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Quattro anni a Irene Pivetti, conferma in appello: la condanna per evasione e autoriciclaggio. E l’ombra lunga delle mascherine

La Corte d’Appello di Milano ribadisce la linea dura: quattro anni per l’ex presidente della Camera. Al centro dell’inchiesta le operazioni sulle “tre Ferrari”. Intanto, a Milano (e a Roma) avanzano i procedimenti nati dal business delle mascherine anti‑Covid

Quattro anni a Irene Pivetti, conferma in appello: la condanna per evasione e autoriciclaggio. E l’ombra lunga delle mascherine

Quattro anni a Irene Pivetti, conferma in appello: la condanna per evasione e autoriciclaggio. E l’ombra lunga delle mascherine

La scena si consuma in pochi minuti, nella mattinata del 10 dicembre 2025 nei corridoi della Corte d’Appello di Milano. Appena varcata la soglia dell’aula, Irene Pivetti stringe la borsa, incrocia lo sguardo dei cronisti e ripete: «La verità verrà fuori: sono innocente». Poi arriva la decisione che pesa come una pietra: condanna confermata a quattro anni per evasione fiscale e autoriciclaggio. Non è il fascicolo delle mascherine — quello corre su un binario autonomo — ma la vicenda delle “tre Ferrari”, operazioni societarie del 2016 per circa dieci milioni di euro che, secondo i giudici, avrebbero schermato proventi illeciti. È il secondo passo giudiziario, dopo il primo grado del 26 settembre 2024, che spinge il profilo penale dell’ex presidente della Camera verso l’inevitabile approdo in Cassazione.

La Quarta sezione penale conferma tutto: stessa pena per Irene Pivetti, stessa confisca di oltre 3,4 milioni di euro. Restano le condanne a due anni (con pena sospesa) per il pilota Leonardo Isolani e per la moglie Manuela Mascoli. Le motivazioni arriveranno tra novanta giorni: abbastanza per permettere alla difesa, guidata dall’avvocato Filippo Cocco, di preparare un ricorso che attacchi la struttura logica della sentenza. Al centro ci sono le triangolazioni del 2016: tre Ferrari Granturismo comprate e rivendute tramite società estere, una in Polonia e una a Hong Kong. Per l’accusa — il pm Giovanni Tarzia con il Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza — quei passaggi avrebbero generato un’evasione “conteggiabile in milioni” e il successivo reimpiego delle somme, il tratto che definisce l’autoriciclaggio. La difesa contesta ogni punto: operazioni vere, fiscali e legittime, nessuna prova di un disegno illecito. Ma l’Appello ha giudicato la trama accusatoria solida.

Per chi ha seguito soprattutto il dossier delle mascherine, le Ferrari possono sembrare un’appendice. In realtà sono la chiave del processo. Quei contratti, secondo il Tribunale, servirono a costruire schermi fiscali e a deviare flussi di denaro attraverso società all’estero, sottraendo imposte e reinvestendo i fondi in nuove attività. Già nel 2021 gli inquirenti avevano congelato beni per circa quattro milioni, anticipo della confisca oggi ribadita. La difesa continua a parlare di “transazioni reali” e di “lettura distorta” delle operazioni.

All’uscita dall’aula, Irene Pivetti torna al suo mantra: «Sono innocente e la verità verrà fuori». È la stessa linea tracciata dopo il primo grado: «È solo la fine del primo tempo». La battaglia, insomma, è tutt’altro che chiusa. Nel frattempo, la condanna in Appello si innesta in un mosaico processuale che comprende anche i procedimenti sulle mascherine, con accuse più ampie e un parterre di parti civili esteso come raramente si vede in un processo economico.

Il capitolo “mascherine” è autonomo. E nasce da una ricostruzione pesantissima: la rete societaria riferita a Irene Pivetti avrebbe gestito una fornitura da circa 35 milioni di euro proveniente dalla Cina, ma solo dieci milioni si sarebbero tradotti in merce arrivata in Italia. Una parte rilevante, secondo la Procura, era «scadente», «praticamente inutilizzabile», con marchio CE falsificato. Nel luglio 2021 a Malpensa sarebbero stati sequestrati 1,3 milioni di dispositivi. A processo, insieme alla ex presidente della Camera, risultano coinvolti la figlia, il genero e l’imprenditore Luciano Mega, con accuse che vanno dalla frode in pubbliche forniture alla bancarotta, fino a riciclaggio e autoriciclaggio. Irene Pivetti respinge tutto e parla di “forniture reali e certificate”.

Il fascicolo ha cambiato scena più volte. Dopo il rinvio a giudizio del gup di Busto Arsizio il 14 giugno 2024, la difesa ha sollevato questioni di competenza. Il 2 aprile 2025 la Cassazione ha deciso: processo a Milano. Lì si sono costituite numerose parti civili: Stato, Ministero dell’Interno, Agenzia delle Dogane, Agenzia delle Entrate, San Raffaele, Multimedica. È uno dei fronti più delicati per l’impatto pubblico e per la memoria di quei mesi in cui ogni mascherina era una scommessa. E non è l’unico: a Roma, nel novembre 2025, si è aperto un ulteriore procedimento per presunto mancato versamento di IVA per 929mila euro. La richiesta di unificazione tra filone romano e milanese è stata rigettata. Irene Pivetti continua a parlare di “piena tracciabilità” e “nessuna evasione”.

Mentre si attende l’inevitabile ricorso in Cassazione, la condanna a quattro anni e la confisca restano in piedi. Per Isolani e Mascoli valgono gli stessi margini di impugnazione. La Suprema Corte dovrà valutare se la sentenza d’Appello ha rispettato i confini del diritto o se, come sostiene la difesa, ha forzato la nozione di evasione e la struttura dell’autoriciclaggio. I giudici di merito parlano di una condotta «protratta nel tempo» e di un «meccanismo capzioso» finalizzato a sottrarre somme legate a un contraente cinese. Ma in Cassazione si discute di diritto, non di fatti: e sarà lì che l’avvocato Cocco cercherà il varco per ribaltare il verdetto.

Intanto, nell’immaginario pubblico, il nome Pivetti resta soprattutto legato al dossier mascherine. È l’effetto di ciò che quelle forniture rappresentarono nel 2020: milioni di pezzi attesi nel momento più critico del Paese, valanghe di euro pubblici, procedure accelerate, rischi enormi. Per l’accusa è stata “frode in pubbliche forniture”, con merci non conformi e marchi falsi; la difesa parla di “accuse inventate” e “problemi sovrastimati”. Sarà il processo milanese, nel foro ritenuto competente, a segnare la linea definitiva.


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