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La spia italiana nell’IRA: la vera storia segreta di Stakeknife che Londra non vuole ancora raccontare

Dopo nove anni d’indagini e milioni spesi, l’inchiesta Kenova accusa l’MI5 di aver protetto l’agente infiltrato più sanguinoso dell’IRA. Tra documenti distrutti, coperture e segreti di Stato, Londra deve ora rispondere a domande rimaste irrisolte per decenni

Stakeknife, il boia fantasma dell’IRA: cosa rivela davvero il rapporto Kenova sul ruolo dello Stato britannico

Stakeknife, il boia fantasma dell’IRA: cosa rivela davvero il rapporto Kenova sul ruolo dello Stato britannico

Una casa ordinaria nel Surrey, siepi curate, vicinato tranquillo. Dietro quelle finestre, raccontano i dossier, un uomo seguiva le partite in televisione e portava il cane a spasso. Per lo Stato britannico era un’“uova d’oro”, una risorsa da proteggere; per molte famiglie irlandesi rappresentava invece una minaccia costante. Il suo nome in codice era “Stakeknife”, considerato l’infiltrato più importante all’interno dell’IRA (Irish Republican Army, Esercito Repubblicano Irlandese). Quasi tutti lo identificano in Freddie Scappaticci, figura di vertice della sicurezza interna repubblicana e responsabile della cosiddetta Nutting Squad, l’unità clandestina che sequestrava e uccideva i sospetti informatori. Dopo nove anni di indagini e quasi cinquanta milioni di euro spesi, l’Operazione Kenova ha consegnato un rapporto di oltre 160 pagine che mette in chiaro ciò che a Belfast si mormorava da decenni: l’MI5 (Military Intelligence, Section 5) sapeva, ha protetto e in alcuni momenti ha persino ostacolato chi cercava la verità. Nonostante questo, una regola di antica tradizione continua a guidare Londra: “né confermare né negare” l’identità dell’agente.

Il rapporto ricostruisce in dettaglio decine di sequestri, torture e omicidi compiuti tra la fine degli anni Settanta e gli anni Novanta dall’apparato interno dell’IRA. I responsabili dell’indagine, prima Jon Boutcher e poi Sir Iain Livingstone, parlano di un agente coinvolto in «criminalità gravissima e del tutto ingiustificabile, inclusi omicidi», affermando che la sua gestione da parte dello Stato avrebbe causato un numero di vittime superiore a quello delle vite eventualmente salvate. La relazione definisce il comportamento dell’MI5 un “fallimento organizzativo serio” e documenta ritardi e esitazioni nel fornire materiali chiave agli investigatori, fino a compromettere possibili azioni giudiziarie. La narrazione del passato, quella che attribuiva a “Stakeknife” la capacità di aver evitato centinaia di omicidi, viene drasticamente ridimensionata: i ricercatori stimano numeri molto più contenuti, nell’ordine di poche unità, ben lontani dalla leggenda costruita negli anni.

Dietro il nome in codice si nasconde un uomo nato a Belfast da famiglia di origine italiana. Freddie Scappaticci entra nella Provisional IRA nel 1969 e, secondo i documenti raccolti, dalla seconda metà degli anni Settanta comincia a passare informazioni ai servizi britannici. Da quel momento conduce una doppia esistenza: scala il settore della sicurezza interna dell’IRA, incaricato di individuare presunti traditori, e allo stesso tempo riferisce alla Forza di Ricerca dell’Esercito e all’MI5. Per mantenere la sua copertura, avrebbe partecipato a interrogatori, violenze ed esecuzioni. Muore nel 2023, a 77 anni, senza essere mai stato processato.

scappatici

Il rapporto ricostruisce una rete di contatti fittissima. Gli incontri con i suoi “handler”, i gestori dell’intelligence, avvenivano in media ogni settimana. La RUC Special Branch (Royal Ulster Constabulary Special Branch) e l’MI5conoscevano la sua identità fin dall’inizio. Nei primi diciotto mesi produce almeno 377 rapporti; il totale recuperato dagli investigatori dell’Operazione Kenova arriva a 3.517. Numeri che provengono dai materiali originali legati alla pubblicazione della relazione e mostrano l’enorme quantità di informazioni raccolte.

Il documento descrive anche la protezione garantita ai massimi livelli. Quando la polizia stava per interrogarlo per omicidio o sequestro, i servizi organizzarono almeno due trasferte fuori dall’Irlanda del Nord per sottrarlo agli accertamenti. Compaiono anche incentivi economici, sostegni immobiliari e altre tutele che vanno oltre la gestione ordinaria di una fonte. Nonostante la violenza attribuita all’agente, i responsabili decisero a più riprese di non interrompere il rapporto, permettendogli di restare operativo. Dopo che il nome Scappaticci diventa pubblico nel 2003, l’uomo viene spostato in Inghilterra, vive sotto una nuova identità e rimane al riparo da indagini approfondite, al di là di qualche episodio giudiziario marginale. Muore in una casa del Surrey, in condizioni lontane da quelle che molte famiglie avrebbero ritenuto proporzionate alle accuse.

La ragione del mancato riferimento esplicito nel rapporto è la dottrina NCND (Neither Confirm Nor Deny), il principio con cui lo Stato britannico si rifiuta da decenni di identificare pubblicamente agenti e fonti. Sir Iain Livingstonesostiene che, in un caso del genere, un’eccezione sarebbe stata necessaria per l’interesse pubblico; molte famiglie considerano il permanere del segreto un’offesa. Anche Jon Boutcher, oggi capo della PSNI (Police Service of Northern Ireland), parla di un esito «imposto dal governo senza una buona ragione». Secondo molti osservatori, riconoscere ufficialmente l’identità significherebbe ammettere che Londra ha protetto e retribuito un uomo coinvolto in violenze e omicidi, aprendo un fronte politico e giuridico che il governo teme da decenni.

Per anni, la linea difensiva era che “Stakeknife” avesse salvato vite. L’Operazione Kenova ridimensiona questa argomentazione. I benefici informativi ci furono, ma non nella misura indicata in passato. Al contrario, la prosecuzione dell’attività dell’agente e la protezione garantita avrebbero consentito che altri omicidi venissero portati a termine. È la valutazione che oggi investe l’MI5 e, in modo più ampio, lo Stato britannico.

Una parte cruciale del rapporto riguarda la gestione dei documenti. Nel 2025 l’MI5 consegna un «quantitativo significativo» di materiali rilevanti solo dopo che erano state prese decisioni sui procedimenti giudiziari e pubblicata una versione intermedia della relazione. Per gli autori è un fatto grave, che segnala un atteggiamento volto a restringere il perimetro dell’indagine. Una revisione indipendente richiesta dal direttore generale dell’MI5 conclude invece che non ci sarebbe stato dolo, ma insufficienze storiche nella gestione degli archivi e una risposta troppo lenta alle richieste degli investigatori. Le due letture alimentano un dibattito ancora aperto e mantengono viva la sfiducia delle famiglie. A complicare il quadro si aggiunge la distruzione di documenti da parte del Ministero della Difesa, tra cui moduli sugli incontri tra l’agente e i suoi gestori, avvenuta nel periodo intermedio tra l’inchiesta Stevens e l’avvio di Kenova. Una perdita che rende più frammentaria la ricostruzione e ostacola l’attribuzione delle responsabilità.

La contabilità delle vittime resta incerta. L’Operazione Kenova ha esaminato oltre cento casi tra omicidi e rapimenti. Il quadro che emerge è quello di un sistema strutturato, fatto di sequestri, interrogatori, “processi” sommari, confessioni estorte ed esecuzioni. La funzione era colpire i sospetti informatori e scoraggiare ogni collaborazione con lo Stato. In molti episodi, secondo la relazione, i servizi ricevevano informazioni in tempo reale.

Il giorno della pubblicazione alcune famiglie hanno scelto di parlare apertamente. Claire Dignam, vedova di Johnny Dignam, ucciso nel 1992, dichiara che oggi non vuole più nascondersi. Altri parenti lamentano che il rapporto non indichi il nome Scappaticci, pur delineandone il profilo in modo chiaro. Per decenni, chi era accusato di collaborare con le autorità veniva marchiato come traditore anche dopo la morte, e questo ha pesato enormemente su molti familiari.

Sul piano politico, il rapporto scuote sia Westminster sia Stormont. Il segretario per l’Irlanda del Nord lo definisce «sconvolgente», mentre il Taoiseach irlandese parla di un elenco di fallimenti e sofferenze. Le possibilità di procedimenti giudiziari sono ridotte: il tempo trascorso, le lacune documentali e la difficoltà nel ricostruire responsabilità individuali rendono improbabile un’azione legale efficace. Si discute invece di un’assunzione pubblica di responsabilità, di un ampliamento dell’accesso agli archivi e della possibilità di modificare la dottrina NCND nei casi in cui l’interesse pubblico sia predominante. Jon Boutcher ribadisce che identificare la persona dietro “Stakeknife” non metterebbe a rischio la sicurezza nazionale né la collaborazione di nuove fonti, e che un riconoscimento formale potrebbe contribuire alla ricomposizione di una frattura che dura da decenni.

Il rapporto offre anche un’immagine più ampia: nello scontro con il terrorismo, lo Stato britannico ha accettato l’esistenza di una zona grigia in cui legge ed etica sono state adattate alla necessità di ottenere informazioni. L’idea che un agente potesse commettere violenze per mantenere la copertura è stata tollerata come prezzo della sicurezza. Il risultato è un doppio danno: le esecuzioni e la mancata assunzione di responsabilità. È un tema che riguarda ogni democrazia quando affida poteri eccezionali ai servizi segreti.

Nelle ore successive alla pubblicazione, il direttore generale dell’MI5, Sir Ken McCallum, rinnova le scuse per la consegna tardiva dei documenti e cita la revisione indipendente affidata a Helen Ball, ex dirigente della polizia metropolitana, secondo cui non vi sarebbe stata intenzione di nascondere i materiali. Le conclusioni parlano di archiviazioni disorganizzate e di un approccio poco proattivo, non di collusione deliberata. Una differenza rilevante per la politica, ma che non cancella il senso di sfiducia delle famiglie.

Il dibattito ora riguarda trasparenza, archivi e possibili riparazioni. La richiesta principale è ridurre, almeno in parte, l’applicazione della NCND nei casi di forte interesse pubblico. Chiarire il capitolo delle distruzioni documentali è considerato indispensabile: senza materiali affidabili, la ricerca della verità si inceppa. Cresce anche la domanda di sostegni civili per i familiari, dal riconoscimento istituzionale all’accesso ai dossier, fino all’assistenza psicologica e materiale.

A pochi giorni dalla pubblicazione, un fronte crescente di politici, avvocati e parenti chiede che Londra indichi ufficialmente Freddie Scappaticci come “Stakeknife”. Non sarebbe una rivelazione inattesa, sostengono: «lo sanno anche i cani per strada», ricorda un legale citato da Boutcher. Ma avrebbe un valore civile rilevante, perché segnerebbe la fine di una lunga omissione di Stato. Il paradosso sta tutto qui: un agente che tradisce l’IRA per servire lo Stato e uno Stato che tradisce le proprie regole per proteggerlo. Spetta ora alla democrazia dire con chiarezza chi ha ucciso in suo nome.

Fonti utilizzate: Operazione Kenova Report; MI5 public statements; Police Service of Northern Ireland; testimonianze raccolte da BBC, Guardian, Irish Times.

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