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Ombre su Torino
11 Dicembre 2025 - 09:10
Sono le 7,30 del 10 dicembre 1973 e un sessantenne in giacca e cravatta sta uscendo di casa per recarsi a lavoro, come ogni mattina.
Esce dal condominio in corso Tassoni 57 in cui vive e si incammina in direzione di via Levanna 6, dove tiene la macchina in un garage. Deve girare l’angolo e attraversare la strada: un tragitto lungo 80 metri.
Arrivato a metà percorso non si avvede di un camioncino della SIP e di una 127 rossa che sostano a lato nella via. È un attimo: la porta laterale del furgone si apre e, senza neanche scendere, due uomini lo afferrano e lo trascinano dentro.
Passano 30 secondi e sul luogo del sequestro non c’è più nessuno. È un’azione congegnata nei minimi dettagli e, infatti, poco lontano verranno trovati i due mezzi (di cui uno incendiato) e alcuni testimoni parleranno anche di una terza auto (una 124 gialla) su cui rapitori e ostaggio sono stati visti salire e sparire come fantasmi.
3 ore e vengono svelate le identità dei protagonisti di questa storia. La rivendicazione arriva tramite un volantino in una cabina telefonica: sono state le Brigate Rosse.
Non è la prima volta che accade e non è neanche il primo rapimento delle BR a Torino, ma, stavolta è diverso. Se, infatti, nel caso dei dirigenti Macchiarini e Mincuzzi, a Milano, e del sindacalista della CISNAL Labate (nel capoluogo sabaudo) si è trattato di incruente sparizioni durate qualche ora, in questa occasione il prigioniero non viene rilasciato subito.

La vittima è l’ingegner Ettore Amerio ed è il direttore del personale della Fiat Mirafiori. Nella testa dei brigatisti è lui il responsabile dei circa 600 licenziamenti avvenuti in azienda nell’autunno del 1973.
Tra le file degli operai si respira aria di crisi, di ammorbidimento del sindacato, di compromesso con i padroni. I terroristi allora decidono di mettersi di mezzo e Amerio finisce in una delle cosiddette “prigioni del popolo”.
Non è più un sequestro a scopo dimostrativo ma punta a condizionare le trattative per il contratto integrativo. Non a caso, nel volantino, per garantire l’incolumità del sequestrato viene richiesto lo stop alla cassa integrazione e ai licenziamenti, all’assunzione di “fascisti della CISNAL e MSI” e, in generale, all’ <<offensiva post-contrattuale contro le avanguardie autonome.>>.
Dopo 3 giorni di silenzio e nessuna traccia dell’ingegnere, arriva il secondo volantino. A questo sono allegate due polaroid nelle quali il rapito appare giù di corda ma in buone condizioni.
Dietro di lui un drappo rosso con la famigerata stella gialla a cinque punte e due frasi: “Creare, organizzare il potere proletario armato” e “Nessun licenziamento rimarrà impunito”. Il comunicato conferma lo stato di salute di Amerio e specifica che lo stesso sta collaborando in maniera soddisfacente. Lo stesso svela, tra le altre cose, l’esistenza della Centrale di spionaggio della FIAT, grazie alla quale sarebbero stati effettuati i licenziamenti di quei mesi.
L’ostaggio verrà liberato dopo altri 5 giorni, lunedì 18 dicembre. Racconta di non aver subito violenze o minacce e descrive i suoi carcerieri come persone educate e gentili, addirittura attente a variargli il menù di giorno in giorno.
Riferisce che gli si sono rivolti dandogli sempre del lei e che le loro discussioni hanno avuto come tema principale i problemi della FIAT, in particolare l’imminente cassa integrazione, che, però, sull’onda degli eventi, verrà revocata. Una volta giunta tale notizia glielo dicono: lunedì tornerà a casa.
A compiere il rapimento Amerio si scoprirà essere stato il gotha della prima incarnazione delle BR: Alfredo Bonavita, Margherita Cagol, Paolo Maurizio Ferrari, Alberto Franceschini e Renato Curcio, che condurrà personalmente gli interrogatori.
Personaggi che ritorneranno frequentemente nelle cronache degli anni di piombo e che scelgono Torino per affinare la tecnica relativamente a un crimine, il sequestro di persona, che avrà ben più noti e tragici episodi successivi.
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