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Scandalo della Banca dello sperma: il donatore “Kjeld” con mutazione TP53 e quasi 200 bambini a rischio tumore in 14 Paesi

Un’unica identità anonima, Kjeld, sperma esportato in mezza Europa, almeno 197 nati e una rara mutazione del gene TP53 che espone alcuni bambini a un rischio elevato di tumori: l’inchiesta delle emittenti pubbliche europee apre il dossier sui buchi nei controlli genetici, sui limiti per donatore e sulla tracciabilità delle banche del seme

Scandalo della Banca dello sperma: il donatore “Kjeld” con mutazione TP53 e quasi 200 bambini a rischio tumore in 14 Paesi

Scandalo della Banca dello sperma: il donatore “Kjeld” con mutazione TP53 e quasi 200 bambini a rischio tumore in 14 Paesi

Una stanza d’ospedale, un braccialetto di plastica troppo largo per un polso di pochi mesi, una biopsia programmata prima ancora di pronunciare la parola “mamma”. È lo scenario incontrato da diversi genitori europei quando i medici hanno pronunciato tre parole complesse, difficili da accettare: mutazione del gene TP53. Il filo che lega queste famiglie parte da Copenaghen, attraversa 67 cliniche in 14 Paesi e porta a un nome in codice: Kjeld, pseudonimo di un donatore di sperma della European Sperm Bank. Almeno 197 bambini sono nati grazie alle sue donazioni; una parte ha ereditato una variante genetica associata a un rischio molto elevato di sviluppare tumori, anche in età infantile. La banca del seme era stata avvisata già nell’aprile 2020 di un primo caso oncologico, ma un test eseguito su un campione non individuò mutazioni. Le vendite ripresero, per fermarsi definitivamente solo nell’ottobre 2023, dopo nuove segnalazioni. È la sequenza dei fatti, ma non basta: ciò che emerge indica un cortocircuito regolatorio che supera i confini della singola clinica.

L’inchiesta, condotta da 14 emittenti pubbliche europee coordinate nell’ambito dell’European Broadcasting Union (EBU), tra cui BBC e l’emittente danese DR, ha ricostruito il percorso del seme di un unico donatore, poi risultato portatore di una rara mutazione del gene TP53, commercializzato per oltre dieci anni dalla European Sperm Bank (ESB). Documenti delle autorità sanitarie, interviste ed esposti confermano la distribuzione su larga scala. L’ESB sostiene che la variante fosse “rara e precedentemente non descritta”, che il donatore apparisse sano e che la mutazione fosse presente solo in una parte dei suoi spermatozoi, un profilo compatibile con il mosaicismo gonadico. La banca afferma inoltre di aver sospeso le vendite nel 2020 per eseguire test che non trovarono anomalie e di aver fermato tutto definitivamente tre anni dopo, quando nuovi riscontri hanno indicato la presenza di una mutazione trasmissibile.

sperma

I dati ottenuti da AFP tramite le autorità danesi indicano 99 bambini nati in Danimarca attraverso trattamenti che utilizzavano il seme del donatore, metà da donne danesi e metà da donne residenti all’estero. Complessivamente, tra il 2006 e il 2022, lo sperma è stato spedito a 67 cliniche in 14 Paesi. L’indagine giornalistica stima in almeno 197 i bambini nati in Europa riconducibili al donatore e riporta che tra i 67 minori testati in otto Paesi, 23 presentano la mutazione e almeno 10 hanno ricevuto diagnosi oncologiche documentate, tra cui leucemie e linfomi. Sono numeri in aggiornamento, perché le verifiche sono ancora in corso.

Il gene TP53 svolge un ruolo essenziale nel controllo delle cellule: produce la proteina p53, che interviene nella riparazione del DNA e nell’eliminazione delle cellule danneggiate. Quando mutato, determina la sindrome di Li-Fraumeni, una predisposizione ereditaria a diversi tumori, spesso con insorgenza precoce. Le stime disponibili indicano un rischio molto elevato di sviluppare una neoplasia nel corso della vita, con possibilità di comparsa anche prima dei 40 anni. Tra i tumori più frequenti figurano sarcomi, tumori del sistema nervoso centrale, carcinoma mammario in età giovanile, leucemie e carcinomi adrenocorticali pediatrici. Le persone affette possono sviluppare più tumori nel corso della vita.

Nel caso di Kjeld, la banca ha parlato di una mutazione rilevata in una porzione degli spermatozoi, assente nel sangue e in altri tessuti del donatore. È il tratto tipico del mosaicismo gonadico, condizione che rende il soggetto clinicamente sano e i test standard su sangue spesso non risolutivi. Il mosaicismo è difficile da identificare prima del concepimento perché confinato nelle cellule germinali. Quando la mutazione viene ereditata, il bambino la porta invece in tutte le cellule, con il rischio elevato associato alla sindrome di Li-Fraumeni. Per i minori coinvolti le linee guida internazionali raccomandano percorsi complessi di sorveglianza, con controlli regolari e imaging a basso impatto, in centri specializzati.

La cronologia degli eventi fornisce un quadro che solleva interrogativi. Nell’aprile 2020 la European Sperm Bank è informata che un bambino nato grazie al seme del donatore ha sviluppato un tumore ed è risultato positivo alla mutazione. La banca sospende l’utilizzo del donatore e analizza un campione, senza rilevare la variante. La commercializzazione riprende. Nel 2023 emergono nuove segnalazioni, vengono esaminati più campioni e questa volta la mutazione viene identificata nella linea germinale. L’ESB blocca definitivamente l’uso del donatore nell’ottobre dello stesso anno. Il 10 dicembre 2025 l’indagine delle emittenti europee rende pubblica la dimensione del caso.

Le informazioni raccolte mostrano una forte concentrazione di utilizzo in Danimarca e una presenza significativa in Belgio, dove le autorità sanitarie hanno segnalato 52 bambini nati da trattamenti con il seme del donatore tra il 2008 e il 2017, superando il limite nazionale di sei famiglie per donatore. Le cliniche fiamminghe hanno sospeso la collaborazione con la European Sperm Bank per i nuovi pazienti. Altre ricostruzioni giornalistiche hanno individuato casi anche in Grecia e in vari Paesi dell’Unione Europea. Il quadro conferma la natura transfrontaliera del problema.

La domanda centrale è perché i controlli non abbiano intercettato la mutazione. I protocolli di screening prevedono anamnesi familiari, test infettivologici e pannelli genetici per individuare mutazioni relativamente comuni. Una variante rara, presente solo in alcuni spermatozoi, può non emergere attraverso questi esami. Si tratta di un limite tecnico, riconosciuto dalla stessa comunità scientifica. La letteratura riporta altri casi in cui mutazioni in mosaicismo gonadicosono state individuate solo dopo la nascita di più figli affetti, indicando che i sistemi di controllo riducono il rischio senza eliminarlo completamente.

Il quadro regolatorio europeo mostra un ulteriore limite: l’assenza di norme internazionali vincolanti sui limiti per donatore. Paesi come il Regno Unito, tramite la Human Fertilisation and Embryology Authority (HFEA), fissano un massimo di dieci famiglie per donatore e prevedono una tracciabilità rigorosa, con l’abolizione dell’anonimato al compimento dei 18 anni da parte del nato. Il commercio transfrontaliero del seme, però, può superare nella pratica i limiti nazionali. La European Sperm Bank dichiara un tetto volontario di 75 famiglie nel mondo, con opzioni più basse su richiesta, ma ammette che i limiti possono essere superati in caso di ritardi o mancate comunicazioni delle gravidanze. Nel giugno 2025 un gruppo di ministri della Salute europei, tra cui quelli di Svezia e Belgio, ha sottoposto una proposta per l’introduzione di limiti internazionali alle donazioni di sperma e ovociti, con l’obiettivo di rendere più efficace la tracciabilità. È un segnale politico ancora lontano da una norma attuativa.

I numeri confermano la complessità dell’indagine. I 197 bambini stimati dalle emittenti pubbliche, i 23 minori positivi alla mutazione, i 10 casi oncologici documentati, i 99 nati in Danimarca e i 52 nati in Belgio rappresentano dati non perfettamente sovrapponibili perché raccolti da fonti diverse e in periodi differenti. La tracciabilità transfrontaliera resta frammentata, e la stessa ESB riconosce che il calcolo dei “pregnancy slot” dipende dalla collaborazione delle cliniche e dai tempi di segnalazione.

Il mosaicismo gonadico è il punto tecnico che accomuna i casi discussi in letteratura. È una condizione in cui la mutazione è presente solo nelle cellule germinali, rendendo i test su sangue non utili per la diagnosi. L’eredità della mutazione, quando avviene, è invece completa nel bambino. Esistono casi documentati di donatori con mosaicismo per altre patologie, come la neurofibromatosi di tipo 1 (NF1), identificati solo dopo più segnalazioni. È una conferma che i sistemi attuali hanno punti ciechi e che servono procedure più robuste di allerta e comunicazione.

Restano aperte varie questioni regolatorie: fissare limiti uniformi a livello europeo, definire registri transfrontalieri con identificatori univoci, rivedere le norme sull’anonimato del donatore e regolamentare con maggiore coerenza l’export di materiale genetico. Sul piano tecnico, test genetici più avanzati potrebbero individuare parte dei mosaicismi, ma aumenterebbero costi, tempi e rischi di identificare varianti di significato incerto. Gli esperti suggeriscono un equilibrio tra sostenibilità, tutela della salute pubblica e garanzie per le famiglie coinvolte.

Per i genitori che scoprono di avere utilizzato il seme del donatore, il primo passo è verificare con la propria clinica o con la banca del seme il codice del donatore impiegato, avviare un percorso di consulenza genetica e valutare con gli specialisti un programma di sorveglianza coerente con le raccomandazioni internazionali per la gestione delle mutazioni del gene TP53. È fondamentale conservare la documentazione sanitaria e contrattuale, comprese le comunicazioni della European Sperm Bank e delle autorità nazionali.

Le responsabilità chiamano in causa più attori. Le banche del seme devono garantire tracciabilità accurata, audit indipendenti e comunicazioni rapide in caso di allerta. Le cliniche devono verificare l’utilizzo cumulativo dei codici dei donatori. Le autorità sanitarie devono promuovere registri interoperabili e sistemi di sostegno alle famiglie coinvolte. I donatori devono aggiornare nel tempo la propria storia familiare e sanitaria, un obbligo che in alcune giurisdizioni è anche normativo.

Gli specialisti ricordano che il caso è eccezionale: una mutazione rarissima, un mosaico difficile da individuare e un utilizzo molto ampio dello stesso donatore. La maggior parte delle donazioni avviene in sicurezza. Ma la rarità non esclude l’esigenza di migliorare sistemi e procedure. L’assenza di standard comuni, la frammentazione dei limiti nazionali e la scarsa interoperabilità dei registri mostrano quanto sia urgente un coordinamento europeo.

Il nome Kjeld resterà nei documenti ufficiali. Per le famiglie coinvolte è diventato un insieme di scadenze mediche, nuovi termini da imparare e consulti specialistici da affrontare. La scienza non offre garanzie assolute, ma questa vicenda mostra che la politica può intervenire per ridurre i rischi e migliorare i meccanismi di controllo. È un caso che ha attraversato frontiere, generato domande e rivelato quanto sia fragile l’equilibrio tra desiderio di genitorialità, standard di sicurezza e responsabilità delle istituzioni.


Fonti utilizzate:
BBC, DR, European Broadcasting Union (EBU), AFP, Danish Patient Safety Authority, European Sperm Bank, Human Fertilisation and Embryology Authority (HFEA).

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