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Un anestesista che avvelena i pazienti in sala operatoria: com’è possibile che nessuno se ne sia accorto per nove anni?

Condannato all’ergastolo Frédéric Péchier: 30 avvelenamenti, 12 morti, due cliniche, una lunga scia di arresti cardiaci “inspiegabili”. La sentenza di Besançon apre un’inchiesta sul sistema sanitario, sui controlli interni e su ciò che accade davvero dietro le porte delle sale operatorie

Un anestesista che avvelena i pazienti in sala operatoria: com’è possibile che nessuno se ne sia accorto per nove anni?

Un anestesista che avvelena i pazienti in sala operatoria: com’è possibile che nessuno se ne sia accorto per nove anni?

La scena è silenziosa, quasi irreale: un’anestesia per un intervento considerato di routine, il bip regolare del monitor, poi il tracciato cambia improvvisamente. Scatta l’allarme, partono le manovre d’urgenza, l’adrenalina entra in circolo, il personale prova a rianimare. Non è un episodio isolato. Non è un’eccezione. Quando i fatti vengono ricostruiti nel tempo, un nome ritorna con insistenza nei corridoi di due strutture sanitarie di Besançon. È quello di Frédéric Péchier, ex anestesista, 53 anni, condannato all’ergastolo per 30 avvelenamenti, di cui 12 mortali, avvenuti tra il 2008 e il 2017. La sentenza, pronunciata il 18 dicembre 2025, conclude un processo durato tre mesi e apre interrogativi profondi sui controlli interni, sui protocolli di sicurezza e sulle responsabilità delle strutture sanitarie.

La Corte d’Assise del Doubs ha stabilito che Péchier ha contaminato sacche per flebo e farmaci anestetici con sostanze capaci di provocare arresti cardiaci improvvisi o gravi emorragie, spesso durante interventi classificati come a basso rischio. Secondo l’accusa, il movente non sarebbe stato economico, ma legato a dinamiche di potere interne: colpire colleghi con cui aveva rapporti conflittuali e, allo stesso tempo, presentarsi come il professionista capace di intervenire all’ultimo istante, rafforzando la propria posizione. Una dinamica descritta in aula come quella del “piromane-soccorritore”. La pena inflitta è l’ergastolo, con un periodo minimo di sicurezza di 22 anni, l’interdizione perpetua dalla professione medica e l’incarcerazione immediata. La difesa ha annunciato ricorso.

anestesista

Gli episodi contestati si concentrano in due cliniche private: la Clinique Saint-Vincent e la Polyclinique de Franche-Comté. In queste strutture, nell’arco di quasi dieci anni, si registrano arresti cardiaci anomali, spesso ravvicinati nel tempo e in pazienti con profili di rischio bassi, dai 4 agli 89 anni. Il caso che fa emergere il quadro complessivo è quello di Sandra Simard, che nel 2017 subisce un arresto cardiaco durante un intervento considerato minore. L’analisi di una sacca per infusione rivela livelli di potassio incompatibili con la pratica clinica ordinaria. Da quel momento prende avvio l’inchiesta. Secondo gli inquirenti, il denominatore comune degli eventi è la presenza, diretta o indiretta, di Péchier nei turni o negli ambienti operatori.

Fino a quel momento, Péchier era considerato un professionista competente e reattivo. Proprio questa reputazione, secondo l’accusa, gli avrebbe permesso di trovarsi spesso nella posizione di intervenire tempestivamente durante le emergenze che lui stesso avrebbe provocato. In diversi casi i pazienti sono stati salvati, in altri no. L’indagine, durata otto anni, ha incrociato cartelle cliniche, turni di servizio, tracciati dei monitor e testimonianze, individuando una sequenza di eventi che la giuria ha ritenuto non riconducibile al caso.

Le sostanze individuate sono tutte di uso ospedaliero: potassio, che in dosi elevate può causare aritmie fatali; anestetici locali come la mepivacaina, che in sovradosaggio provocano collasso cardiocircolatorio; adrenalina, se somministrata impropriamente, in grado di scatenare aritmie violente; eparina, anticoagulante che fuori protocollo può determinare emorragie gravi. Secondo gli investigatori, la “firma” non è solo chimica, ma anche comportamentale: eventi simili, in contesti analoghi, con un nome che ricorre costantemente. Per la corte, questo insieme di elementi è stato sufficiente a superare il ragionevole dubbio.

Il processo si è aperto l’8 settembre 2025 ed è durato 15 settimane. Più di 150 parti civili, decine di consulenti tecnici, migliaia di pagine di documentazione clinica. La giuria ha esaminato caso per caso, riconoscendo 30 avvelenamenti, di cui 18 non mortali ma con conseguenze spesso permanenti, e 12 decessi. La presidente Delphine Thibierge ha disposto l’incarcerazione immediata. L’accusa ha parlato di uno dei più gravi casi di uso criminale della medicina nella storia recente. La difesa, rappresentata dagli avvocati Randall Schwerdorffer e Ornella Spatafora, ha ribadito l’innocenza dell’imputato.

Dietro i numeri ci sono le persone. Il più giovane è Teddy Hoerter-Tarby, 4 anni, sopravvissuto a due arresti cardiaci durante una semplice adenotonsillectomia nel 2016. Altri pazienti hanno riportato danni neurologici permanenti, disabilità e traumi psicologici. I familiari hanno parlato di una fiducia spezzata, aggravata dal fatto che tutto sia avvenuto in luoghi deputati alla cura.

Durante il processo, Péchier ha sostenuto che un avvelenatore esiste, ma che non sarebbe lui. La difesa ha ipotizzato falle sistemiche e la possibile responsabilità di altri anestesisti, cercando di dimostrare che l’accusa abbia interpretato i dati in modo unidirezionale. La corte ha respinto queste tesi, ritenendo centrale il cosiddetto “denominatore comune”.

L’indagine nasce ufficialmente nel gennaio 2017, dopo il riscontro anomalo di potassio in una sacca per infusione. Da lì, gli investigatori della police judiciaire e gli ispettori sanitari ricostruiscono retrospettivamente gli eventi, incrociando date, sale operatorie, farmaci e presenze. Un lavoro definito dagli stessi inquirenti “a incastri”, con pochi reperti materiali ma una coerenza complessiva ritenuta decisiva.

Secondo l’accusa, le motivazioni sarebbero riconducibili a conflitti professionali, bisogno di controllo e ricerca di riconoscimento. La procura descrive Péchier come un medico tecnicamente preparato ma isolato, spesso in contrasto con colleghi e direzioni. Il meccanismo ipotizzato è sempre lo stesso: alterare la catena anestesiologica, provocare l’emergenza, intervenire per risolverla. In dodici casi, l’intervento non è bastato.

Provare un avvelenamento in ambito ospedaliero è particolarmente complesso. Molte sostanze hanno emivite brevi e possono confondersi con variazioni fisiologiche. In sala operatoria operano più professionisti e circolano numerosi farmaci. Distinguere tra errore, evento avverso e gesto intenzionale richiede una ricostruzione minuziosa. La giuria ha ritenuto che, in questo caso, l’ipotesi dell’avvelenamento premeditato fosse quella più coerente con i dati.

Un ruolo centrale lo hanno avuto tre episodi del 2009 alla Polyclinique de Franche-Comté: il 7 aprile, il 27 aprile e il 22 giugno. I pazienti Bénédicte Boussard, Michel Voniez e Nicole Deblock sopravvivono, ma gli anestesisti segnalano l’anomalia statistica. In quel periodo, sono gli unici arresti in anestesia registrati nella struttura. Anche in questi casi, emerge lo stesso nome.

Le testimonianze in aula hanno dato voce ai sopravvissuti e ai familiari delle vittime. Sandra Simard ha raccontato cinque giorni di coma e un lungo percorso di riabilitazione. Sono stati citati altri medici come possibili responsabili alternativi, tra cui Sylvain Serri, ma le verifiche su turni e presenze non hanno supportato queste ipotesi.

L’ergastolo inflitto a Péchier rappresenta anche un messaggio al sistema sanitario. Non basta valutare gli esiti clinici: è necessario controllare i processi, l’accesso ai farmaci, la tracciabilità delle procedure. In Francia esistono già protocolli per i farmaci ad alto rischio, ma questo caso evidenzia la necessità di rafforzarli.

La sentenza non chiude la vicenda. L’appello riaprirà il confronto giudiziario. Restano aperte le cause civili e il dibattito etico. Quando la medicina viene usata come strumento di danno, l’impatto va oltre i singoli casi e coinvolge l’intero rapporto di fiducia tra cittadini e sistema sanitario. Il caso di Besançon mostra quanto sia fondamentale saper leggere segnali deboli, intervenire tempestivamente e non considerare mai impossibile ciò che appare solo improbabile.

Fonti
Corte d’Assise del Doubs
Procura della Repubblica di Besançon
Atti processuali del procedimento Péchier
Dichiarazioni della difesa Schwerdorffer–Spatafora
Testimonianze delle parti civili
Rapporti della police judiciaire
Perizie tossicologiche e anestesiologiche depositate in aula

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