Cerca

Attualità

Il Consiglio comunale farsa di Romano Canavese

Convocato dopo mesi di silenzio, serve solo a ratificare ritardi, rinviare la trasparenza e mettere il bavaglio alle domande scomode

Il Consiglio comunale farsa di Romano Canavese

Oscarino Ferrero, sindaco di Romano

Romano Canavese arriva al Consiglio comunale di questa sera come ci si arriva a un appuntamento inevitabile: rimandato più volte, gestito male e affrontato senza entusiasmo. Dopo quattro mesi di ibernazione istituzionale, l’Amministrazione guidata da Oscarino Ferrero riscopre improvvisamente l’esistenza dell’aula consiliare. Non per aprire un confronto, non per fare chiarezza sulla crisi politica che da mesi divora la maggioranza, ma per certificare – nero su bianco – ciò che non si è riusciti a fare per tempo.

Basta leggere con attenzione l’Ordine del Giorno per capire il contesto in cui si colloca questa seduta. Un elenco lungo, tecnico, blindato. Un Consiglio comunale costruito non per decidere, ma per evitare accuratamente ogni elemento di disturbo. E soprattutto per evitare domande.

odg

sf

Il primo segnale arriva da qualche settimana fa. Il 28 novembre un Consiglio comunale viene regolarmente convocato. All’ordine del giorno compare anche una variazione di bilancio, un atto tutt’altro che marginale. Poi, nel giro di poche ore, tutto viene annullato. Nessuna spiegazione pubblica convincente. Nessuna assunzione di responsabilità. Il Consiglio sparisce, congelato, come se nulla fosse mai accaduto. Evidentemente quella variazione non è pronta, o non ci sono i numeri, o più semplicemente non si è stati in grado di governare i tempi.

Ed eccola riapparire oggi, puntuale, ma sotto un’altra veste. Non più come deliberazione ordinaria, bensì come ratifica di una decisione già assunta dalla Giunta.

“Tradotto dal burocratese alla lingua comune – spiegano dall’opposizione Andrea Peruzzi, Emanuela Rosa Casotti e Stefano Avanzi – il Consiglio non decide più se fare o meno la variazione di bilancio. Si limita a ratificare qualcosa che è già stato fatto perché non si è riusciti ad approvarlo nei tempi previsti dalla legge. Formalmente ineccepibile. Politicamente devastante. Perché certifica, una volta di più, che l’aula consiliare è diventata un passaggio obbligato, non un luogo di decisione”.

Il resto dell’Ordine del Giorno segue la stessa traiettoria. Programmi, regolamenti, piani, bilanci, DUP, alienazioni immobiliari. Tutto scorre ordinato, asettico, impermeabile al confronto. E soprattutto spariscono le otto interpellanze della minoranza, accumulate nei mesi in cui il Consiglio non veniva convocato. Nessuna domanda. Nessuna richiesta di chiarimento. Nessun fastidio. Il Consiglio si riunisce, sì, ma a condizione che nessuno chieda conto di nulla.

Le mozioni sono ammesse, certo. Ma confinate in fondo alla lista, quando l’attenzione è già evaporata e l’aula è stanca. Tra queste spicca la mozione n. 17 della maggioranza, quella sulla trasmissione delle sedute del Consiglio comunale. Una mozione che ha il sapore amaro della presa d’atto. Mesi fa il Consiglio aveva già votato a favore della diretta streaming. Oggi la maggioranza spiega, con grande tatto istituzionale, perché quella decisione non verrà applicata.

“La diretta costa troppo”, ci dicono.

“Servono strumenti, operatori, competenze professionali che non possono essere garantite su base volontaria. E soprattutto – dettaglio rivelatore – i fondi necessari dovrebbero essere sottratti al capitolo di bilancio destinato alle associazioni locali”.

A questo punto il ragionamento si chiude da solo: poiché le risorse sono limitate e poiché esistono “priorità di più immediato impatto per i cittadini”, la trasparenza può aspettare. Non viene bocciata. Non viene cancellata. Viene rinviata a data indefinita, sostituita da una promessa generica di “potenziare la comunicazione con strumenti già in uso”.

“Quali, come, quando: non pervenuto”, stigmatizzano Andrea Peruzzi, Emanuela Rosa Casotti e Stefano Avanzidella lista Il Paese da Vivere.

Infine, quasi come un fastidioso corollario, arriva la mozione sul bar comunale “Drop In”. Un tema concreto, che riguarda la gestione di un bene pubblico e che proprio per questo viene relegato in fondo all’Ordine del Giorno, quando il Consiglio ha già consumato energie e attenzione. Anche qui, più che decidere, si rinvia. Più che affrontare, si prende tempo.

Il quadro complessivo è fin troppo chiaro. Un Consiglio annullato perché non pronto. Una variazione di bilancio trasformata in ratifica perché non approvata nei tempi dovuti. Un Ordine del Giorno sterilizzato da ogni domanda scomoda. Mozioni utilizzate come cuscinetti politici, buone per spiegare perché non si farà ciò che si era già deciso di fare.

Il tutto mentre Romano Canavese è attraversata da una crisi politica senza precedenti, raccontata nei giorni scorsi dalle dimissioni a catena, dall’uscita di scena della vicesindaca Paola Bottalico, da una maggioranza ridotta all’osso, da equilibri numerici precari e da una Giunta che sopravvive più per inerzia che per visione. Un’Amministrazione che governa per ratifiche, rinvii e silenzi, mentre la politica vera si sposta altrove: nei bar, nelle chat, nei corridoi del municipio.

Insomma, a Romano Canavese il Consiglio comunale non decide. Certifica. Certifica ciò che non si è riusciti a fare in tempo. Certifica una crisi che non viene mai affrontata apertamente. Certifica un’idea di governo in cui il confronto è un rischio da evitare e la trasparenza un lusso rinviabile. E questa sera, più che un Consiglio, va in scena l’ennesima fotografia di un’Amministrazione che procede a vista, cercando di arrivare a fine mandato senza mai dover spiegare davvero come e perché.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori