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15 Ottobre 2025 - 16:17
Mauro Durbano e Giorgia Meloni
Dicono che Giorgia Meloni non ne sappia nulla. E forse è vero. Forse nessuno le ha ancora spiegato che nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, il più antico d’Italia, sta per nascere un cubo di cemento travestito da “palazzetto polivalente”.
Siamo a Ceresole Reale, borgo montano di appena 151 anime, un luogo che dovrebbe essere tutelato, custodito, accarezzato. E invece verrà violentato, brutalmente. Con tanto di benedizione istituzionale.
Sì, perché c’è un progetto dal nome altisonante “PalaCeresole”, per non chiamarlo semplicemente “scempio”. È già stato approvato con delibera comunale lo scorso 21 agosto 2025. Tutto deciso in fretta e furia dal sindaco Alex Giovannini, dall’assessore e ora presidente del Parco Mauro Durbano, e dall’assessora Viktorija Juskeviciute. Tutti d’accordo nel dire sì a un edificio “per eventi sportivi, turistici e culturali” in un paese dove — ironia della sorte — ci sono già quattro strutture inutilizzate e in rovina: il Palamila, il salone del Grand Hotel, quello dell’ufficio turistico e la Ca’ del Meist.
Ma guai a restaurare ciò che c’è. Meglio costruire da zero. Con i soldi degli altri.
E i soldi, guarda un po’, arrivano dritti dritti da Roma: mezzo milione di euro del Fondo Nucleo Resilienza e Coesione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nato per “valorizzare il patrimonio sportivo” e “promuovere le attività nei territori montani”. Così, mentre si chiudono ospedali, si tagliano scuole e si spengono speranze, un pezzo di paradiso si trasforma in un parcheggio di cemento armato.
L’architetto Miriana Cristina Forno, dello studio Arco Engineering di Caravaggio, ha firmato la relazione tecnica.
E la Soprintendenza? Promosso tutto in tempi record.
Il Parco del Gran Paradiso e la Regione Piemonte? Stesso copione: parere favorevole. Applausi, inchini, timbri e via.
Nessuno che si sia chiesto se davvero sia necessario costruire un palazzetto davanti a un gioiello ottocentesco come l’ex Hotel Ciarforon, progettato da Carlo Ceppi, uno dei grandi architetti piemontesi del XIX secolo.
Un edificio che cade a pezzi, sì, ma che potrebbe — se solo ci fosse volontà politica — diventare il simbolo della rinascita.
La cosa ancor più grave, ci dice un cittadino, “è che verrà deturpato uno dei punti più verdi e gettonati dai turisti, i quali si fermavano per ammirare il lago, le tre levanne, godersi il fresco sotto i larici e tirare due calci a un pallone... Tutto ciò non ci sarà più, in quanto gli alberi saranno rasi al suolo, il verde sarà divorato da una colata di cemento e l’area pic-nic non esisterà più. Il tutto per dare spazio a una nuova cattedrale nel deserto vista lago.”
Italia Nostra ha preannunciato un esposto. “Un cubo di cemento in un luogo incantevole, un insensato dispendio di denaro pubblico che non c’entra niente con quel luogo”, dicono.
E come dare loro torto?
Chi più di tutti — dicono — si sarebbe appassionato al “cubo” è Mauro Durbano, 39 anni, che come presidente del Parco (una coincidenza che grida vendetta) dovrebbe, al contrario, essere in prima fila nel dire no.
Al Parco, ricordiamolo, ci è arrivato nel 2023 grazie al ministro Gilberto Pichetto Fratin.
Un incarico che aveva già fatto storcere il naso a più d’uno, specie nei corridoi di Fratelli d’Italia, dove il nome che circolava era quello dell’ex senatore Andrea Fluttero.
Insomma: un presidente del parco che vuole costruire dentro il parco. Un’amministrazione comunale che approva in silenzio. Un progetto che passa tutti i controlli senza un sussurro di dissenso. E un Governo che finanzia, senza sapere cosa finanzia.
Un ossimoro vivente.
E allora sì, Giorgia Meloni vuole distruggere il Parco del Gran Paradiso, ma a sua insaputa.
Perché nessuno le ha detto che la montagna non ha bisogno di palazzetti, ma di rispetto. Nessuno le ha spiegato che il turismo non si costruisce con il cemento, ma con la bellezza. Nessuno le ha mostrato le fotografie di Ceresole Reale, prima dello scempio.
Se questo è il modo in cui lo Stato “valorizza” le aree interne, allora chiamatelo pure con il suo vero nome: devastazione pianificata.
E chissà, forse un giorno Giorgia, quando vedrà quel cubo di cemento spuntare davanti all’ex Hotel Ciarforon, si chiederà chi l’ha autorizzato. Ma sarà tardi. Il paradiso sarà già perduto.
Il Parco Nazionale del Gran Paradiso è il più antico d’Italia: nacque ufficialmente il 3 dicembre 1922, ereditando dall’ex riserva di caccia dei Savoia la missione di proteggere lo stambecco alpino, allora a rischio di estinzione. Si estende per circa 70.000 ettari tra la Valle d’Aosta e il Piemonte, comprendendo vallate magnifiche come quella dell’Orco — dove si trova Ceresole Reale — la Soana, la Valsavarenche, la Val di Cogne e la Val di Rhêmes. Le altitudini variano dagli 800 metri dei fondovalle ai 4.061 metri della vetta del Gran Paradiso, l’unico “quattromila” interamente italiano.
Il paesaggio è un mosaico di larici, abeti, faggi e praterie alpine, attraversato da ghiacciai, ruscelli e laghi di montagna. Ospita una straordinaria biodiversità: stambecchi, camosci, marmotte, aquile reali e una flora che cambia colore a ogni stagione.
La sua struttura è suddivisa in zone a diverso livello di tutela: aree di riserva integrale, spazi orientati e zone di promozione ambientale, dove si sviluppano attività di turismo sostenibile, educazione ambientale e ricerca scientifica.
Gestito dall’Ente Parco, con un sistema di rifugi, sentieri e centri visita diffusi sul territorio, il Gran Paradiso è un laboratorio a cielo aperto di equilibrio tra uomo e natura. Dal 2014 fa parte della Green List del Consiglio d’Europa, riconoscimento assegnato solo alle aree protette meglio gestite e più sostenibili del continente.
Un patrimonio che racconta, ogni giorno, come la bellezza possa ancora convivere con la responsabilità.
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