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15 Dicembre 2025 - 15:36
Lo Russo ricandidato a Torino, ma resta il nodo: Pd compatto a Roma, opposizioni all’attacco e M5s ancora lontano
Roma ricompatta, Torino trattiene il fiato. Dall’auditorium Antonianum, dove si è riunita l’assemblea nazionale del Partito democratico, Stefano Lo Russo torna con una certezza politica in più: la strada verso la ricandidatura a sindaco nel 2027 è aperta e sostanzialmente spianata. Un passaggio tutt’altro che scontato fino a poche settimane fa, che arriva mentre la primavera elettorale del 2027 — quando Comunali e Politiche si sovrapporranno — si profila come uno snodo decisivo non solo per Torino, ma per l’intero centrosinistra nazionale.
L’assemblea dem ha certificato una tregua interna che pesa. La relazione della segretaria Elly Schlein è passata quasi all’unanimità, con la sola astensione di Piero Fassino, e soprattutto ha sancito l’ingresso dell’area Bonaccini nella maggioranza di segreteria. Un segnale chiaro: il Pd si prepara allo stress test del 2027 provando a presentarsi unito, consapevole che una nuova sconfitta nei grandi centri urbani sarebbe politicamente devastante.
In questo quadro, Lo Russo — politicamente vicino proprio all’area bonacciniana — ha giocato una partita di equilibrio. Nei mesi scorsi ha ricucito i rapporti con la segreteria nazionale, incassando un riconoscimento pubblico non banale. Dal palco, Schlein lo ha ringraziato per il lavoro di coordinamento dei sindaci dem e ha ricordato l’assemblea dei primi cittadini organizzata a Bologna: «Insieme a Lo Russo abbiamo promosso la più grande iniziativa del partito con gli amministratori locali». Parole che, lette insieme all’assetto romano, blindano di fatto la sua candidatura a Palazzo Civico.

Stefano Lo Russo
Ma se a Roma il Pd ritrova compattezza, Torino resta una partita tutta aperta. Perché la ricandidatura del sindaco non coincide automaticamente con una coalizione solida. E qui il nodo è duplice.
Da un lato c’è il Movimento 5 Stelle, che a Torino resta all’opposizione della giunta Lo Russo. Nessun accordo strutturale, nessuna convergenza programmatica esplicita. Anzi, nelle ultime settimane le distanze si sono allargate, anche per effetto delle tensioni nazionali. Le parole di Chiara Appendino, ex sindaca e oggi deputata M5s, rimbalzano da Roma a Torino come un avvertimento politico: «Siamo progressisti indipendenti. Lavoriamo per un’alternativa a Meloni, ma solo se ci sono le condizioni. Non svendiamo la nostra identità e non accettiamo ruoli subalterni». Una linea che rende tutt’altro che scontato il cosiddetto “campo largo” sotto la Mole.
Dall’altro lato c’è un’opposizione di centrodestra e civica che alza il tiro e prova a saldare il tema politico a quello amministrativo. Il confronto sul bilancio di previsione del Comune ha offerto in questi giorni una fotografia nitida del clima. In Consiglio comunale, Forza Italia e Torino Bellissima hanno attaccato frontalmente l’impianto della manovra, accusando la giunta di raccontare una città che non esiste.
La capogruppo azzurra Federica Scanderebech ha parlato senza mezzi termini di «narrazione patinata», distante dai bisogni reali dei torinesi. Nel suo intervento ha messo in fila cantieri infiniti, traffico paralizzato, servizi sotto pressione, definendo il Patto per Torino una svolta mancata e la mobilità «il simbolo del fallimento di una visione». Sul fronte sicurezza, ha ricordato come Torino venga ormai citata a livello nazionale per degrado e criminalità diffusa, chiamando in causa anche il caso Askatasuna, indicato come esempio di danno erariale tollerato dall’amministrazione.
Sulla stessa linea Pierlucio Firrao, vice capogruppo di Torino Bellissima, che ha ironizzato sulla “Torino perfetta” descritta nei documenti di bilancio. «Strisce pedonali sbiadite, autobus che non arrivano, scale mobili della metro fuori servizio, una città sporca e sanzioni percepite come strumenti per fare cassa», ha elencato. E sul tema sicurezza ha colpito nel perimetro comunale: mentre si attribuisce al Governo la carenza di agenti di Polizia di Stato, durante il mandato Lo Russo sarebbero stati tagliati 174 agenti della Polizia municipale.
È dentro questo incastro che si gioca il futuro politico del sindaco. Roma offre copertura e legittimazione, ma Torino chiede risposte quotidiane, verificabili, che non restino sul piano della comunicazione. Il 2027 non premierà solo l’unità dei partiti, ma la capacità di reggere l’urto di una campagna elettorale doppia — amministrativa e politica — in una città dove i nodi di mobilità, sicurezza, bilancio e servizi sono già oggi terreno di scontro.
Per Lo Russo, l’investitura dem è una condizione necessaria, ma non sufficiente. La vera sfida sarà tenere insieme una coalizione che ancora non c’è, mentre l’opposizione prova a smontare il racconto della città che funziona. Torino, più che Roma, sarà il banco di prova definitivo del centrosinistra.
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