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18 Dicembre 2025 - 20:18
A distanza di pochi giorni dalla pubblicazione dell’articolo che raccontava il controllo avvenuto sotto i portici di via Torino a Chivasso, arriva la replica ufficiale dell’Oipa Italia, l’Organizzazione Internazionale Protezione Animali. Una comunicazione formale, inviata alla redazione e firmata dal vice coordinatore nazionale Alessandro Piacenza, che chiede una rettifica sulle qualifiche e sui poteri delle guardie eco-zoofile, precisando alcuni passaggi normativi ritenuti inesatti.
La lettera, datata 17 dicembre, prende le mosse da una premessa netta: l’Oipa dichiara di non voler entrare nel merito dell’episodio raccontato dal cittadino – né tantomeno del comportamento concreto tenuto dalle tre persone che lo avrebbero fermato – perché, si legge, non si tratterebbe di un servizio svolto dalle proprie guardie. Il focus viene spostato esclusivamente sul piano giuridico, sulle definizioni e sulle competenze attribuite alle guardie zoofile volontarie riconosciute.
Secondo quanto precisato dall’associazione, le guardie eco-zoofile Oipa sono Guardie Particolari Giurate in possesso di decreto prefettizio, nominate ai sensi del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e con qualifica di polizia giudiziaria in base alla legge 189 del 2004, che disciplina i reati di maltrattamento degli animali. Una qualifica che, sempre secondo l’Oipa, comporta anche l’attribuzione delle funzioni di pubblico ufficiale, se esercitate nei limiti delle competenze e dei compiti indicati nei decreti di nomina.
Nella comunicazione vengono richiamati atti ministeriali più recenti, in particolare una circolare del Ministero dell’Interno del 3 agosto 2022, nella quale si chiarisce che le guardie giurate zoofile possono accertare e contestare violazioni amministrative che ricadono nell’ambito della tutela degli animali d’affezione. Viene inoltre citata una relazione ministeriale depositata in sede giudiziaria, oltre a pronunce della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, che ribadirebbero il riconoscimento di tali funzioni nell’esercizio dell’attività di vigilanza.
Da questo punto di vista, l’Oipa contesta l’idea che le guardie zoofile possano essere considerate, in via generale, semplici incaricati di pubblico servizio, sostenendo invece che il combinato disposto delle norme attribuisca loro poteri più ampi, sempre circoscritti alla materia specifica della tutela animale. È su questo piano che viene richiesta la rettifica, per evitare, si legge, “spiacevoli incomprensioni” con i cittadini e per tutelare l’immagine di un servizio svolto su base volontaria.
La replica, tuttavia, lascia volutamente sullo sfondo il punto che aveva acceso la discussione pubblica: non tanto la legittimità astratta dei controlli, quanto le modalità con cui sarebbero stati condotti. Su questo aspetto, l’Oipa sceglie di non esprimersi, ribadendo di non conoscere i fatti specifici e di non commentare il comportamento delle persone coinvolte. Una scelta comprensibile sul piano formale, ma che non risolve il nodo centrale sollevato dal cittadino nella sua segnalazione al Comune: il rapporto tra poteri, trasparenza e rispetto nei controlli quotidiani sul territorio.
Nella parte finale della comunicazione, l’associazione si dice disponibile a un incontro chiarificatore, anche presso il Comune di Chivasso o in redazione, per illustrare ruoli e funzioni delle guardie giurate zoofile, precisando ancora una volta che l’eventuale confronto non riguarderebbe l’episodio concreto. Un’apertura al dialogo che si muove sul terreno delle norme, ma che lascia inevasa la domanda più semplice e forse più scomoda: come vengono percepiti questi controlli dai cittadini quando avvengono in strada, di sera, senza una spiegazione immediata e con toni che possono apparire autoritari?
Resta quindi una distinzione netta tra i piani. Da un lato, il quadro normativo richiamato dall’Oipa, che chiarisce come le guardie zoofile, se munite di decreto prefettizio e nell’esercizio delle loro funzioni, possano essere considerate pubblici ufficiali con compiti di polizia giudiziaria. Dall’altro, il vissuto raccontato da chi si è sentito fermato in modo brusco e poco trasparente durante una semplice passeggiata con il cane.
Due livelli che non si escludono, ma che continuano a correre paralleli. Perché anche il controllo più legittimo, se non accompagnato da chiarezza e misura, rischia di trasformarsi in un fattore di tensione anziché in uno strumento di tutela condivisa.

Nel dibattito che ciclicamente si riaccende intorno all’operato delle guardie zoofile, il punto di maggiore confusione riguarda quasi sempre una parola sola: pubblico ufficiale. Un termine giuridicamente preciso, ma spesso utilizzato in modo estensivo, se non improprio, nel linguaggio comune e talvolta anche nelle prassi operative sul territorio. Comprendere davvero cosa significhi, e soprattutto quando questa qualifica produca effetti concreti, è essenziale per distinguere un controllo legittimo da un intervento discutibile.
La normativa vigente, richiamata anche da recenti circolari ministeriali e da pronunce giurisprudenziali, riconosce che le guardie zoofile, se munite di decreto prefettizio e nominate Guardie Particolari Giurate, possono svolgere funzioni di polizia giudiziaria nell’ambito specifico della tutela degli animali. In questo perimetro, e solo in questo, esse assumono la qualifica di pubblici ufficiali. È un riconoscimento reale, ma funzionale, non personale né permanente.
Qui si innesta la prima distinzione fondamentale: la qualifica non accompagna la guardia zoofila in ogni momento della sua attività, né si estende automaticamente a qualsiasi interazione con i cittadini. Non si tratta di uno status “sempre acceso”, come quello di un agente di polizia in servizio, ma di una qualifica che si attiva solo in presenza di una funzione concreta da svolgere, legata a un illecito amministrativo o a un reato ben definito.
Il discrimine è rappresentato dall’illecito. Senza un illecito, o senza una ragionevole presunzione dello stesso, il potere non nasce. È una differenza sostanziale che il diritto amministrativo e penale conoscono bene, ma che nel dibattito pubblico tende a sfumare. La tutela degli animali, per quanto importante e condivisa, non attribuisce alle guardie zoofile un potere generale di vigilanza sulla popolazione, né un diritto di controllo indiscriminato.
Un cittadino che porta a spasso il proprio cane, in assenza di comportamenti anomali o di violazioni evidenti, non sta ponendo in essere alcun illecito. La semplice passeggiata, anche in centro città e in orario serale, non integra di per sé una fattispecie amministrativa o penale. È su questo punto che si misura la distanza tra ciò che è giuridicamente consentito e ciò che, talvolta, viene percepito come legittimo solo perché esercitato da chi indossa una divisa.
L’identificazione del cittadino rappresenta un esempio emblematico di questa distinzione. Le guardie zoofile possono chiedere i documenti solo se l’identificazione è necessaria per accertare o contestare una violazione rientrante nelle loro competenze. L’atto non è autonomo, ma strumentale. Serve a dare un nome e un volto a un comportamento già rilevante sul piano giuridico. Senza questa premessa, la richiesta perde il suo fondamento.

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