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11 Dicembre 2025 - 07:00
Cadigia Perini
“La chiusura delle sedi di Ivrea e Asti è un attacco alle lavoratrici e ai lavoratori. Intervenga la Regione Piemonte”. È la denuncia durissima che arriva dal Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea del Piemonte, dopo la comunicazione ufficiale di Konecta, il colosso della customer experience, che ha annunciato lo smantellamento immediato dei due siti. Una decisione che coinvolge oltre mille persone, per le quali l’azienda propone come unica alternativa un trasferimento a Torino.
Una proposta che per Cadigia Perini, segretaria del Circolo di Rifondazione Comunista di Ivrea, equivale senza mezzi termini a “un licenziamento di massa mascherato”.
Perini lo dice chiaramente: «È evidente che la maggior parte dei lavoratori, specialmente le lavoratrici sempre gravate di maggiori carichi familiari, e considerando l’aumento dei costi di viaggio, a fronte di stipendi molto bassi, non sarà in grado di accettare il trasferimento, venendo così obbligata a lasciare l'azienda».
Dalla federazione astigiana arriva un giudizio altrettanto netto. Gianmarco Coppo, segretario Prc di Asti, parla di una scelta “totalmente inaccettabile”, destinata ad avere un impatto “devastante” sulle vite delle persone e sul tessuto economico locale: «È l’ennesimo diktat liberista che mette il profitto al di sopra di ogni considerazione sociale ed umana».
La posizione del partito è inequivocabile: Konecta avrebbe dimostrato una “grave mancanza di responsabilità sociale d’impresa”, scegliendo di dismettere due sedi strategiche senza un vero piano di salvaguardia occupazionale, senza valutare l’impatto sul territorio e senza considerare le condizioni di vita di chi in quelle strutture lavora da anni.
Per questo Rifondazione chiede che Comune di Ivrea, Comune di Asti e Regione Piemonte intervengano immediatamente per bloccare la procedura e aprire un tavolo di crisi.

Il segretario regionale Alberto Deambrogio oltre ad esprimere piena solidarietà ai dipendenti e garantire sostegno in ogni iniziativa di lotta e mobilitazione che verrà intrapresa, non ha dubbi: «Non permetteremo che la logica del mero profitto distrugga il futuro di centinaia di famiglie. La difesa dei posti di lavoro è la nostra priorità. La Regione non resti a guardare il massacro sociale».
Per la cronaca - e non solo per quella - Konecta, multinazionale spagnola nata nel 1999 e oggi presente in 26 Paesi, è diventata una potenza globale nel settore del Business Process Outsourcing. Gestisce servizi di customer care, back office, recupero crediti, assistenza tecnica, strategie digitali e persino soluzioni basate su intelligenza artificiale. Con oltre 120 mila dipendenti nel mondo (molti dei quali in Italia dopo la fusione con Comdata), Konecta si presenta come un modello di innovazione, sostenibilità e responsabilità sociale. Una narrazione che stride violentemente con l’annuncio di queste chiusure.
La verità è che la strategia aziendale – come spesso accade nel settore dei call center – sembra sempre più orientata alla riduzione dei costi strutturali, alla concentrazione in mega-hub metropolitani e alla progressiva esternalizzazione. In questo quadro, Ivrea e Asti diventano “periferie” da sacrificare sull’altare dell’efficienza, nonostante anni di attività, professionalità consolidate e una forza lavoro che ha garantito continuità di servizio a grandi clienti nazionali.
La verità è che per chi vive a Ivrea o ad Asti, e soprattutto per le donne – che costituiscono una parte rilevante del personale – il trasferimento a Torino non è una semplice variazione logistica. È un salto impossibile: costi di trasporto insostenibili, stipendi tra i più bassi del settore, conciliazione vita-lavoro che salta completamente. L’azienda lo sa benissimo: per questo la proposta di trasferimento è percepita da sindacati e lavoratori come un modo elegante per evitare un'operazione trasparente di licenziamento collettivo.
Eppure Konecta non è un’azienda in crisi. Anzi. Negli ultimi anni ha rafforzato la sua presenza internazionale, ha inglobato Comdata – una delle principali realtà italiane – e ha rilanciato investimenti in tecnologia e IA. Non solo: continua a sottolineare nei suoi report istituzionali l'importanza del capitale umano, del benessere dei dipendenti e della responsabilità verso il territorio. Principi che, a Ivrea e ad Asti, sembrano improvvisamente evaporati.
Un altro punto che pesa: il settore dei call center vive da oltre un decennio su una linea sottile fatta di delocalizzazioni, compressione dei costi e bandi al ribasso che hanno impoverito progressivamente condizioni e salari. Le crisi – Almaviva, Abramo, Comdata, Transcom – sono tutte tasselli dello stesso mosaico. Ma qui la dimensione è ancora più grave: mille persone rischiano il posto in due città già colpite da altri processi di desertificazione produttiva.
Ora la palla passa alla politica. Non solo ai Comuni coinvolti, ma soprattutto alla Regione Piemonte, che non può limitarsi – come spesso accade – a “monitorare la situazione”. Serve un atto politico forte, capace di tenere l’azienda al tavolo e impedire che il destino di mille famiglie venga deciso in una sala riunioni a Madrid o a Milano.
Perché, al di là delle formule istituzionali, ciò che accade oggi a Ivrea e ad Asti racconta una cosa semplice e crudele: in un settore in cui la parola “persone” è usata come slogan commerciale, i lavoratori restano sempre l’ultimo ingranaggio sacrificabile.
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