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De Benedetti accusa Elkann: «Tutto quello che ha toccato lo ha rotto»

L’atto d’accusa di Carlo De Benedetti contro il nipote dell’Avvocato mentre giornalisti, sindacati e istituzioni temono lo smantellamento di La Repubblica e La Stampa

De Benedetti accusa Elkann: «Tutto quello che ha toccato lo ha rotto»

De Benedetti accusa Elkann: «Tutto quello che ha toccato lo ha rotto»

C’è una frase che pesa come un macigno sull’intera vicenda Gedi ed è quella pronunciata da Carlo De Benedetti con la lucidità amara di chi osserva le macerie e sa di averne intuito l’arrivo.

«Bastava tenerlo in piedi quel gruppo. Senza toccarlo. Senza mai chiedere niente». In quelle parole è racchiusa tutta la parabola recente di un colosso editoriale che è stato il più grande gruppo della sinistra europea e che oggi si ritrova frammentato, indebolito, rimesso sul mercato a pezzi.

L’ex editore del gruppo l’Espresso, in un’intervista al Foglio, torna sulla vendita dei giornali da parte dei figli Marco e Rodolfo De Benedetti a John Elkann, attraverso Exor, indicando in quel passaggio l’origine di un declino che non era inevitabile. Un gruppo che, secondo l’Ingegnere, sarebbe bastato lasciare in vita così com’era. «Tutto quello che ha toccato lo ha rotto», afferma senza attenuanti parlando di Elkann, e il giudizio non riguarda solo una figura, ma un modello di gestione che ha inciso profondamente su La Repubblica, La Stampa, sulle radio e sull’intero perimetro editoriale.

John elkann

John Elkann

De Benedetti spinge lo sguardo in avanti e azzarda una previsione che suona come una condanna: «Vedrete che se ne andrà anche lui. Ha problemi con la giustizia. Metterà un oceano tra sé e i pm italiani». E aggiunge, con un sarcasmo che non risparmia nulla: «È già ai servizi sociali. Fa il tutor per ragazzi problematici. Ma sarebbe lui ad aver bisogno di un tutor».

Il riferimento è alla vicenda dell’eredità di Donna Marella, ma il bersaglio resta una gestione ritenuta fallimentare.

Il ritratto che emerge è di un uomo abile nella finanza, ma inadatto all’industria editoriale.

«È bravo negli investimenti finanziari. È bravo quando non deve gestire nulla. Fa soldi vendendo. E investendo nel web», osserva De Benedetti, prima di affondare: «Una volta fatto l’investimento, John non sa far fare fortuna alle aziende».

L’esempio è emblematico: «A un certo punto aveva messo la stessa persona a occuparsi sia della Juventus sia di Repubblica. Uno che non capiva nulla, né di pallone né di carta».

Un dettaglio che per l’Ingegnere spiega molto più di tante analisi. «La fortuna del Corriere della Sera è che a Elkann fallì la scalata. Oggi lì c’è Urbano Cairo, che è bravissimo. Quello che è successo a Repubblica sarebbe accaduto anche al Corriere».

Inevitabile il confronto con Gianni Agnelli. «L’Avvocato era amato, Elkann no. Ed è il suo guaio». Per De Benedetti l’amore e l’ammirazione non sono elementi accessori, ma «una parte dell’ingegneria che regge il potere».

Ricorda la notte prima dei funerali dell’Avvocato, quando «quattrocentomila torinesi salirono sul tetto del Lingotto per salutarlo. Metà della città». Un capitale simbolico che, a suo dire, Elkann non ha mai avuto né cercato. «Oggi, se cammina per le strade di Torino, non lo saluta più nessuno». Da qui la previsione finale: «Elkann se ne andrà a New York, aspettate e vedrete».

Mentre queste parole alimentano il dibattito pubblico, la cronaca industriale si impone con forza. La cessione del gruppo Gedi alla società greca Antenna ha acceso l’allarme sindacale e istituzionale. Cisl Torino e Piemonte, per voce dei segretari Giuseppe Filippone e Luca Caretti, esprime «profonda preoccupazione» per un’operazione che rischia di compromettere «i livelli occupazionali e la qualità dell’informazione». La Repubblica e La Stampa vengono definite «presidi democratici fondamentali», realtà in cui operano centinaia di giornaliste, giornalisti e professionisti che «non possono essere dispersi».

Il passaggio più netto riguarda La Stampa, quotidiano con oltre 150 anni di storia, che «non può essere considerato un di troppo». Un patrimonio culturale e giornalistico che, insieme a La Repubblica e alla Sentinella del Canavese, appartiene al Piemonte e all’Italia intera.

Alla mobilitazione dei giornalisti di Repubblica si unisce la solidarietà del Cdr del Tg3, che parla apertamente di difesa della linea editoriale, dell’identità e dei posti di lavoro, ricordando che queste testate rappresentano un presidio di democrazia da preservare.

Sul fronte istituzionale, il sottosegretario all’Editoria Alberto Barachini chiede garanzie precise: tutela dell’occupazione, indipendenza editoriale delle testate storiche, trasparenza in tutte le fasi della trattativa e chiarimenti su eventuali partecipazioni extraeuropee.

Dal Piemonte arriva una presa di posizione netta. Il presidente della Regione Alberto Cirio ribadisce che «La Stampa è il Piemonte, è Torino, è un patrimonio da salvaguardare» e assicura che le istituzioni «non staranno a guardare». Sulla stessa linea il sindaco di Torino Stefano Lo Russo, che parla di un «patrimonio nazionale di qualità» e di competenze professionali che «non possiamo permetterci di perdere».

La preoccupazione travalica i confini regionali e arriva fino ad Aosta, dove il sindaco Raffaele Rocco e la vicesindaca Valeria Fadda ricordano che «l’informazione è presidio di libertà e di democrazia, pungolo per chi amministra la cosa pubblica».

In questo scenario, le parole di Carlo De Benedetti assumono il peso di un atto d’accusa e insieme di un epitaffio anticipato. Non solo un regolamento di conti personale, ma il racconto di un declino annunciato, di un gruppo editoriale che avrebbe potuto restare in piedi semplicemente lasciandolo vivere. Insomma, mentre la politica promette attenzione e i sindacati alzano la voce, resta una domanda che incombe su tutto: stiamo assistendo all’ennesima operazione finanziaria o all’ultimo capitolo di una storia che ha segnato l’informazione italiana?

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