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11 Dicembre 2025 - 00:10
Da sinistra: Fluttero, Cambursano, Castello e Ciuffreda
La politica chivassese riesce sempre a sorprenderci: discute, litiga, si infiamma… e intanto chiude un dormitorio. È un talento, quello di perdersi nelle schermaglie mentre la realtà scorre sotto il naso. Così, il 31 dicembre 2025, Chivasso spegnerà la luce all’unico spazio che offriva un tetto a chi non ne ha uno. È curioso che a compiere il gesto sia proprio Claudio Castello, lo stesso che dieci anni fa, da assessore, contribuì ad aprirlo insieme al sindaco Libero Ciuffreda. In mezzo, un decennio di parole sulla solidarietà. Alla fine, però, conta sempre chi gira la chiave per ultimo.
E a leggere lo scontro che si è scatenato sui social tra gli ex sindaci, viene da chiedersi chi stia parlando davvero di povertà e chi di sé stesso. Andrea Fluttero, due mandati e un passato da senatore, si presenta con la consueta schiettezza. «Io non lo avrei nemmeno aperto», scrive. E lo dice con la calma di chi è convinto di star parlando di logica, non di ideologia. Secondo lui, il dormitorio non sarebbe stato altro che un magnete per i senzatetto “non chivassesi”. Il Comune — sostiene — dovrebbe occuparsi solo dei propri cittadini in difficoltà, lavorando con ATC e con gli strumenti dell’emergenza abitativa. Una linea chiara: meglio qualche mini-alloggio provvisorio creato in casa propria, come quelli che ricorda con orgoglio («Ricordo i minialloggi presso il Palazzo comunale ed alloggi presso la ex scuola di Boschetto»), piuttosto che una struttura che inonda la città di nuovi problemi. La sua logica è semplice: il dormitorio attira, e ciò che attira va chiuso. È una visione durissima, ma almeno coerente dall’inizio alla fine.
Dall’altra parte c’è Renato Cambursano, uomo di centrosinistra, memoria storica di una Chivasso che pretendeva di essere migliore. Quando scrive su Facebook, sembra quasi parlare a nome di una tradizione che il presente sta smacchiando pezzo per pezzo. «Il Sindaco Ciuffreda nel 2015 apriva il dormitorio pubblico per i senza tetto. Il sindaco Castello lo chiude», osserva. Poi affonda: «Ecco la sinistra di Centin, Debernardi, Varetto e del forestale Vitale». E ancora: «Si spende troppo e NON votano…». Il tono è quello di chi ha visto un mondo nascere e un altro finire. E il punto, per lui, è semplice: chiudere un dormitorio se sei di centrosinistra significa tradire te stesso.
E mentre i due poli della memoria politica chivassese si scambiano accuse e rivendicazioni, il presente resta nudo. Il dormitorio chiude. Punto. Le alternative non ci sono, se non nelle promesse sempre “allo studio”, quelle che in Italia fanno compagnia ai binari morti. Il DUP racconta un’altra storia: fondi in picchiata, poi azzerati. La porta si chiude non per filosofia, ma per bilancio.
E allora viene il sospetto che la domanda “che cos’è la sinistra?” non sia retorica, ma disperatamente attuale. Perché qui non si tratta di trovare l’aggettivo giusto per un partito, ma di capire come una comunità immagina sé stessa. Che città sceglie di essere Chivasso quando lascia dodici uomini di nuovo per strada? Che idea di servizio pubblico ha una politica che litiga su Facebook mentre il freddo avanza?
Il paradosso è perfetto: la destra dice che il dormitorio non serviva; una parte della sinistra dice che andava difeso; l’amministrazione di sinistra lo chiude. In mezzo ci sono gli ultimi, che ultimi restano. Nessuno chiede loro un parere. Nessuno dà loro una voce. E alla fine, non saranno i post, né le memorie dei mandati, né le identità politiche sbandierate a fare la differenza. Saranno le scelte. E questa scelta racconta molto più della politica chivassese di quanto i suoi protagonisti avrebbero mai voluto ammettere.
Ci si può dividere su tutto, in questa città. Ma quando si arriva a litigare su un dormitorio chiuso, allora il problema non è più ideologico. È morale. E riguarda tutti noi.
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