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15 Dicembre 2025 - 10:55
La sanità promette figli ma non gameti: il Piemonte costretto a cercarli all’estero
La procreazione medicalmente assistita eterologa è un diritto sulla carta, ma per molte coppie piemontesi resta un percorso a ostacoli. È inserita nei Livelli essenziali di assistenza, quindi dovrebbe essere garantita dal servizio sanitario pubblico, eppure l’accesso è di fatto bloccato da un paradosso strutturale: in Italia non esiste una banca pubblica di gameti, né maschili né femminili. Senza una fonte nazionale a cui attingere, gli ospedali non possono procedere. E così il diritto si ferma, mentre l’orologio biologico continua a correre.
Per superare questa impasse, in Piemonte prende forma un’ipotesi che guarda oltre i confini regionali. L’idea è quella di una alleanza con Liguria e Lazio per acquistare gameti all’estero attraverso una gara congiunta, condividendo costi e procedure. Una soluzione pragmatica, che nasce dalla necessità più che da una visione di lungo periodo, ma che potrebbe sbloccare una situazione ormai cronica.
Il nodo è economico e organizzativo. L’unica strada oggi praticabile è l’acquisto dei gameti da banche straniere, con costi significativi. In media, un kit da sei ovociti supera i 3.500 euro, una cifra che pesa sia sulle casse regionali sia sulle coppie, spesso costrette a spostarsi lontano da casa per completare il percorso. Alcune Regioni, come la Toscana, hanno scelto da tempo di attrezzarsi partecipando a bandi di acquisto, garantendo così continuità ai centri pubblici. Altre, come il Piemonte, sono rimaste indietro, strette tra obblighi normativi e assenza di strumenti operativi.

Da qui la proposta di una gara condivisa tra più Regioni, che permetta di aumentare i volumi, razionalizzare la spesa e rendere più stabile l’approvvigionamento. Un’idea accolta con favore dall’assessore regionale alla Sanità, Federico Riboldi, e sostenuta da una parte del mondo scientifico. A rilanciarla è stata Paola Anserini, presidente della Società italiana di fertilità e sterilità e responsabile del centro di fisiopatologia della riproduzione umana dell’ospedale San Martino di Genova, che ha parlato apertamente di una federazione tra Regioni come unica via realistica nel breve periodo.
Il quadro che emerge è quello di un sistema sanitario che riconosce un diritto ma non ha costruito l’infrastruttura per renderlo esigibile. La fecondazione eterologa è una pratica consolidata in molti Paesi europei, sostenuta da reti pubbliche di donazione e da campagne informative strutturate. In Italia, invece, il tema della donazione di gameti resta marginale, poco promosso e spesso circondato da retaggi culturali e timori etici che finiscono per tradursi in immobilismo.
In questo contesto si inserisce anche un’altra proposta, destinata a far discutere: l’utilizzo del social freezing. Si tratta della pratica che consente alle donne in età fertile di congelare i propri ovociti per un utilizzo futuro, spesso per motivi personali o lavorativi. L’ipotesi avanzata è quella di permettere, su base volontaria, che una parte di questi ovociti venga donata e utilizzata per la fecondazione eterologa. Un modello che esiste già in altri Paesi e che potrebbe ampliare il bacino dei donatori, riducendo la dipendenza dall’estero.
È una strada delicata, che tocca temi sensibili come l’autodeterminazione, la gratuità della donazione e le garanzie etiche, ma che rimette al centro una domanda inevitabile: perché un diritto riconosciuto a livello nazionale debba dipendere da bandi esteri e da equilibri regionali. La mancanza di una banca pubblica nazionale di gameti non è una lacuna tecnica, ma una scelta politica mai affrontata fino in fondo.
Nel frattempo, le conseguenze ricadono sulle coppie. Tempi più lunghi, percorsi frammentati, disuguaglianze territoriali evidenti. Chi vive in una Regione più organizzata ha più possibilità, chi risiede altrove deve spostarsi o rinunciare. Un sistema che rischia di trasformare la Pma eterologa da diritto universale a opportunità selettiva.
L’alleanza tra Piemonte, Liguria e Lazio rappresenta quindi un tentativo di risposta immediata a un’emergenza strutturale. Non risolve il problema alla radice, ma può attenuarne gli effetti, restituendo almeno una prospettiva concreta a chi oggi si trova in una terra di mezzo tra normativa e realtà. La vera partita, però, resta aperta: costruire un modello pubblico, stabile e nazionale per la donazione dei gameti, capace di rendere effettivo ciò che oggi esiste solo sulla carta.
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