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19 Dicembre 2025 - 08:31
La Cina tassa i preservativi: davvero così pensa di far nascere più figli?
Una mano afferra una confezione di preservativi su uno scaffale di Pechino. Il prezzo è ben visibile, subito sotto un’etichetta più piccola specifica: IVA (Imposta sul Valore Aggiunto) 13%. Non è una proiezione futura lontana: dal 1° gennaio 2026 i contraccettivi in Cina perderanno l’esenzione fiscale che li ha accompagnati per oltre trent’anni. È una scelta che nasce dentro una riforma tributaria ampia, ma che assume un peso politico e sociale evidente perché tocca direttamente la sfera riproduttiva. Meno agevolazioni alla contraccezione, più segnali a favore della natalità. E una domanda che circola tra farmacie, social network cinesi e ambulatori: questa tassa porterà più nascite o più problemi di salute pubblica?
Per più di tre decenni i medicinali e dispositivi contraccettivi erano esentati dall’IVA in base ai Regolamenti provvisori sull’IVA, entrati in vigore nel 1993. La nuova Legge sull’IVA, approvata il 25 dicembre 2024 dalla Standing Committee dell’Assemblea Nazionale del Popolo, cancella quell’eccezione e riporta i contraccettivi dentro l’aliquota ordinaria del 13%, la stessa applicata alla maggior parte dei beni di consumo. Dal punto di vista giuridico è una normalizzazione: una materia che finora viveva di regolamenti viene ricondotta dentro una legge organica. Nei testi ufficiali non compare alcun riferimento esplicito a obiettivi demografici. Ma il contesto in cui la norma arriva rende difficile separare il dato tecnico dal messaggio politico.

Sui media internazionali la misura è già stata ribattezzata “tassa sui preservativi”. Una definizione semplificata, perché nello stesso pacchetto fiscale compaiono anche agevolazioni per asili, nidi e servizi di assistenza agli anziani, segno di una ristrutturazione complessiva del sistema e non di una singola crociata contro la contraccezione. Tuttavia, la coincidenza temporale con il crescente attivismo pro-natalità dello Stato alimenta una lettura diffusa: lo Stato cinese sta rivedendo il proprio ruolo, passando dall’incentivare la pianificazione familiare al favorire esplicitamente la nascita di figli.
Sul piano pratico, l’impatto è chiaro. Dal 1° gennaio 2026 su un prodotto da 20 yuan l’IVA aggiungerà 2,6 yuan. Per una parte della popolazione urbana si tratta di una cifra contenuta. Per studenti, lavoratori precari e migranti interni, che spesso acquistano singole confezioni e non pacchi multipli, l’aumento pesa di più. Molto dipenderà dalle scelte di produttori e rivenditori, che potranno assorbire parte del costo o trasferirlo interamente sui consumatori. Gli studi di salute pubblica citati da Associated Press (AP) indicano però un punto fermo: anche rincari limitati possono ridurre l’uso dei metodi di barriera tra le fasce più vulnerabili, con effetti indiretti su gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili (IST).
La riforma fiscale non viene presentata come uno strumento demografico, ma arriva mentre la Cina affronta una crisi profonda. Nel 2024 le nascite sono state 9,54 milioni, con un tasso di 6,77 per mille, in lieve aumento rispetto al 2023ma su livelli storicamente bassi. I matrimoni sono scesi a circa 6,1 milioni, il dato più basso dagli anni Ottanta. La popolazione complessiva è in calo per il terzo anno consecutivo. In parallelo, Pechino ha annunciato l’eliminazione delle spese vive per il parto dal 2026, l’estensione della copertura assicurativa per la PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) in un numero crescente di province e nuovi sussidi all’infanzia. Misure pensate per ridurre il costo di avere figli, ma che finora non hanno prodotto un’inversione strutturale della tendenza.
Le reazioni online oscillano tra ironia e disincanto. Sui social cinesi circolano commenti che mettono a confronto il costo di un pacco di preservativi con quello di crescere un figlio, evidenziando la sproporzione. Tra gli esperti internazionali prevale lo scetticismo: il calo della natalità è legato a fattori strutturali come il prezzo delle case, il costo del childcare, la precarietà lavorativa e le discriminazioni sul lavoro nei confronti delle donne. Secondo stime riportate dal Guardian, anche il gettito fiscale atteso dalla nuova IVA sui contraccettivi sarebbe marginale nel bilancio pubblico, rafforzando l’idea che la misura abbia soprattutto un valore simbolico.
Il fronte sanitario è quello che preoccupa di più. I dati mostrano una crescita delle IST, in particolare tra gli over 50. In diverse aree, secondo studi cinesi richiamati da AP, la quota di nuovi casi di HIV (Virus dell’Immunodeficienza Umana) in questa fascia d’età supera quella dei 15–49 anni. Anche sifilide e gonorrea sono in aumento da anni. In un contesto in cui l’educazione sessuale resta disomogenea e l’accesso a test e terapie non è sempre semplice, rendere più costosa la contraccezione di barriera rischia di colpire chi è già più esposto.
A complicare il quadro c’è un’altra linea politica. Dal 2021 le autorità hanno dichiarato l’intenzione di ridurre gli aborti non necessari dal punto di vista medico. La formulazione è volutamente ambigua e non equivale a un divieto, ma ha alimentato timori su una crescente pressione sulle scelte riproduttive delle donne. In questo scenario, la fine dell’esenzione fiscale sui contraccettivi viene percepita da parte dell’opinione pubblica come un ulteriore tassello di una strategia di persuasione pro-natalista.
Il cambiamento segna anche una rottura simbolica con l’epoca della politica del figlio unico, quando lo Stato favoriva attivamente la contraccezione. Oggi, dopo il passaggio prima a due e poi a tre figli consentiti, la direzione è opposta. La normalizzazione fiscale allinea la Cina a molti altri Paesi, ma avviene nel momento in cui il governo promette congedi più lunghi, bonus alla nascita, coperture per la PMA e l’azzeramento dei costi per partorire. Il messaggio istituzionale è chiaro; resta aperta la risposta della società.
Il mercato dei preservativi in Cina è ampio e competitivo, con marchi internazionali e produttori locali. Un’IVA al 13% potrà essere in parte assorbita dai margini o trasferita sui prezzi. Ma la domanda non è perfettamente rigida. Un aumento dei costi, combinato con stigma sociale e lacune informative, può spingere verso pratiche meno sicure o verso canali informali, dove la qualità dei prodotti non è garantita. Gli specialisti ricordano che la prevenzione costa meno del trattamento e che eventuali risparmi sulla contraccezione possono tradursi in spese sanitarie più alte nel medio periodo.
Nei prossimi mesi l’attenzione sarà sui decreti applicativi della Legge sull’IVA e sulle eventuali circolari che chiariranno se sono previste eccezioni, ad esempio per i preservativi distribuiti nei programmi di prevenzione. Saranno osservati i movimenti dei prezzi al consumo, l’efficacia dei nuovi sussidi e gli indicatori di salute pubblica, dalle ISTalle interruzioni di gravidanza, soprattutto tra i gruppi a rischio.
Al di là del gettito, la scelta ha un forte valore simbolico. Lo Stato che per decenni ha promosso la pianificazione familiare ora invita a diventare genitori. Ma le famiglie si confrontano con salari stagnanti, costi abitativi elevati e carichi di cura crescenti. Senza interventi strutturali su questi nodi, la leva fiscale rischia di apparire come un’ingerenza e di compromettere risultati sanitari costruiti nel tempo. In Cina, la demografia è tornata a essere politica, e anche una semplice confezione di preservativi diventa un segnale da interpretare.
Fonti: Legge sull’IVA della Repubblica Popolare Cinese, Standing Committee dell’Assemblea Nazionale del Popolo, Associated Press, The Guardian, Ufficio Nazionale di Statistica della Cina.
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