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L’Italia affoga nei rifiuti ma paga sempre di più: il Sud rincorre, il Nord regge, lo Stato promette e il divario non si chiude mai

Rifiuti urbani, l’Italia produce più scarti ma migliora nella differenziata: il Mezzogiorno riduce il divario, cresce il riciclo e aumentano i costi. Cosa significano davvero questi dati e quali sfide attendono il Paese nei prossimi anni

L’Italia affoga nei rifiuti

L’Italia affoga nei rifiuti ma paga sempre di più: il Sud rincorre, il Nord regge, lo Stato promette e il divario non si chiude mai

L’Italia del 2024 raccontata dal nuovo rapporto Ispra non è un Paese immobile: produce più rifiuti, differenzia meglio, ricicla di più e vede il Mezzogiorno recuperare terreno rispetto al Nord come non accadeva da tempo. Eppure questa fotografia, se osservata con attenzione, è meno rassicurante di quanto sembri. Aumenta la produzione complessiva, aumentano i costi per i cittadini, persistono differenze territoriali profonde e la transizione verso un modello davvero circolare è ancora lontana. I dati non sono un semplice resoconto statistico ma la radiografia di un sistema che funziona a metà, in cui i miglioramenti rischiano di essere vanificati dalle criticità strutturali.

Nel 2024 in Italia sono stati prodotti 29,9 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, un incremento del 2,3% rispetto al 2023. È un numero che segue l’andamento dell’economia: il PIL e la spesa per consumi sono entrambi cresciuti dello 0,7%. In apparenza questo può sembrare un segnale positivo, perché maggiore produzione di rifiuti significa solitamente maggiori consumi. Ma se il Paese vuole davvero imboccare la strada della sostenibilità, non può permettersi che ogni piccolo miglioramento economico si traduca automaticamente in un aumento della quantità di scarti. L’obiettivo dovrebbe essere esattamente l’opposto: disaccoppiare lo sviluppo dalla produzione di rifiuti, ridurre l’impatto complessivo e rendere il ciclo produttivo più efficiente. Non siamo ancora lì.

Sul fronte della raccolta differenziata i numeri sono invece incoraggianti. La media nazionale sale al 67,7% con un Nord che si conferma trainante al 74,2%, un Centro al 63,2% e un Sud finalmente oltre la soglia del 60,2%. È proprio quest’ultimo dato a colpire, perché mostra un cambiamento reale: la distanza tra le macroaree non scompare ma si riduce, e questo significa che gli investimenti, il Pnrr, la maggiore attenzione ai sistemi di raccolta integrata e una maggiore consapevolezza culturale stanno cominciando a produrre risultati concreti. Le migliori performance appartengono a regioni come Emilia-Romagna, Veneto, Sardegna e Trentino-Alto Adige, che superano ampiamente la media nazionale e attestano la capacità di alcune realtà di costruire un modello solido, capace di unire infrastrutture, gestione efficiente e partecipazione dei cittadini.

La parte più delicata riguarda però il riciclo, che raggiunge il 52,3% contro il 50,8% dell’anno precedente. Il miglioramento c’è, ma il Paese si avvicina lentamente agli obiettivi europei: 55% nel 2025 e 60% nel 2030. Per centrarli servono impianti moderni, soprattutto nel trattamento dell’organico e delle plastiche miste, servono poli di selezione più efficaci e una strategia nazionale che riduca l’eccessiva dipendenza da discariche e trasferimenti fuori regione. Oggi l’Italia dispone di 625 impianti, oltre la metà dedicati alla frazione organica: un numero importante ma non sufficiente a garantire autonomia e continuità in tutte le aree del Paese. Il rischio è che la crescita del riciclo rallenti proprio per mancanza di infrastrutture adeguate.

A complicare il quadro c’è il tema dei costi. Nel 2024 la spesa media per abitante è salita a 214,4 euro, contro i 197 del 2023. Ed è qui che il divario territoriale torna evidente: il Centro è l’area più cara con 256,6 euro, seguito dal Sud con 229,2 euro e dal Nord con 187,2 euro. Paradossalmente, dove il servizio è spesso più difficoltoso, i cittadini pagano di più. È un effetto legato alla carenza di impianti, ai costi di trasporto più elevati e alla minore efficienza complessiva del sistema. Il risultato è che il divario non è solo ambientale: è anche economico e pesa direttamente sulle famiglie.

Per capire cosa rappresentano davvero questi dati bisogna leggere il rapporto Ispra come la storia di tre Italie che convivono. C’è un Nord capace di trasformare la gestione dei rifiuti in un tassello fondamentale della propria competitività territoriale, un Centro frammentato con eccellenze e criticità che si sovrappongono, e un Sud in movimento, dove la volontà di colmare il ritardo si scontra ancora con ostacoli antichi: carenze infrastrutturali, gestione amministrativa discontinua, fragilità economiche, infiltrazioni criminali in alcune aree. La diminuzione del divario è un dato reale, ma fragile: senza continuità negli investimenti il rischio è di tornare rapidamente indietro.

Il significato più profondo di questo rapporto è però un altro: la gestione dei rifiuti non è un settore tecnico, ma un elemento decisivo della qualità della vita e della competitività del Paese. Dove la raccolta funziona, le città sono più pulite, i costi sono più bassi, l’ambiente è più tutelato e le imprese trovano condizioni favorevoli per investire. Dove il sistema è debole, invece, i rifiuti diventano un fattore di degrado, di sfiducia nelle istituzioni, di perdita economica e, nei casi peggiori, di illegalità. Le differenze non riguardano solo i numeri ma il modo in cui le persone percepiscono il proprio territorio.

Guardando ai prossimi anni, gli obiettivi nazionali devono essere chiari e coerenti. L’Italia dovrà ridurre la produzione complessiva dei rifiuti, puntando su modelli di consumo basati sulla prevenzione, sul riuso e sulla riduzione degli imballaggi. Dovrà soprattutto investire in nuovi impianti nel Mezzogiorno, perché nessun sistema di raccolta può reggere a lungo senza un’adeguata capacità di trattamento. Dovrà rendere finalmente operativa la tariffazione puntuale, che premia i cittadini in base alla quantità effettiva di rifiuti prodotti, trasformando il ciclo dei rifiuti da tassa impersonale a sistema responsabile. Dovrà digitalizzare l’intera filiera, rendendo tracciabile ogni passaggio per garantire trasparenza e contrastare infiltrazioni illegali. E dovrà costruire una vera cultura ambientale, radicata nelle scuole, nelle famiglie e nelle comunità.

Il significato politico e civile dei numeri Ispra è dunque questo: l’Italia sta migliorando, ma lentamente; sta recuperando divari storici, ma senza un’accelerazione forte rischia di fermarsi a metà del guado. La transizione verso un modello circolare non può più essere una linea guida: deve diventare una priorità sociale ed economica. Un Paese che produce quasi 30 milioni di tonnellate di rifiuti l’anno non può permettersi di trattarli come un’emergenza quotidiana, ma come un’occasione per trasformare scarti in risorse, costi in efficienza, divari in nuove opportunità di sviluppo.

Il Mezzogiorno che riduce il gap è una buona notizia. Ma la sfida vera è far sì che non sia un’eccezione, bensì l’inizio di un nuovo equilibrio nazionale, dove la sostenibilità non sia un privilegio territoriale ma un diritto condiviso. In questa direzione, il Pnrr e gli investimenti pubblici rappresentano un passaggio cruciale, ma mai sufficiente se non accompagnati da continuità politica, coraggio amministrativo e partecipazione civile. L’Italia dei rifiuti deve diventare l’Italia del riciclo, della responsabilità e dell’efficienza. È l’unica strada possibile per un Paese che vuole crescere senza consumare il proprio futuro.

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