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Trump accusa la BBC di aver manipolato il 6 gennaio: informazione o montaggio politico da 10 miliardi di dollari?

Sotto accusa un documentario di BBC Panorama: frasi cucite insieme, scuse ufficiali e una causa negli Stati Uniti che riapre il confine tra inchiesta giornalistica, diffamazione e potere dei media alla vigilia delle elezioni

Trump accusa la BBC di aver manipolato il 6 gennaio: informazione o montaggio politico da 10 miliardi di dollari?

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In una sala d’attesa dell’aeroporto di Miami, uno schermo manda in loop un frammento che da mesi alimenta polemiche e carte bollate: “We fight like hell”. Subito dopo, nella stessa sequenza, compare “We’re going to walk down to the Capitol”. Sono due frasi pronunciate da Donald Trump il 6 gennaio 2021, ma secondo una denuncia depositata negli Stati Uniti non furono dette una di seguito all’altra. Quelle parole, sostiene l’atto, sarebbero state pronunciate a distanza di quasi un’ora e poi ricucite in un’unica sequenza nel documentario “Trump: A Second Chance?”, realizzato da BBC Panorama. Su questo punto si fonda una causa civile di 33 pagine presentata il 16 dicembre 2025 davanti alla corte federale del Southern District of Florida, con una richiesta di risarcimento complessiva da 10 miliardi di dollari. Cinque miliardi sono chiesti per diffamazione, altri cinque per presunte pratiche commerciali ingannevoli e sleali ai sensi della Florida Deceptive and Unfair Trade Practices Act (legge della Florida sulle pratiche commerciali ingannevoli e sleali). Per i legali dell’ex presidente non si tratta solo di una disputa editoriale, ma di un segnale diretto all’industria dei media su quanto può costare un montaggio ritenuto scorretto in piena campagna elettorale.

Secondo la denuncia, il documentario sarebbe andato in onda il 28 ottobre 2024, a una settimana dal voto presidenziale statunitense, e avrebbe accostato estratti non contigui del discorso del 6 gennaio in modo da suggerire una chiamata diretta all’assalto del Campidoglio degli Stati Uniti. L’atto accusa inoltre la produzione di aver omesso passaggi in cui Trump invitava a manifestare in modo pacifico e di aver creato un’impressione definita falsa, diffamatoria e ingannevole, con l’obiettivo di influenzare l’elettorato. Sempre secondo i legali dell’ex presidente, questo tipo di montaggio avrebbe violato la normativa della Florida sulle pratiche sleali perché applicata a un contenuto politico di grande rilevanza, aggravata dalla scelta di mandarlo in onda a ridosso delle elezioni. Il presunto danno, sostengono, non riguarderebbe solo l’immagine pubblica, ma anche la raccolta fondi, i rapporti istituzionali e l’attività di governo. La BBC, dal canto suo, respinge l’accusa di diffamazione e contesta la competenza dei tribunali statunitensi.

Il nodo centrale della causa riguarda ciò che effettivamente mostrava Panorama. Il montaggio contestato unirebbe tre segmenti provenienti da due momenti diversi del discorso del 6 gennaio 2021. Nella versione trasmessa, la sequenza farebbe apparire Trump come se avesse invitato i sostenitori a marciare verso il Campidoglio e subito dopo a “combattere come l’inferno”. Trascrizioni ufficiali e documenti pubblici indicano invece che il riferimento alla marcia e la frase “fight like hell” furono pronunciati a distanza di tempo e che, nel mezzo, l’allora presidente parlò anche di proteste pacifiche. Diverse ricostruzioni giornalistiche hanno evidenziato che il programma non avrebbe chiarito in modo sufficientemente trasparente la natura frammentata di quel collage di immagini e parole.

Di fronte alle critiche, la BBC ha riconosciuto un errore di giudizio nel montaggio e ha inviato una lettera di scuse alla Casa Bianca, firmata dal presidente Samir Shah. Nella stessa comunicazione l’emittente ha però precisato di non ritenere fondata un’azione per diffamazione. Il documentario è stato ritirato e non verrà riproposto sulle piattaforme del servizio pubblico britannico. Per Trump, tuttavia, le scuse non sono sufficienti e non compensano quello che viene descritto come un danno concreto e misurabile.

La vicenda ha avuto effetti anche all’interno della BBC. Nel novembre successivo alla messa in onda si sono dimessi il direttore generale Tim Davie e la responsabile dell’informazione Deborah Turness, con l’ammissione che lo scandalo stava erodendo la credibilità dell’emittente. Le scuse ufficiali hanno cercato di contenere una crisi più ampia, che ha investito il tema dell’editing politico e la gestione di altri contenuti sensibili. La linea ufficiale resta però invariata: errore di montaggio, sì; diffamazione, no.

Un punto giuridico decisivo riguarda il luogo in cui il documentario è stato trasmesso. La BBC sottolinea che “Trump: A Second Chance?” non è andato in onda negli Stati Uniti, ma solo nel Regno Unito, e che questo indebolirebbe il nesso tra la trasmissione e un eventuale danno subito sul territorio americano. Gli avvocati di Trump ribattono che la circolazione digitale di clip e riprese, attraverso media terzi e piattaforme internazionali come BritBox, avrebbe comunque prodotto un effetto negli Stati Uniti, vista la dimensione globale della reputazione di un presidente in carica. Secondo diversi esperti legali citati dalle agenzie di stampa, l’assenza di una messa in onda diretta negli USA potrebbe rafforzare la difesa, ma non esclude automaticamente la possibilità di un danno percepito. Sarà la corte federale di Miami a stabilire se esistono basi sufficienti per andare avanti.

Sul piano del diritto, la causa si scontra con uno standard molto elevato. Negli Stati Uniti un personaggio pubblico che denuncia per diffamazione deve dimostrare la cosiddetta actual malice, cioè la consapevolezza della falsità o una grave negligenza nella pubblicazione. È il principio affermato dalla storica sentenza New York Times v. Sullivan. I legali di Trump sostengono che il montaggio di Panorama non sia stato un semplice errore, ma una scelta artificiosa capace di produrre una conclusione falsa se confrontata con le trascrizioni integrali del discorso. La BBC replica che si è trattato di un taglio motivato da esigenze di durata e che non vi era alcuna intenzione di suggerire una chiamata diretta alla violenza. La distinzione tra errore editoriale e scelta consapevole sarà uno dei punti chiave del giudizio.

La scelta di portare il caso a Miami non è casuale. Oltre a essere un tribunale già familiare al team legale di Trump, consente di affiancare all’accusa di diffamazione anche quella basata sulla Florida Deceptive and Unfair Trade Practices Act. La tesi è che un documentario politico destinato al grande pubblico possa essere considerato un bene informativo offerto a un mercato di consumatori e che, se costruito in modo ingannevole, leda un interesse tutelato dalla legge. La BBC contesta questa interpretazione, sostenendo che una norma statale non possa essere applicata a un’emittente pubblica straniera e richiamando i principi di libertà editoriale.

Il contesto in cui nasce la causa è segnato da una lunga serie di scontri tra Trump e i grandi gruppi mediatici. Nell’estate precedente, Paramount, casa madre di CBS, ha chiuso una controversia con un accordo da 16 milioni di dollari legato a un’intervista del programma “60 Minutes” alla candidata Kamala Harris, impegnandosi anche a una maggiore trasparenza sulle trascrizioni future. A dicembre, ABC News ha raggiunto un’intesa stimata in 15 milioni di dollari per chiudere un’altra causa su affermazioni ritenute diffamatorie riguardo alle vicende giudiziarie di Trump. Accordi senza ammissioni di responsabilità, ma che nel campo dell’ex presidente rafforzano l’idea che molte aziende mediatiche preferiscano evitare una fase di discovery potenzialmente imbarazzante. La BBC, almeno per ora, afferma di voler andare avanti e di puntare a un’archiviazione.

Un argomento già evocato dalla difesa riguarda l’assenza di un danno concreto. Il documentario è stato trasmesso nel Regno Unito, non negli Stati Uniti, e una settimana dopo Trump ha comunque vinto le elezioni del 2024. I suoi legali rispondono che una vittoria alle urne non cancella una lesione reputazionale, soprattutto se comporta costi per contrastare una rappresentazione ritenuta falsa e incide sui rapporti istituzionali e internazionali. Spetterà al giudice valutare se il racconto di Panorama abbia superato la soglia dell’errore giornalistico trasformandosi in diffamazione.

Nelle comunicazioni ufficiali, la BBC ribadisce di aver riconosciuto che l’editing ha creato un’impressione di continuità che non esisteva, di essersi scusata e di aver ritirato il programma. Allo stesso tempo respinge ogni richiesta di risarcimento e sostiene che la versione integrale del discorso non dimostri una chiamata diretta alla violenza. Sullo sfondo resta il tema dei controlli interni e della responsabilità editoriale nei lavori affidati a produzioni esterne.

Al di là dell’esito giudiziario, il caso Trump contro BBC viene già descritto come un banco di prova per l’ecosistema dell’informazione. Interroga il confine tra sintesi giornalistica e manipolazione nei prodotti di inchiesta ad alta intensità politica, il dovere di chiarire al pubblico quando si utilizzano estratti e montaggi e la tendenza crescente a portare davanti ai tribunali statunitensi contenziosi che coinvolgono emittenti straniere. Non è un dettaglio secondario che nel Regno Unito i termini per avviare una causa di diffamazione siano generalmente più brevi, mentre un’azione negli Stati Uniti consente di aggirare quei limiti temporali, pur con standard probatori più severi.

Nei prossimi mesi sono attese le mosse procedurali decisive: la risposta formale della BBC con eventuali eccezioni preliminari su giurisdizione e competenza, possibili richieste di archiviazione e, se la causa supererà questa fase, l’avvio della discovery, che potrebbe portare in tribunale email, note di montaggio e comunicazioni interne tra produttori e dirigenti. Per l’emittente britannica sarebbe uno scrutinio senza precedenti sui meccanismi di verifica adottati nelle settimane che precedono un’elezione americana.

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Per chi segue l’informazione, la vicenda offre anche una lezione pratica. In un contesto fortemente polarizzato, nemmeno i formati più autorevoli sono immuni da scelte di montaggio che possono modificare la percezione dei fatti. Capire se ciò che si guarda è un estratto, un riassunto o una ricostruzione fedele resta un esercizio necessario. Nelle aule di Miami questa distinzione potrebbe avere un costo molto alto. Fuori da lì, dovrebbe diventare un’abitudine critica quotidiana.

Fonti utilizzate: atti depositati presso la Corte federale del Southern District of Florida; BBC; BBC Panorama; lettera di scuse di Samir Shah; agenzie di stampa internazionali; New York Times; Washington Post; Paramount Global; CBS News; ABC News; trascrizioni ufficiali del discorso del 6 gennaio 2021.

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