fine del 2025, secondo la maggior parte delle stime indipendenti, la Russia controlla circa un quinto del territorio ucraino, con variazioni che ruotano intorno al 19 per cento. Le avanzate dell’ultimo anno hanno prodotto guadagni tattici, non sfondamenti strategici. Molte delle località citate dalla narrativa russa restano contese, e il numero di insediamenti “liberati” resta più un argomento propagandistico che una fotografia precisa della realtà.
Dietro l’insulto, dunque, c’è una dottrina. L’idea che la guerra possa finire solo alle condizioni del Cremlino, che la diplomazia serva a ratificare ciò che è stato ottenuto con la forza e che l’Europa sia parte del problema, non della soluzione. I dati indipendenti raccontano una guerra più lenta e più costosa di quanto Mosca voglia ammettere, in cui i successi tattici non si sono tradotti in un cedimento strategico dell’Ucraina. Resta da capire se l’Europa accetterà il vocabolario imposto da Mosca o se proverà a rispondere con unità politica e decisioni concrete, sapendo che, in questo conflitto, anche le parole sono un’arma.
Fonti: Cremlino, Ministero della Difesa della Federazione Russa, Institute for the Study of War, Presidenza dell’Ucraina, NATO, Euroclear, stime OSINT (Open Source Intelligence), analisi di centri studi statunitensi e britannici.
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