AGGIORNAMENTI
Cerca
Attualità
11 Dicembre 2025 - 13:00
Boom di cesarei in Italia: corsa alla Pma e un futuro demografico appeso ai bisturi
Quasi un parto su tre in Italia è cesareo, mentre la procreazione medicalmente assistita cresce senza sosta e ridisegna il modo in cui il Paese mette al mondo i suoi figli. Il rapporto annuale del ministero della Salute mostra un’Italia che cambia rapidamente: nel 2024 sono state registrate 370 mila nascite, il 90,7% avvenute negli ospedali pubblici, e il 29,8% dei bambini è nato con un taglio cesareo. Sono numeri che fotografano un sistema sanitario che ha ridotto l’uso della chirurgia rispetto al passato, ma che continua a muoversi su valori più alti rispetto alla media europea. Allo stesso tempo, il 4,2% delle gravidanze deriva da tecniche di procreazione medicalmente assistita, un dato quasi raddoppiato in dieci anni e destinato a crescere ancora, soprattutto nelle fasce più istruite della popolazione.
La diminuzione dei cesarei rispetto al 2012 – quando erano il 35,8% – non è uniforme. Nelle strutture pubbliche si ricorre al cesareo nel 28,3% dei casi, mentre nelle case di cura private accreditate la quota sale al 44,9% e supera addirittura il 53% nelle strutture completamente private. Analoghi squilibri si registrano fra le regioni: si va dal 16,5% della Toscana al 44,6% della Campania. Un divario che non può essere spiegato solo dalla complessità clinica, ma che riflette differenze culturali, organizzative e persino legate al contenzioso medico-legale.
Il quadro europeo aiuta a comprendere dove si colloca l’Italia. In Francia il tasso di cesarei oscilla attorno al 19%, nei Paesi scandinavi la media resta poco sopra il 20%. Ma in diversi Stati dell’Europa orientale e mediterranea – come Polonia, Grecia e Turchia – i tagli cesarei superano il 45% e in alcuni casi raggiungono il 55%. L’Italia si trova a metà strada: distante dagli eccessi, ma ancora lontana dagli standard considerati ottimali in gran parte dell’Europa occidentale. Questo accade anche perché le donne italiane diventano madri più tardi rispetto al resto del continente: l’età media al parto è 33,3 anni, contro una media europea intorno ai 30.
Per le cittadine straniere residenti in Italia, invece, l’età si abbassa a 31,3 anni. L’età avanzata al concepimento comporta un rischio maggiore di ipertensione, diabete gestazionale e complicanze che portano i medici a scegliere più frequentemente il cesareo come procedura ritenuta più sicura.

A questa tendenza si aggiunge l’aumento delle gravidanze ottenute tramite Pma, che nel 2024 rappresentano il 4,2% del totale. Per le donne con livelli di istruzione medio-alti la percentuale sale oltre il 6%, segno che la procreazione assistita è diventata una strategia riproduttiva sempre più diffusa, anche perché i figli si cercano più tardi e la fertilità diminuisce con l’età. In molti Paesi europei i bambini nati tramite tecniche di Pma raggiungono il 6-7% del totale, e in alcune nazioni del Nord Europa sfiorano l’8%. L’Italia si inserisce dunque in un trend già consolidato, ma lo fa in arretrato sul piano demografico, con uno dei tassi di fecondità più bassi d’Europa e un crescente ricorso alla tecnologia come strumento per colmare un divario biologico e sociale.
Le ragioni dell’aumento dei cesarei in Italia non sono solo mediche. Oltre alla mancanza di personale ostetrico, alla carenza dei servizi di analgesia in travaglio e alla rigidità dei turni ospedalieri, pesa enormemente il fattore del rischio legale. Il cesareo programmato riduce l’imprevedibilità del parto e viene percepito come una “sicurezza” sia dal medico sia dalla paziente, soprattutto in un contesto culturale dove il margine di errore non è più tollerato. È una scelta comprensibile, ma spesso non necessaria e non priva di rischi: un taglio cesareo è pur sempre un intervento chirurgico maggiore con possibili complicanze immediate e future.
La situazione si complica se si considera che una parte rilevante dei cesarei nelle strutture private avviene per motivazioni non strettamente cliniche, come la preferenza materna o la pianificazione dei tempi. Questo crea un’Italia a due velocità: un sistema pubblico che cerca di ridurre i cesarei in linea con le indicazioni internazionali e un settore privato che invece contribuisce a mantenere alto il valore complessivo.
Accanto a tutto questo, cresce anche il peso delle madri straniere, che rappresentano il 20,5% dei parti totali. In regioni come Emilia-Romagna, Liguria e Marche superano il 31%. Questa presenza, in un Paese demograficamente in declino, è ormai una componente fondamentale della natalità italiana. Le donne straniere si sottopongono meno a cesareo e partoriscono mediamente più giovani, contribuendo a mantenere la curva delle nascite leggermente meno negativa.
Il dato più impressionante riguarda però il numero di bambini nati dalla Pma: 15.287 nel 2024, quasi il doppio rispetto al 2012. È un segno dei tempi, ma anche il sintomo di un Paese che sostiene molto poco chi vorrebbe avere un figlio senza dover ricorrere alla tecnologia. Il basso tasso di fecondità non dipende dalla mancanza di desiderio, ma da ostacoli economici e sociali: salari insufficienti, precarietà, costo delle abitazioni, carenza di servizi per l’infanzia, orari di lavoro incompatibili con la genitorialità. Senza interventi strutturali, la Pma rischia di diventare una risposta “tecnologica” a un problema che è prima di tutto politico e culturale.
L’Italia, nei prossimi anni, dovrà affrontare il tema del parto e della natalità in modo più ampio: investire in sale parto, garantire il diritto all’analgesia, aumentare il numero delle ostetriche, sostenere la salute riproduttiva, migliorare l’accesso alla Pma pubblica e soprattutto creare condizioni sociali che permettano ai giovani di formare una famiglia senza un salto nel vuoto economico.
Dietro i numeri, insomma, c’è una verità semplice: il modo in cui un Paese fa nascere i suoi figli dice molto sul suo futuro. E oggi l’Italia, con i suoi cesarei ancora alti, le madri sempre più adulte, i bambini nati dalla Pma in aumento e un divario Nord-Sud che non si riduce, racconta una storia complessa, fatta di progresso medico, fragilità sociale e scelte difficili che attendono risposte chiare.
Edicola digitale
I più letti
Ultimi Video
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.